25 gennaio 2022

MUSICA NUOVA DOPO IL COVID

Il coraggio di fare sistema


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Chiedo scusa per la civetteria, ma mi è difficile non dire ai miei lettori che questo, che mi accingo a scrivere, è il 500° “pezzo” che pubblico su Arcipelagomilano. Sì, avete letto bene, cinquecento riflessioni come questa che state leggendo. 

Un po’ per nostalgia e un po’ per curiosità, sono andato a ripescare il primo di questi “pezzi”, che porta la data del 12 febbraio 2009, data di nascita del nostro giornale. L’ho riletto e ho pensato di riproporlo tal quale, per una riflessione sull’oggi, sulla ripresa della musica dal vivo, “in presenza” – l’unica che val la pena di ascoltare – dopo due anni di astinenza. Eccolo.

Sentir musica a Milano

Pochi milanesi o lombardi sanno di vivere in uno dei rarissimi luoghi al mondo – insieme a Parigi, Londra, Berlino, New York e non molte altre città – in cui è possibile ascoltare, con elevatissima frequenza, e dal vivo, i più grandi interpreti ed esecutori di musica “colta”.

Se facciamo un rapido calcolo di quante persone vivono in queste poche grandi “città musicali” e quale modesta percentuale di essi abbia la disposizione d’animo per frequentare le sale da concerto, ci rendiamo facilmente conto che la fortuna di poter ascoltare tanta musica di così grande livello artistico e professionale arride ad una sparuta minoranza di esseri umani; e noi abbiamo questo privilegio “in casa”!

Milano infatti, oltre ad ospitare quel monumento musicale straordinario che è il teatro alla Scala, dispone di altre magnifiche sale da concerto con una programmazione molto vivace come l’Auditorium di largo Mahler, le sale Verdi e Puccini del Conservatorio, il teatro Dal Verme, il teatro degli Arcimboldi e molte altre meno note (dall’Aula Magna dell’Università Cattolica alla palazzina Liberty di largo Marinai d’Italia, solo per fare due esempi), ma anche di molte chiese che accolgono abitualmente importanti eventi musicali (come ad esempio San Simpliciano, San Marco, San Vincenzo, Santa Maria della Passione, San Satiro, la chiesa protestante di via del Giardino, ecc.).

Milano gode anche della presenza di numerose e qualificate istituzioni che promuovono e gestiscono attività e intere stagioni di opere e concerti come – oltre alla Scala, ovviamente, con le sue stagioni di opere liriche, concerti sinfonici, balletti, ecc. e con le sue due orchestre, la stabile e la Filarmonica – la Fondazione Orchestra Verdi, l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali, la Società del Quartetto, le Serate musicali, la Società dei Concerti per citare le più celebri, ma anche Musica Rara, l’Orchestra Milano Classica, e tante altre. Né va taciuta la ricca offerta musicale degli altri capoluoghi lombardi, con Bergamo, Brescia e Pavia in testa.  

Ciò che è curioso, e che vorremmo porre come “questione musicale” ai nostri lettori, è la totale incomunicabilità fra le diverse istituzioni, la totale assenza di coordinamento fra le diverse iniziative, la sostanziale mancanza di specializzazione delle diverse proposte.

Mettiamoci nei panni dei fruitori: la più tradizionale delle abitudini è quella di abbonarsi a una o più “stagioni”: magari una di musica sinfonica e un’altra di musica da camera, mediamente due concerti alla settimana. A questo punto il gioco è fatto, il nostro melomane finirà fatalmente per ascoltare solo quello che gli viene proposto attraverso gli abbonamenti, non sceglierà più né un programma né un interprete, altri sceglieranno per lui; poi interverrà la forza di inerzia e di appartenenza, per cui si abbonerà ogni anno al medesimo ciclo e finirà per essere definitivamente uno “scaligero”, un “quartettista”, ecc. 

Ma perché non immaginare un vero e proprio “sistema” milanese che offra la possibilità di scegliere – stagione per stagione – un percorso musicale su misura dei propri interessi e tendenze, magari scandito dalle celebrazioni dei vari anniversari (il bicentenario della nascita di Mozart, nel 2006, ha oscurato il centenario della morte di Schumann, e l’anno prossimo, nel 2010, coincideranno gli anniversari delle nascite di Chopin e di Schumann ….) o dalle “opera omnia” di alcuni autori, o piuttosto dalla lettura di cicli “integrali” di opere (come le recenti Sonate beethoveniane di Daniel Barenboim alla Scala)?

Sarebbe straordinariamente affascinante che – pur nella indispensabile e preziosa diversità e nella libertà di scelta e di proposta delle varie istituzioni – potessimo sfruttare appieno la ricchezza musicale delle città lombarde, e di Milano in particolare, per godere di una programmazione “intelligente” – complessiva, creativa, mirata, colta – volta a promuovere una grande unica stagione piena di alternative stimolanti e fondativa, nel corso degli anni, di una completa esperienza musicale.

***

Come ben si sa, non è successo nulla di ciò che auspicavamo nel 2009. Le istituzioni musicali milanesi hanno continuato a fare i programmi ciascuno per conto proprio, senza comunicare fra loro, senza un minimo “piano” concordato per offrire ai loro abbonati e frequentatori un qualsivoglia appiglio per una approfondita crescita culturale. Tutte generaliste, tutte alla ricerca di opere, autori e interpreti il più attrattivi possibili, senza alcun intento di ricerca, di analisi, di approfondimento di epoche, di stili, di linguaggi musicali.

Ho ritenuto di riproporre il tema perché ho la vaga sensazione che – se è vero che tutto non è e non sarà più come prima – anche questo tema potrebbe inserirsi nel “nuovo” che stiamo cercando e cui stiamo aspirando. Un “nuovo” più riflessivo, che cerca di andare più in profondità sia nella conoscenza che nel piacere, che ha bisogno di credere di più in quello che fa e in quello che ama.

E cosa meglio della musica, o dell’arte in generale, che per essere goduta appieno ha bisogno di essere preceduta da un minimo di conoscenza, che si nutre di relazioni e di confronti, che ha bisogno di seguire percorsi di approfondimento se non di apprendimento? Tanto, ne ha bisogno, che siamo sempre più afflitti da sermoncini introduttivi ad ogni esecuzione, sermoncini per lo più tenuti da artisti e interpreti che, pur sapendosi esprimere meravigliosamente con il loro strumento, faticano molto a trovar le parole giuste per “raccontare” la musica. Mestiere peraltro difficilissimo.

Allora coraggio, caro Sindaco, che per cinque anni ha avuto un musicista come Assessore alla cultura, perché non avvalersi di queste o di altre competenze che a Milano non mancano certo, per convocare le istituzioni musicali della città e proporre loro stagioni e programmi coordinati, virtuosi e stimolanti, per far diventare la Milano post-covid vera capitale musicale d’Europa? 

Paolo Viola

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