7 marzo 2023

UN PAESE DUE STADI

Milano e Roma vicende diverse


 copertine am (2)

Due metropoli, Milano e Roma. La capitale economica e la capitale politica, divise da tutto, unite da un problema: lo stadio per le società di calcio professionistiche.  L’una è la “città infinita”, secondo la definizione del sociologo Aldo Bonomi, medio (p)lanum, al centro di un’area vasta da Malpensa a Orio al Serio, che è il cuore produttivo del paese ed è ormai verticalizzata nei settori terziari dei servizi finanziari, della conoscenza e del healtcare. Per necessità o per destino proiettata nel futuro tanto quanto Roma è immersa nel suo passato. Il più grande centro di produzione e il più grande centro di consumi.

“Milano fa un quartiere di Roma” è la battuta tipica dei romani nelle conversazioni che hanno per oggetto il confronto tra le due città.

Questa battuta sottende il tratto identitario profondo che antropologicamente le distingue, di longue durée si direbbe con Braudel. Il “romano medio” concepisce ancora la grandezza e l’importanza di una città in termini estensivi, come fosse un cittadino dell’impero romano! Il milanese misura grandezza e importanza in termini intensivi come quantità di ricchezza prodotta. Fatturare è ciò che è necessario e sufficiente a definirsi nella città di Milano, quel “quartiere” che, da solo, produce circa il 10% del Pil italiano.

A Roma le passioni ti definiscono ancor prima di ciò che fai nella vita. Sei innanzitutto romanista o laziale e dopo imprenditore, operaio, impiegato. Se alla città eterna si può riconoscere una qualità positiva è quella di aver conservato, più di altre metropoli europee, in un’epoca di crescenti diseguaglianze un suo interclassismo “sui generis” che, tutto calcolato, può considerarsi un valore. E tuttavia l’ampiezza della città, la sua morfologia, l’eterna tragedia della mobilità in una città costruita per le carrozze e non per le auto fa sì che ci si distingua in subordine per la zona in cui si abita. Quelli di … “Roma Nord”  quelli di …“Roma sud”. Persino l’accento è diverso: “il pariolino” è una inflessione romanesca peculiare, riconoscibile anche all’orecchio di un non romano che abbia spirito “flaneur”.

Le due città sono in due fasi diverse della loro storia. Milano è l’unica città italiana stabilmente inserita nel network delle “città-mondo” che governano i flussi della finanza internazionalizzata, della conoscenza, della comunicazione.

Roma, affievolitasi la sua funzione di “centro” politico amministrativo nazionale, ormai dislocata tra Bruxelles e Francoforte è alla ricerca di una nuova “missione” che non sia incentrata prevalentemente sul turismo religioso e culturale e su quel che resta dell’elefantiaco apparato parastatale che segna il passo e fatica a produrre quelle trasformazioni abilitanti, di processo e tecnologiche di cui l’intero paese e non solo Roma Capitale necessita.

Milano ha rilanciato il suo ruolo di città locomotiva del paese modernizzando le sue dotazioni infrastrutturali e capitalizzando la grande mole di risorse concentrata sulla città grazie alla “logica evenemenziale” di manifestazioni come Expo o i giochi Olimpici, a cui per riconosciuta incapacità amministrativa l’uscente sindaco di Roma Virginia Raggi ha orgogliosamente rinunciato, passando il testimone alla città meneghina.

Alcuni dati  consentono di stilizzare il coevo declino economico della Capitale per dar conto della “grande divergenza tra Nord e Sud” (il concetto fu coniato dallo storico Kenneth Pomeranz per spiegare la diversa traiettoria di sviluppo tra Oriente e Occidente).

L’importanza economica e occupazionale di Roma è determinata in prima istanza dall’essere stata o in taluni casi esserlo ancora, la sede delle Amministrazioni centrali e dei grandi gruppi parastatali del paese. Eni, Enel, Finmeccanica, Telecom, F.S. Alitalia. Eni era nel 1992  il terzo gruppo industriale italiano con 130.000 dipendenti, oggi ne ha 30.000; Enel ne ha persi quasi 50.000 da 112.000 a 65.000; l’attuale Leonardo Finmeccanica ne ha persi 11.000 da 61.000 a 50.000; Telecom ha perso il 24% di tutto il personale interno al paese.

Più complessa la situazione di F.S. i cui generosi piani di prepensionamento appesantiranno a lungo i conti dell’INPS. Su quel che resta di Alitalia è bene stendere un velo di ignoranza (fonte: Osservatorio delle imprese università Sapienza). Inoltre il blocco del turnover nella P.A. e la deflazione salariale nel pubblico impiego, hanno lasciato alla città una sola via di fuga, diventare una gigantesca disneyland turistica fatta di “rovine”, pizza al taglio e B&B tramite cui recuperare a reddito l’immenso patrimonio immobiliare accumulato dal ceto medio della città durante il “secolo breve” e che  costituisce la modalità capitolina di connettere in rete la città alle grandi piattaforme globali.

Questa città brigantesca e saccheggiatrice attira come una puttana e attacca ai suoi amanti la sifilide dell’archeologia cronica” (cit. Giovanni Papini)

Divergenze tanto evidenti non hanno mancato di riverberarsi anche sui fallimenti dei tentativi di dare alla A.S. Roma e alle “milanesi” il loro nuovo stadio, nel tentativo di patrimonializzare club in continuo deficit finanziario e di competitività sportiva rispetto al più blasonato club italiano, la Juventus della famiglia Agnelli e, soprattutto, stranieri.

Se il fatturato dell’intera serie A è di dimensioni contenute, poco più di 2 mld di € nel 2020, il potere evocativo di questo settore va a “leva” sull’immaginario simbolico producendo circa 24 milioni di italiani vecchi e nuovi, coinvolti a diversi livelli di consumo: diretto o indiretto, da stadio o puramente mediatico quale quello proposto dalle diverse piattaforme di sportcaster con annesso un pittoresco circus mediatico fatto di starlette, ex calciatori, giornalisti ed esotici opinionisti che affollano studi televisivi e radio locali; queste ultime sono a Roma un autentico fenomeno mediatico che trova eguali, non casualmente, soltanto nell’America Latina.

Le affinità tra i fallimenti dei “progetti stadio” trovano un comune denominatore nel tentativo di conciliare la “permissiva” legge sugli Stadi con i vigenti e assai più stringenti strumenti urbanistici territoriali. Ciò mette in tensione continua gli sviluppatori immobiliari internazionali, portatori di una logica che intende valorizzare, massimizzando le volumetrie, la ricardiana “rendita differenziale”  con gli altri stakeholder cittadini: istituti di credito, opinione pubblica, proprietari delle aree, tifosi, enti di controllo, amministratori locali.

Se, dicevo, le affinità finiscono qui, la differenza tra le due città emerge ed è resa plastica dagli esiti pratici, identici nella conclusione ma assai peculiari nel loro percorso. Di quello milanese ha dato conto il direttore di questa testata negli scorsi numeri.

Il progetto dello Stadio della A.S. Roma invece è affondato nel modo tipico che la città conosce di fallire, ovvero tra interventi supplenti della magistratura, scoop giornalistici, intercettazioni telefoniche, dimissioni di assessori, arresti e non ultimo, nella città del cinema, un pittoresco connubio da B movie tra uno sconosciuto avvocato di provincia appellato come Mr. Wolf, e il costruttore romano Parnasi in gravi difficoltà finanziarie, che con l’operazione avrebbe dovuto non solo rilanciarsi ma addirittura esportare il suo “modello” a Milano.

Vito Antonio Ayroldi

Cfr. Il Milan alla partita dello stadio: spunta l’immobiliarista Parnasi per l’impianto di proprietà – Corriere.it

Cfr. Stadio Roma, arrestati per corruzione Parnasi, Lanzalone e politici M5S-Pd-Fi – Il Sole 24 ORE

Cfr. Stadio della Roma, effetto Lanzalone: congelati e da rivedere tutti i dossier gestiti da Mr. Wolf | I nomi coinvolti – Corriere.it

 



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  1. Annalisa ferrarioL'intervento richiama correttamente il ruolo della sciagurata "legge sugli stadi" nelle vicende romane e milanesi: promette molto, in modo rapido e redditizio; nella realtà dei fatti, finisce per scontrarsi ancora più duramente nelle vischiosità locali. Segnalerei invece il diverso atteggiamento della stampa nei confronti dei sindaci: messa in croce la povera Raggi, sotto silenzio Gualtieri (che non mi sembra molto meglio come risolutore di problemi incancreniti), sugli allori Sala (chissà perché).
    8 marzo 2023 • 09:12Rispondi
  2. Walter MerzagoraCondivido totalmente l'ottimo articolo. Nel mio piccolo ho scritto una lettera al Corriere milanese, pubblicata nella rubrica NOI CITTADINI, curata da G. Schiavi (Corsera, giovedì 2 marzo scorso) nella quale esprimevo la contrarietà alla demolizione del Meazza e citavo il fatto che lo studio Populous (sì proprio quello della "Cattedrale") sta ristrutturando e ampliando lo stadio comunale di Strasburgo, a dimostrazione che lo si potrebbe fare anche per quello di San Siro, senza speculazioni immobiliari e intervenendo sul contesto esterno con interventi mirati ad ampliare le aree a verde e a razionalizzare l'area dei parcheggi.
    8 marzo 2023 • 17:19Rispondi
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