17 maggio 2022

LE MUNICIPALIZZATE, IL RIFORMISMO E I FUNERALI

Una storia di glorie del passato miseramente finita con la svendita dei beni comuni


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L’avvocato radicale Modesto Picozzi consigliere comunale per 6 anni e assessore per 3 non è certo figura notissima in città, eppure a lui si deve uno dei primi interventi profondamente innovatori e progressisti del Comune di Milano.

Il 21 novembre 1900, dopo aver definito l’operato della giunta precedente del sindaco Vigoni, “inumano, incivile, illegale”, propone una grande innovazione: l’abolizione del carro chiuso di carità per i funerali dei poveri e la municipalizzazione del servizio accusando i suoi predecessori di aver prorogato contratti con i privati per 23 anni a fila.

In sostanza dice Picozzi, fare trasporti funebri gratis, ovviamente ad eccezione delle richieste di pompe particolari, è una preziosa conquista moderna; la delibera verrà votata dopo un vivace dibattito che sfiora la scazzottatura ma è indicativa di un nuovo atteggiamento del Comune, che con la giunta Mussi insediatasi nel dicembre 1899 , la prima progressista della città,  dimostra di volersi occupare di un sistema di intervento municipale che non riguarda solo i grandi progetti, rispetto ai quali molti settori liberali e radicali erano favorevoli all’intervento pubblico ma anche di temi minori comunque molto popolari tra i meno abbienti.

In parlamento la questione dell’intervento dei comuni nei servizi era stata affrontata già qualche anno prima con la Commissione parlamentare Lucchini che avrebbe dovuto redigere un disegno di legge per disciplinare l’assunzione diretta dei servizi e il riscatto delle concessioni in genere in mano a aziende fortemente rappresentate in politica tra i moderati, ma non produsse pressoché nulla per l’opposizione di chi gestiva i monopoli.

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Si dovette attendere il  29 marzo 1903 quando fu approvata la legge, proposta da Giolitti non certo un rivoluzionario, sull’assunzione diretta dei pubblici servizi da parte dei comuni che favoriva l’ assunzione di numerose attività di servizio pubblico da parte dei comuni  (gas, energia, trasporti, acqua, nettezza urbana, refezione scolastica) consentendo loro di adottare autonomamente le forme di gestione potendo scegliere tra le gestioni dirette con le aziende speciali o in economia e quelle indirette, tramite le concessioni a imprese private.

Agli inizi del secolo le municipalizzazioni o l’intervento pubblico che dir si voglia non hanno una connotazione politico-ideologica, ma la avranno successivamente e il tema delle municipalizzazioni diverrà il discrimine tra rivoluzionari, conservatori da una parte e riformisti dall’altra.

A fare del ruolo dei comuni nella gestione dei servizi fu un sindaco milanese Emilio Caldara che già nel 1899, lo stesso anno del suo ingresso a palazzo Marino aveva scritto un saggio “teoria e pratica dei servizi pubblici comunali” dove sosteneva che: “i socialisti dovevano adoperarsi per estendere le funzioni del comune, soprattutto nel settore dei servizi sociali e dell’assistenza, e per una riforma dei tributi locali che sostituisse alle imposte indirette un’imposta diretta e progressiva. In questa prospettiva, la municipalizzazione dei pubblici servizi avrebbe sottratto ai monopoli privati la gestione di beni di prima necessità e fornito alle finanze comunali nuove entrate.”

Caldara tra i fondatori dell’ANCI nel 1901 (associazione nazionale comuni d’Italia) di cui sarà segretario per oltre 15 anni è un socialista ma soprattutto un riformista turatiano. 

Direttore della rivista l’Autonomia comunale teorizzò sul piano storico e giuridico la natura peculiarmente autonoma del comune, associazione popolare antecedente allo Stato, suscettibile di trasformazioni genuinamente democratiche e potenziale centro di potere avverso agli organismi delle classi dominanti (Dizionario biografico Treccani).

f01 (1)Che gli schieramenti in materia di intervento comunale fossero complessi lo dimostra la vicenda della costituzione della Azienda Elettrica Municipale, delibera del luglio 1909, ratificata dal referendum popolare del 10 aprile 1910. Dopo le elezioni del febbraio 1905 vinte dalla Federazione Elettorale Milanese, un’alleanza fra il partito liberale e i cattolici, il nuovo sindaco Ettore Ponti, che aveva come assessore ai lavori pubblici Giuseppe Ponzio, docente del Politecnico, confermò la strategia dalla precedente giunta, di costruzione di una alternativa municipale al monopolio della Edison, che era stata all’origine delle dimissioni del primo sindaco di “sinistra” Mussi e del cambio di maggioranza con l’ingresso in giunta dei socialisti nel dicembre 1903. 

Nel referendum, reso obbligatorio dalla legge Giolitti, Ponti ottenne l’appoggio di Filippetti futuro sindaco, che con il parere favorevole di Turati sostenne la municipalizzazione anche se operata da una giunta conservatrice perché rompeva il monopolio dei privati speculatori e apriva alla concorrenza; con lui favorevoli anche i radicali, il collegio degli ingegneri e il Corriere che semplicemente definiva disastroso il voto contrario. Contrari furono il quotidiano il secolo (democratico progressista) che propose l’astensione e il tempo quotidiano (radical socialista) che propose il rinvio del referendum. Capofila degli oppositori Eugenio Chiesa figure di spicco del repubblicanesimo italiano e della massoneria milanese che pure era stato uno dei più strenui sostenitori della municipalizzazione del gas che invece il comune aveva respinto. 

In realtà il referendum si tenne quando gli impianti erano già stati costruiti, l’energia valtellinese arrivava regolarmente in città e il comune aveva impegnato decine di milioni e aveva ottenuto un significativo abbassamento dei prezzi.

Al congresso del P.S.I. dell’aprile 1914, Caldara sostenne la necessità di adottare nelle elezioni amministrative la tattica intransigente cioè di non allearsi con radicali e repubblicani ma di presentarsi da soli, già sperimentata con successo a Milano, in quanto era la sola che consentisse la trasformazione dei comuni “in organi di conquista delle rivendicazioni proletarie”, in un nuovo strumento “di guerra del proletariato contro la borghesia”. Questa linea venne approvata dal partito e adottata per le successive elezioni amministrative del 14 giugno 1914 per le quali il C. si presentò a Milano.

Caldara era così convinto della forza dell’autonomia comunale, da auspicare il superamento delle ‘province’ (“enti buoni solo per i manicomi e le strade”) che avrebbero potuto essere sostituite da ‘consorzi e aziende consorziali.’ 

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Con Caldara altri socialisti si impegnarono nella diffusione delle municipalizzazioni come strumento della “grande riforma”: Giovanni Montemartini che dall’Umanitaria di Milano divenne assessore ai servizi tecnologici (com’erano allora definiti i Servizi pubblici locali), nella giunta Nathan a Roma, dedicandosi, tra l’altro, alla costituzione delle aziende municipalizzate per l’elettricità, per l’acqua e per i trasporti urbani. Alessandro Schiavi  che di Caldara fu assessore, l’ intellettuale-tecnico, del municipalismo socialista milanese o del riformismo municipale che scrisse: “Ora, come il comune rappresenta una fase più evoluta e superiore di capitalismo pubblico, in confronto al capitalismo privato, così le maestranze da esso dipendenti debbono essere messe in grado di sentire più vivi i doveri e i compiti di classe, perfezionando i loro metodo di lavoro, educandosi a gestire le aziende a cui sono addette, senza bisogno d’allettamento di partecipazione agli utili, servendo di esempio agli operai dell’industria libera e per le condizioni di lavoro e di vita raggiunta e per la qualità e le abilità individuali e collettive acquistate”.

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Scrive Angelo Turco: “L’opera di vari pensatori socialisti, in particolare ricordiamo quella di Giovanni Montemartini nel 1902, esplicita una “teoria della municipalizzazione” che si fonda su una scienza della finanza delle imprese pubbliche generale, ma diviene di particolare interesse nel momento in cui si pone come fine ultimo una filosofia della “redistribuzione”: il municipio diviene l’impresa politica che ha come scopo quello di ripartire su tutti i membri della collettività i costi di alcune produzioni o altri uffici, agendo per ottenere beni e servizi a prezzi più bassi di quelli dati dal mercato e utilizzando come reperimento delle risorse una leva fiscale progressiva. In questo modo il comune a guida socialista diviene un attore dal forte connotato classista, e la teoria del socialismo municipale afferma la necessità di rappresentare nella pratica gli interessi dei non privilegiati nell’arena del libero mercato agendo in funzione anti liberista. A questa teorizzazione si sommano quelle di Ivanoe Bonomi e Emilio Caldara, che affermano la necessità da parte del comune di creare profitto, in modo da poter estendere e ampliare l’azione democratica dell’istituzione con finalità prettamente sociali.

imagesCaldara alla fine del suo mandato, (rammento che le elezioni milanesi si svolsero il 7 novembre 1920 e i socialisti ottennero la maggioranza assoluta dei voti e dei seggi ma non lo ripresentarono come candidato sindaco) scrisse un rendiconto dei suoi sei anni da sindaco (pubblicato da M&B Publishing con prefazione di Carlo Tognoli) dove riassume la sua idea di socialismo municipale: “mentre per il passato Il partito socialista quasi aderiva sommariamente all’incalzante movimento accentrativo dello stato quando si è messo a rivedere il suo programma comunale ha compreso che, tanto dal punto di vista riformistico delle conquiste graduali quanto da quello rivoluzionario della utilità di baluardi locali del pensiero e dell’azione socialista era doveroso lottare per la conquista dei comuni …e per la conquista ai comuni di una loro maggiore libertà di movimento e più elevata dignità politica”.

Capolavoro delle municipalizzazioni di Caldara fu quella dei trasporti, formalmente decisa nel giugno del 1916, in piena guerra, e diventata operativa dal 1 gennaio 1917 come scrisse l’assessore alla partita Gay: “abbiamo predisposto e coordinato tutto senza incagli e con soddisfazione del personale e della cittadinanza, alla quale colla maggiore libertà d’azione così acquistata, potremo dare quei miglioramenti che le moderne esigenze di tale servizio consigliano”; ovviamente contrari i padroni che in un articolo sul corriere paventavano l’accoglimento delle richieste dei dipendenti (erano 5100) con aumenti anche superiori per alcuni al 50% cosicché le  spese per il personale  sarebbero passate dal 25% del bilancio ai tempi della gestione Edison all’85%, portando  la società in rovina; la conclusione era che la città era in mano ai giannizzeri del proletariato (13 agosto 1919). 

In realtà se pure in linea teorica esisteva un favorevole atteggiamento sulle municipalizzate di settori liberali al dunque le consorterie amministrative padronali reagiva sempre gridando al lupo.

Ma anche dopo Caldara il tema dell’intervento comunale restò l’asse portante della politica di sviluppo delle città, ad esempio quando  nel luglio del 1922, or è un secolo, in consiglio comunale, sindaco Filippetti, venne presentata la relazione della giunta ed in particolare dell’assessore Marangoni, uno dei tanti protagonisti dimenticati della storia comunale, sulla costituzione di un Ente Autonomo per la Fiera Campionaria con la partecipazione comunale, schema peraltro già approvato dalla Camera di Commercio e dagli altri promotori, la seduta finì tra scambi di insulti e scontri fisici.

Non che tutti i socialisti fossero d’accordo con Caldara (che infatti verrà espulso dal PSI nel 22 con Turati e Matteotti) ad esempio nel 1917 i massimalisti con Lazzeri proposero a tutti i sindaci socialisti di rassegnare le dimissioni dall’incarico con fini esclusivamente propagandistici mentre per i comunisti milanesi subito dopo la scissione di Livorno uscirono dalla maggioranza di Palazzo Marino.

Milano 19 / 05 / 1959 Lavori per la costruzione della linea metropolitana " Lotto - Sesto Marelli " . Nella foto: lavori in corso in Via Spallanzani FARABOLAFOTO

Il fascismo scrive Oscar Gaspari “non attaccò frontalmente le municipalizzate se non in quanto considerate espressione dei partiti democratici e dopo i primi anni, particolarmente critici, la situazione si stabilizzò. Furono poche le aziende comunali che scomparvero, ancor meno le nuove, ma quelle esistenti riuscirono a sopravvivere. Durante il ventennio si fecero sentire gli effetti traumatici della fine della democrazia, che aveva privato i comuni della possibilità di discutere e di promuovere liberamente le proprie iniziative, e quelli di una politica economica che privilegiava l’intervento dello Stato e dei privati. In ogni caso, nonostante le pesanti richieste degli industriali privati, il fascismo conservò le aziende comunali, comprese quelle elettriche, sottoposte ad una particolare pressione. Sarebbe stato troppo impopolare, chiuderle 

Come ebbe a dire Massimo Severo Giannini, “la municipalizzazione è come il grano che la natura fa crescere a tutte le latitudini ed in ogni condizione climatica, data la sua indispensabilità per la sopravvivenza dell’uomo. Così le aziende municipalizzate nate in clima liberal-socialista, sono sopravvissute al fascismo, anche se ostacolate e combattute e quindi costrette ad una fase di “ristagno ed involuzione”.

Nel secondo dopoguerra le municipalizzate furono uno dei luoghi privilegiati della politica, basterebbe guardare solo per quello che riguarda Milano i nomi di chi transitò negli organi dirigenti di queste società/enti ma qui la storia si fa lunga.

La svolta cioè a dire la riconsegna ai privati di tutto il patrimonio comunale va di pari passo con l’affermarsi della seconda repubblica indicativo un articolo del giornale confindustriale il sole 24 ore nel maggio 2011: “Uno spettro s’aggira per l’Italia – lo spettro del socialismo municipale. Tutte le potenze della Vecchia politica si sono alleate in una santa battuta di caccia contro le privatizzazioni. Se oggi Marx ed Engels dovessero riscrivere il Manifesto del partito comunista non perderebbero lo slancio evocativo che contraddistingueva l’incipit, ma i bersagli non sarebbero più «papa e zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi» ma, magari, “sindaci e ministri, leghisti lombardi e progressisti pugliesi”. Dopo la breve stagione delle privatizzazioni degli anni 90, infatti, la proprietà pubblica delle aziende cittadine è di fatto immutata ed esse rappresentano una fetta importante di Pil, danno lavoro a centinaia di migliaia di persone e possiedono un’enorme forza politica. 

Orbene, tra pochi giorni si tengono le elezioni per il rinnovo d’importanti amministrazioni cittadine, tra cui Milano, Napoli, Torino e Bologna e l’Adam Smith Society, associazione che propugna i valori del liberalismo e dell’economia di mercato, ha pensato di lanciare un Manifesto, non per liberare i proletari di tutto il mondo dalle loro catene ma, più prosaicamente, per sciogliere quelle del Comune di Milano sulle proprie società…” ma non solo quelle grandi: “Proponiamo inoltre la vendita delle società minori di carattere commerciale e l’alienazione del patrimonio immobiliare.”

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L’assalto alla diligenza è finito?  No. Come scrive  Questione giustizia trimestrale promosso da Magistratura democratica (https://www.questionegiustizia.it/articolo/il-d-d-l-2021-sulla-concorrenza-una-privatizzazione-annunciata) : “Il ddl sulla concorrenza ed il mercato (Draghi), prevedendo la privatizzazione sistematica dei servizi di acqua potabile, trasporti e rifiuti, oltre a porsi in aperta violazione dell’esito dei referendum del 2011, finirebbe per piegare alla logica del profitto servizi essenziali pregiudicando diritti primari delle persone e delle comunità locali, che solo un’oculata gestione pubblica può garantire.”

Sono passati 122 anni da quando il povero Picozzi fu insultato dai conservatori per aver voluto municipalizzare parte dei servizi funerari attaccando così l’iniziativa privata ma il dibattito non è molto cambiato.

Walter Marossi

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  1. Bianca botteroChe bella storia!
    19 maggio 2022 • 12:38Rispondi
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