3 maggio 2022

LA GRANDE PIANISTA ANGLO-GIAPPONESE

Con un programma non proprio felice


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Mitsuko Uchida, la pianista giapponese che ha vissuto in Europa fin dalla sua adolescenza (prima a Vienna e poi a Londra), è stata una delle mie grandi passioni dall’epoca delle sue prime apparizioni in Italia. Indelebile il ricordo del concerto che dette al Conservatorio per la Società del Quartetto il 17 novembre del 1992 (aveva da poco compiuto quarant’anni) in cui suonò tutto Mozart e, come bis, fece quel meraviglioso Andante della Sonata in do maggiore K. 545 raggiungendo, a mio giudizio, un apice della filologia mozartiana. D’altronde la Uchida è stata per l’intera sua vita una grande interprete di Mozart, tanto da averne inciso tutte le Sonate per pianoforte e – con la English Chamber Orchestra diretta da Sir Jeffrey Tate – tutti i Concerti per pianoforte e orchestra.

La settimana scorsa Mitsuko Uchida è ritornata al Quartetto con un programma che ho trovato incomprensibile e che mi ha lasciato basito: nella prima parte del concerto ha alternato due capolavori mozartiani (la Fantasia in do minore e la Sonata n. 17 in si bemolle maggiore) a 7 pezzi dello Játékok (Giochi) di György Kurtág secondo la seguente sequenza: un Gioco di Kurtág – la Fantasia di Mozart – 5 Giochi di Kurtág – la Sonata di Mozart – e ancora un Gioco di Kurtág, eseguiti senza mai staccare le mani dal pianoforte, avendo chiesto (ed ottenuto) di non essere interrotta con applausi. Dunque quarantacinque minuti di musica senza interruzioni, come fosse un’unica opera, compatta, con una pretesa di coerenza che lasciava molto a desiderare. Nella seconda parte il concerto ha assunto una naturale normalità con l’esecuzione delle meravigliose Davidsbündlertänze (“Danze dei compagni di David”), opera 6, di Schumann.

Perché sono rimasto basito. Innanzitutto, come ho detto più volte, non credo che si abbia il diritto, non potendo chiederne l’autorizzazione all’autore, di manomettere le opere d’arte del passato. Non solo per rispetto dei compositori, ma anche per rispetto del pubblico che ha il diritto di ascoltare l’originale delle opere senza inopinate contaminazioni proposte arbitrariamente dall’esecutore. Il quale pubblico, peraltro, viene sottoposto a uno stress non richiesto e distolto dal piacere dell’ascolto cui si era predisposto. 

Gli Játékok di Kurtág sono dei brevissimi pezzi didattici, scritti pensando all’infanzia e ai primi contatti con la musica e il pianoforte, carichi di allusioni alla musica dei grandi musicisti come György Ligeti, che di Kurtág è stato amico, e Béla Bartok che fu il suo compositore di riferimento. Dovendo legare le composizioni “molecolari” o “atomiche” (non so esprimere diversamente la struttura di quei pezzi elementari) di Kurtág ai capolavori mozartiani, la Uchida è stata costretta a frammentare il fraseggio della Fantasia e della Sonata di Mozart, e a stravolgerne il paesaggio sonoro, allo scopo di costruire un minimo di correlazione necessaria a rendere omogenea la struttura complessiva della lunga sequenza. Con risultati scarsamente accettabili per chi ama e sa gustare le opere per pianoforte di Mozart, il loro smalto, la brillantezza, la sottile ironia che le pervade e le rende uniche nel panorama musicale della sua epoca. L’operazione cui la pianista le ha sottoposte mi è parsa allineata con quanto alcuni registi di opere liriche impongono al repertorio ottocentesco, travisandone il senso per “modernizzarle” ed ottenere risultati del tutto diversi da quelli ricercati dagli autori.

A sostegno di quanto ho asserito, sottolineo l’estrema lentezza dell’Adagio introduttivo della Fantasia in do minore e, per contrapposizione, l’inquietante accelerazione dell’Allegro della Sonata, sicché il primo risultava addirittura noioso e il secondo praticamente incomprensibile. Insomma bisognava che Mozart assomigliasse di più a Kurtág e che Kurtág assomigliasse di più a Mozart, un vero pasticcio.

Finalmente con Schumann tutto è andato verso la normalità e la godibilità, benché abbia avuto la sensazione di una certa rabbia, di una mancanza di leggerezza – tanto essenziale in Schumann – specialmente nelle prime danze, quasi a voler affermare una sorta di disincanto verso la bellezza classica e per certi versi apollinea di quella musica e della sottesa passione che quelle danze significano. Sul frontespizio della partitura Schumann aveva scritto «Finché i mortali vivranno, gioia e dolore si mescolano; siate sereni nella gioia e affrontate coraggiosamente il dolore». Ma solo nelle ultime tre danze (Mit gutem Humor, Wie aus der Ferne, Nicht schnell – “con buon umore”, “come da lontano”, “non veloce”) Mitsuko Uchida ha ritrovato la serenità e la capacità di sognare con cui quella musica giovanile di Schumann andrebbe affrontata.

La Uchida a Milano è molto amata tanto che, nonostante una diffusa e palese perplessità, è stata applaudita al punto di dover concedere un bis ed ha eseguito il dolcissimo Andante cantabile dalla Sonata in do maggiore K. 330, ritrovando il suo magnifico aplomb mozartiano.  Il tempo lento della Sonata è una delle pagine più belle, poetiche, commosse, ma anche semplici e candide, scritte da Mozart; aveva 22 anni, era il luglio del 1778, e Wolfgang si trovava a Parigi. Pochi giorni prima era morta sua madre, e lui scriveva al padre “una notizia delle più tristi e dolorose”…

Ma se il pubblico del Quartetto si è dimostrato generoso con la sua beniamina, sembra che tre giorni dopo, quando a Londra ha ripetuto lo stesso programma, la Uchida non abbia avuto grande successo e che invece abbia trovato il pubblico della Royal Festival Hall piuttosto freddino. C’è da chiedersi a che cosa sia dovuta la scelta, apparentemente immotivata, di un programma così infelice. Uno dei tanti misteriosi effetti post-Covid? Non possiamo non augurarci che passi presto. 

Paolo Viola

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