19 aprile 2022
PROGETTI URBANISTICI E QUESTIONE CLIMATICA
Un caso concreto: il progetto Stadio San Siro
19 aprile 2022
Un caso concreto: il progetto Stadio San Siro
Il 5 aprile il professor Paolo Pileri, del Politecnico di Milano, è stato sentito dalle commissioni consiliari congiunte Affari Istituzionali e Città Metropolitana, Mobilità, Ambiente, Verde e Animali, Olimpiadi-Paralimpiadi Milano Cortina 2026 e Sport-Turismo-Politiche Giovanili-Politiche per il Benessere sul progetto – che non c’è, dovremmo dire: sul rendering del nuovo stadio per Milano, tanto auspicato dalle società finanziarie proprietarie del Milan e dell’Inter e sostenuta dal Sindaco di Milano, che il 5 novembre ne aveva fatto votare la pubblica utilità dal Consiglio Comunale.
Non mi ero mai invischiato nella discussione, per il semplice motivo che mi sembrava talmente evidente che si trattasse di un’opera di indubbia utilità privata – grazie alle robuste cubature che la accompagnavano, e agli altrettanto robusti appetiti immobiliari, che si approprierebbero praticamente gratis di un importante bene pubblico: un’area di 22 ettari e dello stesso stadio di san Siro, da venir respinta senza indugio.
Ma il contributo del professor Pileri ha aggiunto un ulteriore elemento alla discussione sul futuro di San Siro, un criterio fin qui trascurato dalla discussione, che si fonda su un documento strategico dello stesso Comune di Milano: il Piano Aria Clima, approvato nel febbraio scorso che prevede, tra l’altro, il raggiungimento della neutralità nelle emissioni di CO2 della città entro il 2050.
Il Professor Pileri ha posto una domanda fondamentale: un progetto urbanistico può permettersi, oggi, di “saltare” la questione climatica? Ci si rende conto che non basta valutare l’efficienza energetica di un edificio, ma che ogni nostra azione comporta un dispendio di energia e di materiali e una produzione di scarti e rifiuti?
Si può applicare a piacere, questo criterio, o non dovrebbe essere la base di un nuovo modo di concepire l’urbanistica, non più basandola su criteri economici ma fondandola su scelte che incidono su equilibri ecosistemici sui quali da diecimila anni si basa la nostra civiltà, e che si stanno deteriorando giorno dopo giorno?
Fatti due conti, seppur all’ingrosso, si scopre che la demolizione del solo cemento armato presente nel vecchio stadio, sommato a quello necessario per la costruzione del nuovo – escludendo dunque impianti, arredi, finiture ecc. comporterebbero emissioni di CO2 pari a oltre 210.000 tonnellate. Per la “mitigazione” di queste emissioni non sarebbero sufficienti i 10 ettari di verde pubblico immaginati nella proposta, nemmeno se si trattasse di dieci ettari di bosco fitto.
Per fare un paragone con un altro importante progetto milanese, che prevede di piantare 3 milioni di alberi in dieci anni: per assorbire le oltre 210.000 tonnellate di CO2 per demolire e ricostruire il “solo” cemento armato ipotizzato nella proposta, ci vorrebbe il 74% di tutti gli alberi piantati dal progetto ForestaMI dal suo inizio fino al 10 febbraio. E per farlo, queste piantine ci impiegherebbero un cinquantina di anni (ammesso che tutte fossero alberi di alto fusto, il che non è).
Considerando che, nell’ultimo decennio, probabilmente Milano ha prodotto qualcosa come oltre 5 milioni di tonnellate di CO2 all’anno, e che ci siamo impegnati a dimezzare le emissioni in otto anni, si comincia a capire che, forse, il criterio finanziario o quello sportivo non possono essere i criteri prevalenti nelle scelte urbanistiche, ma, per dirla col professor Pileri, le necessità della transizione ecologica ci dovrebbero spingere a curvare i nostri progetti urbani alle regole dell’ecosistema, senza aspettare che sia l’ecosistema a piegarsi alle regole del profitto finanziario, come abbiamo tranquillamente fatto sino ad oggi.
Mi permetto di aggiungere che il caso San Siro è, appunto, solo un caso: l’intera pianificazione urbanistica e tutti i progetti a scala urbana, a cominciare dagli scali ferroviari, che insistono sul territorio della città metropolitana, dovrebbero essere sottoposti a valutazione dell’impatto climatico ed ecosistemico. Sperando che, se ci sono voluti cinquant’anni solo per capire che la plastica è un materiale meraviglioso e utilissimo, ma va usata e smaltita correttamente per non trovarcela nel cibo, nell’acqua e anche nel sangue, non ci voglia altrettanto per far arrivare questa semplice necessità nella testa di chi amministra quel bene prezioso e limitato che è il nostro territorio.
Luca Bergo
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