20 dicembre 2022

TEMPO DI ANNIVERSARI

Qualche volta la storia può ripetersi


julien-tondu-b11b10u5OWU-unsplasIl fine anno è sempre tempo di bilanci, ricordi e anniversari. Non sempre felici e positivi come in questo caso. Cento anni fa il 10 dicembre 1922 alle elezioni amministrative milanesi vince il Blocco costituzionale composto da fascisti, liberali e popolari che ottiene il 57,4% dei voti cioè 87368 con 64 consiglieri, il sistema era maggioritario. Le liste di opposizione erano 3: il PSU (Partito socialista unitario) dei riformisti Turati e Matteotti che ottiene il 30% dei voti e 15 consiglieri, il PSI massimalista che ottiene 1 seggio con l’11% dei voti e il Partito comunista con l’1,5% dei voti e nessun eletto. Viene eletto sindaco il ginecologo Luigi Mangiagalli settantatreenne che si insedia il 30 dicembre.

Mangiagalli era insigne medico ma anche politico di lungo corso, i radicali lo avevano candidato al parlamento già nel 1902 nel IV collegio dove fu eletto grazie all’appoggio anche del Corriere della sera. Memorabile la sua rivalità con il suo predecessore a Palazzo Marino, Filippetti medico e socialista tant’è che già nel 1912 quando Filippetti fu eletto presidente dell’Associazione Sanitaria Milanese e poi primo presidente dell’appena costituito Ordine dei Medici della Provincia di Milano, Mangiagalli fondò una associazione alternativa, contestò l’incompatibilità tra il ruolo di medico di ospedale pubblico e consigliere comunale e brigò affinché nell’agosto del 1917 Filippetti fosse costretto a dimettersi da presidente dell’Ordine dei Medici perché il suo  neutralismo che era “incompatibile con le aspirazioni patriottiche” dei medici milanesi.

Si andava al voto non per scadenza naturale, le precedenti elezioni erano state nel novembre del 1920 ed erano state vinte dal PSI con il 51% dei voti ma perché il comune era stato sciolto e commissariato dopo che i fascisti avevano assaltato Palazzo Marino con l’appoggio del prefetto Lusignoli che scrisse al Ministro degli Interni: “lo stato d’animo della cittadinanza è completamente favorevole ai fascisti e non nascondo che mal tollererebbero un’azione a fondo contro i fascisti”.

Nel tardo pomeriggio del 3 agosto (il sindaco Filippetti era all’estero) infatti, una folla tumultuante guidata dai fascisti in primis Cesarino Rossi ma con i nazionalisti i liberali e i radicali “sfondò” le porte di Palazzo Marino con la polizia che lasciò fare. Le sale del Comune furono occupate mentre i tre assessori Boriosi, De Vecchi e Fiamberti che erano nel palazzo furono scortati all’uscita.

D’Annunzio a Milano per questioni di contratti editoriali fu chiamato dalle camicie nere perché pronunciasse, molte ore dopo, un discorso dal balcone di Palazzo Marino mentre il procuratore generale Antonio Raimondi, premiato poi con autorevoli incarichi, stabiliva che non era stato commesso nessun reato. Poche settimane dopo il 27 agosto un decreto reale giustificò e legittimò il colpo di mano contro la giunta democraticamente eletta, sciogliendo il comune “per grave ragioni di ordine pubblico”.

Quando la campagna elettorale per le amministrative partì, a Milano già la marcia su Roma datava di qualche settimana, e a Milano fu a tutti chiaro ciò che era visibile da tempo, cioè la subalternità dei liberali e dei radicali (cioè in sostanza della “gloriosa” tradizione risorgimentale e postrisorgimentale) ai fascisti e ai nazionalisti. Una subalternità perfino beffarda, se i salandrini De Capitani e Cavazzoni si erano prodigati nei mesi precedenti, con il proprio denaro, per aiutare Mussolini prima ad assaltare Palazzo Marino e a controllare politicamente la città, poi prendendo il treno per Roma (De Capitani accompagnò lo stesso Mussolini nel celebre viaggio in wagon-lit) e ora si trovavano ricompensati con un pugno di mosche: il ministero dell’Agricoltura, all’epoca assai più importante che oggi, ma davvero impossibile considerare un ministero chiave.

Nel comizio al Teatro Lirico, il 30 novembre, ossute e ridanciane camicie nere con gagliardetti, manganelli e teste da morto, accanto alle più eleganti e snob camicie azzurre dei liberali presiedevano l’ingresso, svolgendo la bassa bisogna, mentre tutto il liberalismo milanese era sul palco, illuso che le camicie nere servissero solo da servizio d’ordine. Ettore Candiani, già assessore con Ponti, e Cesare Chiodi, punta della minoranza liberale negli ultimi anni, esaltarono Mussolini e cantarono Giovinezza. Nel blocco nazionale liberali e radicali stano accanto a nazionalisti e fascisti, ma erano quest’ultimi due a menare le danze. I sempre titubanti popolari, dopo varie incertezze, aderirono al Blocco all’ultimo momento.

Scortato dalla banda di camicie nere, il prefetto Lusignoli si affacciò al balcone e, con piglio meno tribunizio e più notarile di quello di D’Annunzio pochi mesi prima, si congratulò con Milano per la propria scelta “patriottica”.

 Ad aiutare non poco la vittoriosa campagna del Blocco fascista le posizioni massimaliste e comuniste che dopo anni di amministrazione socialista al XVI congresso del PSI definirono i Comuni “strumenti di oppressione e di sfruttamento del dominio borghese”  mentre “la conquista violenta del potere politico da parte dei lavoratori dovrà segnare il trapasso del potere stesso dalla classe borghese a quella proletaria instaurando il regime transitorio della dittatura del proletariato… per la realizzazione del comunismo”

I liberali non passati ancora direttamente con i fascisti pensavano di usare la forza d’urto dei gagliardetti e delle taniche di benzina degli uomini di Mussolini per ripristinare a Milano la sana tradizione del “liberalismo proprietario”, tanto che una delle prime misure di Mangiagalli fu quella di aumentare ad libitum gli affitti.

Ma i fascisti avevano una diversa visione: disprezzavano la borghesia decadente e infrollita  almeno quanto odiavano i socialisti, e quando i dissidenti liberali per ragioni di bottega, cercarono anche di organizzare un voto di dissenso attorno al bilancio del ‘23, l’avviso dei fascisti fu forte e chiaro: “contro quelle categorie della borghesia – disse in Consiglio il fascista  Marescotti – che non comprendono il dovere dei tempi nuovi e antepongono il proprio interesse particolaristico all’interesse della totalità de cittadini, il Fascismo potrà e saprà usare mezzi coercitivi, anche se illegali, per farle ritornare a una più esatta valutazione dei loro doveri”.

Come dire: “occhio che vi diamo una ripassata”.

Per il resto, la giunta Mangiagalli, in stretta collaborazione con il governo centrale, portò a termine quei progetti che erano stati decisi dalle amministrazioni precedenti: dall’ottenimento della sede universitaria all’aggregazione di nuovi Comuni (Affori, Baggio, Chiaravalle, Crescenzago, Gorla, Greco, Lambrate, Musocco, Niguarda).

Con il passare dei mesi, i contrasti tra liberali e fascisti furono sanati come spiegò in consiglio il principale oppositore delle giunte socialiste il liberale Ranelletti: “Non siamo noi le fazioni liberali contro cui fu diretta la rivoluzione fascista. Noi siamo i liberali che pensiamo che il liberalismo decade perché perdette lo spirito che animò i grandi del periodo eroico del Risorgimento; noi siamo i nuovi liberali che, rinnovati nella coscienza, vagliamo richiamare ed abbeverarci a questo spirito; e poiché pensiamo che è pur di esso che informa e anima il fascismo, spoglio delle sue scorie contingenti, noi stiamo col fascismo”.

Mangiagalli grande medico ma pessimo politico particolarmente vanesio, basti dire che nel ‘25 fu fuso un busto in bronzo per onorarlo, caso raro per un personaggio vivente, era controllato dal vicesindaco Giuseppe Aversa (1879 1924), fascista della prima ora che era stato arrestato con Mussolini con il quale aveva un solido rapporto di amicizia.

Aversa promise severa disciplina e ordine nei confronti degli impiegati comunali, chiamati “privilegiati”, annunciò la soppressione del sabato festivo (o sabato inglese) e la chiusura del corpo di vigili del fuoco (chiamata “la guardia rossa di Filippetti”), mentre nei confronti dei tranvieri, l’ala più combattiva degli impiegati comunali, pronunciò parole di minaccia.

Nonostante i fascisti avessero preso in mano le redini dell’amministrazione, fino a svuotare la stessa giunta di potere, che ormai risiedeva concretamente nella sede del fascio di corso Venezia, dopo l’attentato Zaniboni e la messa fuorilegge del PSU, nel novembre del ‘25, il loro capo milanese Belloni invocò la formazione di una “giunta migliore”.

Mangiagalli che già in occasione del delitto Matteotti aveva dichiarato: “il delitto colpisce il Governo attuale, per cercare di arrestare la vita di un grande paese e di una grande città. Quella lama che ha colto Matteotti ha colpito ancor più profondamente l’anima e il cuore di Mussolini: l’uccisione di Matteotti deve essere scontata dai colpevoli, non dal Paese e dalla nostra città”, capì l’antifona e chiese la tessera del fascio dichiarando: “Ogni cittadino italiano deve dare tutto sé stesso per servire il paese. L’esempio ci viene dall’alto; ci viene al Re che, dopo essere stato soldato con cura indefessa ed amore in ogni angolo d’Italia ove ci sia una gloria da ricordare, un’opera alta da patrocinare col suo giusto nome: ci viene dal suo grande Ministro Capo del Governo, che non si dà tregua, che non conosce riposo e con mirabile senso divinatore restaura in ogni campo le fortune della Patria ed oggi stesso risolve con fermezza, con dignità e con onore una delle più ardenti ed ardue questioni internazionali; dal suo grande Ministro, al quale come atto di dedizione alla Patria stessa, va oggi rinnovata in nome vostro e di Milano, l’espressione dei più commossi sentimenti di gioia per lo scampato pericolo e l’espressione di quella nostra immutata, profonda devota fiducia colla quale lo salutammo anche nei momenti più tristi. Viva il Re! Viva Mussolini!”.

Ma Belloni l’11 agosto mentre sindaco e assessori erano in vacanza fece dimettere i suoi facendosi nominare prima commissario prefettizio poi commissario straordinario e infine nel dicembre di  97 anni fa podestà, pochi anni dopo verrà deposto per corruzione e confinato.

Si possono trarre degli insegnamenti da quello che accadde un secolo fa?

Non lo so però vale la pena ricordare.

Walter Marossi

 



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  1. Annalisa FerrarioVale sicuramente la pena ricordare! Davvero molto interessante e istruttivo
    21 dicembre 2022 • 14:46Rispondi
  2. alberto bolzaniinteressante e ben esposto brano di storia dove trovo informazioni precise per chiarire una serie di eventi poco noti ad un milanese come me che ha avuto la fortuna di nascere poco dopo il 25 Aprile. grazie a Walter Marossi.
    4 gennaio 2023 • 02:17Rispondi
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