2 maggio 2023

LETTERA AD ANDREA BACCHETTI

Un pianista geniale e impertinente


 Copia di rification

Caro Maestro, credo che lei, giustamente, mi detesti. Su questo giornale, dopo un suo concerto in Sala Verdi al Conservatorio, nell’aprile del 2009, ho scritto per la prima volta di lei: “Coloro che hanno avuto la ventura di assistere ai suoi concerti non possono essere rimasti indifferenti a questo ragazzo che mostra ancor meno dei suoi anni, di statura minuta, stretto in una camicia lucida che lo rende ancor più magro, che prima di appoggiare le mani sul pianoforte dimostra una sorta di apparente panico o di ansia da prestazione con la quale mette il pubblico in enorme imbarazzo ma poi, appena si decide ed “attacca”, dimostra una sicurezza, una padronanza della tastiera e del testo, da lasciare senza fiato; per incanto passa la tosse a tutti e non si sentono più rumori in sala.

Poi ho scritto ancora nel gennaio (Le Goldberg di Bacchetti) e nel giugno del 2011 (Ancora intorno a Bacchetti), nel settembre del 2012 (Bacchetti barocco) e infine nel gennaio 2013 (Schiff e Bacchetti). Una vera persecuzione. Dovuta al fatto che sono letteralmente soggiogato dal suo pianismo. La prima impressione, quella che ho appena citato, non l’ho mai rinnegata: quando l’ascolto rimango sempre senza fiato! Tuttavia, ho spesso contestato alcune sue scelte che proprio non condivido, ed è solo la grande ammirazione che nutro nei suoi confronti a farmi tornare pedantemente su di esse.

L’altra sera, in quella sorta di magico cenacolo musicale che è diventato il MA.MU. (e che la sua sola presenza ha riempito come un uovo!), ho riascoltato le sue Variazioni Goldberg – il cui vero nome, ricordiamolo, è “Aria con variazioni per cembalo a due tastiere” – che non è difficile considerare il capolavoro di Bach. Ebbene la sua esecuzione, intensa e per moltissimi aspetti magnifica, è durata esattamente 35 minuti (li ho cronometrati!) e, su qualche CD ed alcuni vecchi vinili, ho potuto fare alcuni confronti: Glenn Gould, nel 1982, senza ritornelli le esegue in 51’18”; Andras Schiff, con ritornelli nel 1996, in 72’15”; Monica Leoni (che preferisco a tutte quelle che ho avuto modo di ascoltare fino ad ora) nel 2000 con ritornelli in 78’54”. Ma la cosa più curiosa è che lei, nel CD del 2006, sempre senza ritornelli le suonava in 44’51”.

Forse sulla questione “ritornelli” occorre una spiegazione per chi non abbia dimestichezza con quest’opera: le Variazioni Goldberg sono costituite dall’Aria iniziale (con il Tema nascosto nelle oscure note del basso e non, come spesso si crede, in quelle solari e cantabili del tenore), seguita da 30 variazioni e dalla ripetizione finale della stessa Aria, per un totale dunque di 32 pezzi, ciascuno di essi composto da due parti: la prima enuncia il tema o la sua variazione, la seconda ne presenta un breve ma essenziale sviluppo.

Nel manoscritto Bach impone chiaramente che ognuna delle 64 parti di cui l’opera è composta debba essere ripetuta due volte, una di seguito all’altra. E questi sono i cosiddetti ritornelli che Gould e lei saltate (ma sappiamo che – ahinoi! – non siete i soli). E lei non solo non fa alcun ritornello, ma suona le 30 variazioni tutte di un fiato, talvolta facendo coincidere l’ultima nota di una variazione con la prima nota della successiva!

Ora le chiedo, innanzitutto, come è possibile che – senza ritornelli – si sia passati dai 51’ di Gould, quarant’anni fa, ai suoi 45’ di diciassette anni fa e addirittura ai 35’ dell’altra sera.

C’è qualcosa che non funziona? Possiamo chiamarla “moda della velocità” o – peggio – una sorta di “frenesia virtuosistica”? Le confesso che mi piange il cuore nel sentire quella frenetica corsa sulle note che Bach ha dovuto tanto soppesare e che rappresentano un grandioso esempio di meditazione musicale!

Le “variazioni” sono appunto delle riflessioni su quell’Aria, un ragionare su tutte le sue potenzialità e sui reconditi significati ch’essa racchiude. Come si può suonarle di corsa, senza fare un respiro profondo fra una variazione e l’altra, senza una breve sosta dopo la 15a, a metà dell’opera, e magari anche una sia pur minima pausa dopo la 10a e la 20a, sapendo quanto queste scansioni temporali fossero care al loro Autore?

Abbiamo tutti molto apprezzato la sua rigorosa e perentoria richiesta di silenzio e di attesa, prima degli applausi alla fine dell’esecuzione, dopo la ripetizione conclusiva dell’Aria che lei ha tanto giustamente eseguito come una eco, o come nostalgia del pensiero originale, o il ritrovamento delle radici… Ma questo “sentire” non sarebbe stato bene manifestarlo lungo tutta l’opera, rispettandone il respiro e le pause?

Tornando ai ritornelli, posso assicurarle – non da musicista, ovviamente, ma da semplice ascoltatore, quale sono da un numero di anni che mi vergogno di dirle! – che senza di essi, e senza un profondo respiro fra l’una e l’altra, le Variazioni Goldberg perdono grandissima parte del loro fascino e della loro presa sulla nostra mente e sul nostro cuore (posso dirlo?) e diventano mero trionfo della tecnica e della logica contrappuntistiche, prive di poesia e di sentimento.

Sono sicuro che non me ne vorrà, caro Maestro, sapendo che sono un suo assiduo ascoltatore che non vedo l’ora di sentirgliele suonare, con la straordinaria tecnica che la contraddistingue, nel rigoroso rispetto delle indicazioni dell’Autore, senza fretta e senza aver paura di tediare gli ascoltatori con più di un’ora di musica paradisiaca. Non ci annoieremo, glielo assicuro!

Paolo Viola

 



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