25 gennaio 2022

TRANSIZIONE ECOLOGICA

Sviluppo versus crescita


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Negli anni dopo il boom economico durante la stagione dei sindaci socialisti, Milano sembrava, tra le grandi città europee, quella urbanisticamente più arretrata e si guardava alle altre con senso di frustrazione in quanto non si riuscivano ad attivare quei processi di crescita che allora riguardavano tutta Europa.

Già allora riflettevo con molta ingenuità su quella situazione, e valutavo che Milano, invece di mettersi all’inseguimento delle altre città europee di scala analoga, avrebbe potuto impegnarsi a migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti sviluppandosi qualitativamente invece di crescere quantitativamente.

Mi rifiutavo già allora infatti di considerare crescita e sviluppo come sinonimi; termini che ancora oggi vengono utilizzati indifferentemente in tutti i discorsi, per quanto il termine “crescita” prevalga ormai con sempre maggior frequenza nei programmi politici.

E’ stato Gabriele  Albertini, il sindaco che aveva definito  le sue competenze pari a quelle di un amministratore di condominio, ad aver posto le basi della grande crescita  successiva con l’impostazione  dei grandi interventi che si sono poi realizzati con le amministrazioni, che seguirono, di Pisapia e di Sala, come lo stesso Manfredi  Catella ha riconosciuto attribuendo ad Albertini il “merito di aver individuato nella rigenerazione urbana una visione e una risorsa rispetto alla quale le successive amministrazioni di diverso orientamento politico hanno agito in continuità.” 

Milano e poi diventata dopo Expo 2015 la città ove gli investimenti in ambito immobiliare hanno avuto una diffusione e un incremento tale da configurarsi come elemento caratterizzante di quel “Modello Milano” diventato parametro di riferimento per misurare la crescita urbana delle città italiane ed europee.

Mentre in passato questa situazione ha posto Milano in una condizione invidiabile, per quanto a scapito degli altri comuni della Città metropolitana, in prospettiva il trend di crescita lascia presagire l’insorgere di una bolla speculativa che potrebbe avere ripercussioni molto negative non solo a livello locale.

Ma al di là di tale rischio, la situazione si è improvvisamente aggravata a causa del Covid che ha grandemente ridimensionato il turismo, la domanda di spazi per ospitare le attività amministrative degli uffici privati e pubblica con l’adozione generalizzata del lavoro da remoto. Fattore che ha anche modificato, insieme alla DAD, l’organizzazione della vita domestica per l’esigenza di riservare spazi adeguati alle funzioni lavorative e di studio che nella maggior parte delle abitazioni non sono disponibili.

Ma ci sono altre scadenze che incombono al 2030 per affrontare le 17 sfide SDG dell’ONU e dell’UE per raggiungere l’azzeramento delle emissioni clima alteranti  al 2050 entrambe fondamentali per la transizione ecologica che per i territori a forte indice di crescita, secondo alcune previsioni, potranno costare lacrime e sangue. 

Prendiamo in considerazione uno studio con un’ottica progettuale, già citato su queste stesse pagine, eseguito dalla Fondation Braillard Architectes di Ginevra, Dessiner la Transition – dispositif pour une métropole écologique  che recita: “Il processo della transizione ecologica non può essere espressione di un virtuosismo spaziale, sociale e tecnico che possiamo dispiegare con il piacere e la disinvoltura di chi concepisce il futuro con un orizzonte infinito pieno di promesse e successi. Al contrario: è un muro, descritto da molti studiosi di catastrofi contro il quale l’umanità sta andando a scontrarsi a una velocità sempre maggiore e con un rifiuto della realtà sempre più sconvolgente.”

Si osserva anche che “se a partire dal 27 settembre del 2011, giorno in cui abbiamo raggiunto e superato il livello delle risorse che il pianeta è in grado di mettere a disposizione del genere umano, avessimo bruscamente limitato i nostri consumi a scala mondiale, per rispettare tale limite, avremmo dovuto consumare, mangiare, utilizzare acqua ed energia e viaggiare di meno nella misura del 25%.”

Per valutarne il possibile impatto basta considerare che nel 2020 l’effetto recessivo in termini economici è stato, in occasione del primo lockdown, del -8,9% a scala nazionale e dell’-11% localmente e in quella situazione i buoni propositi di non tornare ad agire come prima della pandemia, sono stati sbandierati un po’ da tutti.

Ma ora non si fa che esprimere il proposito di tornare e possibilmente incrementare gli indici di crescita anteriori alla pandemia i cui effetti recessivi dovrebbero invece essere considerati come un’occasione per ristrutturare l’economia e la società in funzione delle sfide ambientali che si devono affrontare in termini temporali che sono ormai di assoluta emergenza.

Bisognerebbe allora incominciare a ragionare e governare il sistema considerando gli effetti economicosociali della pandemia come una “catastrofe” nei termini scientifici in cui è stata concettualizzata da René Thom. Il presupposto è che in ogni caso, per quanto si pretenda di tornare alla situazione precedente si hanno delle trasformazioni irreversibili e bisogna ripartire da queste.

E non tenerne conto è il primo degli errori che la politica del ritorno al quo ante sta commettendo. Non posso essere io a definire quali siano gli aspetti di non ritorno, ma dove sono gli economisti e i sociologi che sarebbero in grado di farlo? 

Per ascoltare qualche chiara idea in proposito dobbiamo ancora rivolgerci all’ultranovantenne Noam Chomsky che interrogato riguardo al virus ci ha parlato di una situazione complessa a livello socioeconomico che ha subito una catastrofe dalla quale si potrà uscire soltanto contendendo l’egemonia ai poteri forti del liberismo e della politica ad essi subordinata, attraverso una mobilitazione sociale di cui al momento solo i giovani di Friday for Future e Extinction Rebellion sembrano essere consapevoli.

La riflessione che cerco di proporre riguarda il fatto che paradossalmente i territori e le città che più si sono avvantaggiati della crescita, e tra questi senz’altro Milano, saranno quelle che più hanno a soffrire per la transizione ecologica e che, in assenza di un’appropriata politica di rientro, subiscono una crisi ancora più grave di quella causata dalla pandemia.

Per fare un confronto con Torino, una città con la quale ci siamo sempre storicamente misurati fin dalla stagione del Triangolo Industriale, la condizione di relativa depressione in cui si trova rispetto a Milano, le può consentire un riequilibrio del proprio assetto socioeconomico durante la transizione ecologica, molto più agevole. 

E lo studio Che cosa è cambiato? condotto dalla Regione Piemonte insieme alla ALS su stili di vita, luoghi di lavoro e clima sembra una buona premessa non soltanto per potersi confrontare con i cambiamenti irreversibili causati dal Covid ma anche per affrontare la transizione ecologica. 

Qui da noi non mi sembra sia stato fatto alcunché di simile a parte indagini settoriali sulla diffusione del virus, su ospedalizzazioni e mortalità e sugli effetti recessivi sul turismo e sui consumi.  Ma nessuna istituzione o organismo di ricerca, che io sappia, che si sia impegnato a progettare come confrontarsi con la transizione ecologica. 

Per quanto può interessare, segnalo ancora l’esperimento messo in atto insieme ad alcuni colleghi per affrontare, con un ciclo di incontri intitolato Milano dopo la pandemia, i principali problemi che la Città metropolitana di Milano si trova a dover affrontare e di cui abbiamo già trattato su queste pagine. 

Segnalo anche la recentissima pubblicazione della Agenda metropolitana urbana per lo sviluppo sostenibile che potrebbe diventare lo strumento per avviare la partecipazione informata al progetto di transizione ecologica dei nostri territori. alla quale siamo tutti invitati ad iscriverci.

Speriamo Bene!

 

Emilio Battisti 



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  1. Gianni ScudoCrescita versus sviluppo. Il tema crescita/sviluppo dibattuto dai contributi teorici dell'ambientalismo contro culturale - anarchico ( da Kropotkin a Boochkin ) viene riproposto e tematizzato fra gli altri a cavallo degli anni '60 - '70 dal Club di Roma. " Crescere significa aumentare di dimensioni mediante assimilazione o concrescenza di materiali. Sviluppare significa realizzare le potenzialità di qualcuno o di qualcosa.Qualcosa che cresce diventa quantitativamente più grande; quando si sviluppa diventa qualitativamente migliore.Il nostro pianeta si sviluppa nel tempo senza crescere. La nostra economia, un sottosistema della terra, deve alla fine adattarsi ad un analogo schema di sviluppo ( Meadows, Meadous, Randers, Oltre i limiti delle sviluppo, Il Saggiatore, Milano, 1993). Purtroppo la poca fortuna per primo libro sui limiti dello sviluppo - pubblicato in italiano esattamente 50 anni fa - é legata al grave errore di traduzione del titolo originale "Limits to Growth" come "limiti dello sviluppo" che per definizione non ha limiti.
    26 gennaio 2022 • 19:36Rispondi
  2. Bianca botteroC'è una incomprensibile inconsapevolezza rispetto ai pericoli ai quali andiamo incontro Sembra che la tecnologia potrà comunque salvarci. E bellezza, benessere e mettiamoci anche bontà sembrano concetti obsoleti, obiettivi privi di sostanza concreta...
    27 gennaio 2022 • 16:53Rispondi
  3. fiorello cortianaCondivido le riflessioni precedenti e trovo centrale quella di Bianca Bottero. La tecnologia è un espediente strumentale, laddove, nello sviluppo dell'Intelligenza Artificiale, si affida all'espediente/algoritmo lo sviluppo e la definizione del processo cognitivo e quello delle valutazioni/scelte, c'è da preoccuparsi veramente.
    3 febbraio 2022 • 22:55Rispondi
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