4 aprile 2023

ABBATTERE O AMMODERNARE SAN SIRO?

Vecchia storia anzi vecchissima


iMM. mAROSSI Milano_San_Siro_1926_construction

L’impianto di San Siro è stato costruito tra l’agosto del 1925 e il settembre del 1926 dal Milan o meglio dal suo presidente/fondatore/sponsor Piero Pirelli (figlio di Giovan Battista per oltre un decennio consigliere comunale, consigliere provinciale, deputato, senatore ed anche infine presidente della Confederazione generale dell’industria italiana- Confindustria).

Piero Pirelli era stato uno fondatori nel dicembre 1899 de il “Milan Cricket and Foot-ball Club” e del Milan sarà presidente per 20 anni; lo stadio che passava al comune era nato per dare una sede adeguata alle partite casalinghe del Milan, che aveva fino ad allora giocato in via Sismondi; era uno stadio destinato esclusivamente al calcio senza pista di atletica intorno come l’Arena, in modo di avvicinare il più possibile gli spettatori al campo di gara, come d’uso nei campi inglesi, e del resto inglesi erano stati gli altri fondatori del Milan.

L’Inter in quegli anni giocava al Virgilio Fossati, più noto come campo di Via Goldoni che si trovava nelle immediate vicinanze dell’attuale Piazza Novelli, abbandonato per l’Arena Civica al Parco Sempione dopo che il 15 giugno 1930 durante Ambrosiana Genoa le tribune del Goldoni avevano ceduto provocando 167 feriti (per la cronaca la partita proseguì e terminò 3 a 3), l’Arena era stata riammodernata nel 1928.

Anche l’Inter vantava un pedigree proprietario di primo piano essendo stato di proprietà prima di Giuseppe Visconti di Modrone, di Enrico Olivetti e poi di Senatore Borletti cioè l’uomo della Banca di Sconto, Rinascente, Upim, Mondadori, Snia Viscosa, tra i proprietari del Secolo ma la proprietà era un po’ più politicizzata dei cugini.

Tant’è che nel 1928 presidente è Ernesto Torrusio uno dei fondatori dei Fasci di combattimento, sansepolcrista, massone, deputato, segretario della Corporazione fascista industria e commercio della Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, presidente di una delle più importanti federazioni sportive dell’epoca, la Federazione Ciclistica Italiana ma anche vice podestà di Milano; caduto in disgrazia con gli altri fascisti milanesi nel 1929 fu poi allontanato da ogni incarico politico (nel dopoguerra divenne Gran maestro della Massoneria di Rito scozzese antico ed accettato). Per la cronaca lasciò l’Ambrosiana Inter sull’orlo del fallimento.

Così quando Pirelli nel 1935 cede l’impianto al comune il motivo non è avere uno stadio per le due squadre ma disporre di uno stadio più grande visto che a San Siro per i Mondiali del 1934 si era giocata la semifinale con l’Austria e lo stadio era risultato insufficiente.

Primo obbiettivo del comune era quindi l’ampliamento a 55000 posti con la costruzione di quattro curve di raccordo tra le tribune e l’incremento della capienza delle due tribune.

In origine la struttura infatti era composta da quattro tribune rettilinee di cemento armato, una delle quali parzialmente coperta, per una capienza fino a 35mila spettatori (in parte in piedi).

 Alcuni spazi sotto gli spalti servivano come spogliatoi, docce, uffici, ma erano anche adibiti a scuderie per i cavalli, fienili e magazzini di foraggio a sostegno degli adiacenti ippodromi.

Al fondo c’era l’idea condivisa poi da podestà e federali vari di fare una “città dello sport” alla periferia della città con gli ippodromi e il centro Balneare del Lido (inaugurato nel 1932 e anch’esso acquistato dal Comune).

Progetto coerente con la mussoliniana idea della “Grande Milano.

La delibera comunale per l’approvazione dell’ampliamento progettato dall’ingegner Bertera e dall’architetto Perlasca dell’Ufficio Tecnico Comunale è del 10 settembre 1937, il cantiere apriva nel 1938 e si chiudeva il 13 maggio 1939.

Anche allora vi era stato chi aveva proposto di allargare l’uso ad altre discipline sportive e quindi abbattere e ricostruire integralmente senza però ottenere l’ok del regime.

In particolare, come spiega Felice Fabrizio sul manifesto: “Nel contesto milanese lo sport viene sapientemente esteso (dal fascismo) agli strati sociali che fino ad allora erano rimasti esclusi: le donne, i giovani, gli operai. Viene attuata una politica di costruzione degli impianti sportivi molto intelligente, anche se non pienamente realizzata. Il fascismo pone il problema se costruire cattedrali nel deserto o impianti di base. La scelta cade su quest’ultima. Quando nel 1934 a Milano si svolgono i Littoriali, i campionati nazionali di atletica, la Gazzetta dello Sport promuove una campagna pressante per la costruzione di un grande stadio dell’atletica, sostenendo che Milano ha San Siro, ma non uno stadio di atletica, a differenza di Torino, Roma e Bologna. Il podestà di Milano in risposta alla Gazzetta dello Sport, sostiene che ci sono altre priorità: la costruzione di palestre e piscine”

Accantonata dai fascisti, l’idea di un nuovo stadio si ripropone nell’immediato dopo guerra quando anche l’Inter si trasferisce a San Siro che tra l’altro non aveva subito danni significativi dai bombardamenti.

Come scrive ampliamente Enrico Landoni in Milano capitale dello sport fin dall’immediato dopoguerra in Comune si cominciò a parlare di un ulteriore ampliamento, scrive il Corriere il 22 maggio 1948: “per quanto vi siano problemi ben più urgenti a cominciare da quelli dell’edilizia popolare che richiedono un pronto intervento del comune che valga a dare ai senzatetto almeno l’illusione che qualcuno si occupa di loro la giunta ha incaricato l’assessore alla partita di studiare la proposta per la quale si prevede una spesa di 650 milioni”.

Tre le ipotesi 1) abbattere e ricostruire, magari ampliando l’uso ad altre discipline atletiche e nel caso decidere se ricostruire vicino allo stadio esistente o altrove 2) ampliare lo stadio esistente 3) trasferire tutto il calcio ovviamente modificandola all’Arena Civica.

L’ipotesi dell’ampliamento di San Siro fu sostenuta prioritariamente dalla   Giunta di Antonio Greppi con l’assessore alle Belle Arti, Spettacoli e allo sport Guido Mazzali, leader indiscusso del socialismo nenniano milanese di quegli anni, artefice del primo centro sinistra che aveva ottenuto il 12 ottobre 1948 mandato a trattare con i diversi privati che si erano candidati.

Le squadre, che erano rappresentate direttamente in Consiglio Comunale da Antonio Busini (eletto tra i monarchici) ex calciatore, direttore tecnico del Milan (ma anche del Varese e del Monza) erano favorevoli alla ristrutturazione dell’Arena (dove il Milan aveva giocato tra il 1941 e il 1945) che aveva il non piccolo vantaggio ai loro occhi di essere centralissima e ben servita di mezzi, per la precisione Carlo Masseroni (Inter), preferiva una nuova costruzione ma accettava come subordinata l’Arena, entrambi favorevoli all’eventuale ma mai ben definito intervento dei privati.

Svariati consigli comunali furono dedicati alla discussione che durò alcuni anni, con l’opinione pubblica divisa. Nel luglio 1950 Il Corriere definiva la sopraelevazione di San Siro impresa “irrazionale e irragionevole”; nel novembre 1951 il comunista Montagnani, costituente e più volte senatore, in consiglio comunale “dichiara che il suo gruppo non è rimasto insensibile alla reazione della cittadinanza e perciò chiede che il problema venga riproposto (vi era stata un primo voto favorevole all’ampliamento ndr) : non ampliamento del vecchio stadio, soluzione respinta dagli sportivi e dagli ingegneri che sono gli unici competenti ma costruzione di uno stadio nuovo che potrebbe sorgere ad esempio nella zona del poligono.” Stadio nuovo anche per il monarchico Degli occhi ma in zona fiera campionaria; insieme comunisti, monarchici con i liberali presentano un ordine del giorno.

Nel dibattito consiliare del 4 marzo 1952 l’assessore Jori sostenne che: “è giusto tenere in considerazione l’interesse delle due squadre cittadine ma la giustificazione dell’intervento dell’amministrazione comunale deve ricercarsi soprattutto nell’interesse della cittadinanza. Ora non sempre gli interessi delle due squadre collimano con quelli della cittadinanza”; di nuovo furono presentati due ordini del giorno uno a sostegno dell’ampliamento che passò e l’altro sostenuto dai comunisti, dai monarchici e dai missini per prendere tempo e nominare una commissione.

La scelta di ampliare si impose su quella di abbattere come prevedeva il progetto dell’architetto Ladislao Kovacs, presentato da privati che volevano costruire a San Siro in fianco a quello esistente, da demolire, uno stadio anche con la pista di atletica (per una eventuale candidatura di Milano alle Olimpiadi, tema che ritornerà con la giunta Tognoli), in cambio i privati chiedevano le aree al Comune in concessione per quindici anni.

A deliberare l’avvio dell’appalto fu la Giunta di Virgilio Ferrari (1951-1961) e il Consiglio Comunale il 3 marzo del 1953, costo previsto all’incirca 12 milioni di euro attuali, tempi previsti 500 giorni, progetto Calzolari-Ronca della Società Anonima Fondiaria Imprese Edili, a sostegno dell’iniziativa si schierò prontamente il CONI che però ridusse la capienza dagli ipotizzati 150000 a 110000

Non mancò ovviamente anche una polemica sul costo dei biglietti: Cesare Roda (socialista, già assessore e poi senatore): “E’ vero che il prezzo […] è in funzione della domanda; ed è vero anche che le Società di calcio possono presentare dei bilanci passivi malgrado gli altissimi prezzi dei biglietti. Ma le

Società stesse potrebbero anche far rilevare che se esistesse uno stadio capace di soddisfare tutte le richieste degli sportivi, i prezzi potrebbero essere fissati in misura più modesta … Il prezzo altissimo dei

biglietti dello stadio rappresenta un grave sacrificio…al Comune si offre la possibilità di risolvere il problema senza incontrare direttamente spesa alcuna”. Gli rispose il socialdemocratico Lamberto Jori assessore per tre legislature che spalleggiato da Aniasi sostenne: “Il Comune […] è anche proprietario di molti immobili in città e a nessun consigliere è mai venuto in mente di chiedere se il Comune controlla i prezzi che Galtrucco fa pagare ai suoi clienti per le stoffe e neppure ha mai chiesto che il Comune si interessi dei prezzi di vendita degli apparecchi della Marelli o delle macchine da scrivere Olivetti, o di quelli praticati dal Biffi”.

Lo scontro per lo stadio si intrecciava così con la battaglia tra la giunta centrista e le opposizioni ma passava anche all’interno dei singoli partiti.

La decisione della primavera 1953 fu ratificata dalla Giunta Provinciale Amministrativa nell’ ottobre 1953, che approvò anche il ricorso alla licitazione privata per l’assegnazione dei lavori, e resa esecutiva l’8 gennaio 1954 dalla Prefettura erano passati 6 anni dalle prime proposte.

Dall’agosto del 1954 tutte le partite di campionato delle due squadre fu deciso si sarebbero disputate a San Siro, i lavori di ampliamento non portarono alla chiusura dello stadio che restava in funzione ma non attenuarono le polemiche, tant’è che nel gennaio del 1955 Milan e Inter furono sfrattate per morosità!

La tesi delle squadre era che avendo portato i lavori ad un calo degli ingressi ed essendo i lavori in ritardo si determinava un grave danno economico per le squadre che quindi avevano deciso come autoriduzione di versare solo il 5% “come del resto avveniva a Roma” degli incassi invece del 10%. L’assessore che peraltro dichiarava che non vi era stato “neppure un secondo di ritardo” rispose con un decreto ingiuntivo.

Come andò a finire? Alle 15 del 23 gennaio un signore con una borsa nera contenente un assegno circolare di 4 milioni dell’Inter si recò in via Silvio Pellico a pagare scongiurando così l’ipotesi di giocare contro la Fiorentina in Bicocca come era stato annunciato, poco dopo si adeguò anche il Milan

Il rispetto dei tempi previsti rese possibile l’inaugurazione il 25 aprile 1956 della partita Italia-Brasile, un mese dopo c’erano le elezioni amministrative, non un caso.

Per la cronaca vinse l’Italia ma ancora una volta non mancarono le polemiche per il ridotto numero di biglietti messo a disposizione dei milanesi, Roberto Pollini parlò di “pubblico forestiero” che si godeva San Siro pagato con i soldi dei milanesi.

Anche l’impianto d’illuminazione dello Stadio fu oggetto di polemiche tant’è che fu il Milan ad assumersi l’onere di finanziare la costruzione dell’impianto anticipando la spesa di 33 milioni, somma che fu progressivamente rimborsata ai rossoneri con l’esenzione del pagamento dei diritti dovuti al Comune per le partite notturne.

La storia prosegue con sindaco Tognoli che il 25 agosto 1978 annunciava una riduzione della capienza di 15000 posti per ragioni di sicurezza cosicché sul Corriere della sera addì 27 agosto 1978 si legge: “Serve a Milano un nuovo stadio in sostituzione di quello di San Siro? Se ne comincia a parlare senza chiusure preconcette, al momento Inter e Milan stanno perdendo incassi e in generale la città perde entrate per il turismo sportivo; anche con tempestivi rattoppi San Siro è uno stadio vecchio indubbiamente ideale per la visione ravvicinata del calcio, innegabilmente caro a chi ha vissuto decenni di entusiasmo o di rabbie. Ma vecchio. Uno stadio nuovo non sarebbe una follia e non sarebbe un cattivo investimento. Rappresenterebbe soltanto la semplice e logica soddisfazione delle mutate esigenze di una città come Milano, che è sempre stata all’avanguardia in Italia. Bisognerebbe soltanto resistere alla tentazione di realizzare l’immancabile cattedrale, l’inevitabile capolavoro architettonico. Milano ha bisogno di un rilancio e anche lo sport può darglielo. Il primo passo come dice l’assessore è mettere allo studio questo progetto subito da oggi perché Milano avverte la necessità di avere un nuovo impianto sportivo.”

Quattro giorni dopo Tognoli rilancia: “La città ha bisogno di un altro stadio”, e ipotizza un’area alle porte di Brugherio dove precedentemente si era pensato di allocare il nuovo autodromo. Il nuovo stadio è anche messo direttamente in relazione con l’ipotesi di una candidatura olimpica della città, ma questo l’ho già raccontato https://www.arcipelagomilano.org/archives/58334

La  proposta delle Olimpiadi fu bocciata dall’allora presidente del Coni Franco Carraro già presidente del Milan, poi ministro, presidente FGCI, sindaco di Roma, senatore e tante altre cose che si impegnò tuttavia a non ostacolare iniziative di privati, ma quella delle olimpiadi è una storia che non riguarda più lo stadio perché il 19 maggio 1984 l’Italia era stata designata paese organizzatore del mondiale di calcio 1990 e l’idea di un nuovo stadio viene accantonata  privilegiando anche per i tempi quella di una ristrutturazione.

L’8 giugno 1990 con 85700 posti il nuovo Stadio Meazza ospitò la partita di apertura dei Campionati del Mondo (Argentina-Camerun), garantendosi la sopravvivenza fino ad oggi e personalmente credo per molti anni ancora.

Walter Marossi

 



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