3 maggio 2022

1° MAGGIO. IL RUOLO DEL LAVORO

Aspettando le politiche attive


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La sfida del Lavoro, tra pandemia e guerra, in Europa è questa: qualificare il proprio ruolo e comunicarlo, per essere riconosciuto e apprezzato: avere valore. Se per l’opinione pubblica sei un residuo d’altri tempi, se sei in ritirata di fronte alle macchine e ti difendi, non vali niente! Ti daranno un tozzo di pane; assistenza. Per valere, devi stare nelle relazioni, avere un ruolo utile, crederci e comunicarlo.

Il Lavoro. Va dall’imprenditore che organizza (“un lavoratore che rischia” – Walter Veltroni) al professionista dipendente e autonomo (reggono la baracca), all’impiegato esecutivo scontento e lasco, al giovane precario, povero o ingabbiato (i lavoretti). Ora, i collaboratori al Nord mancano e hanno perso reddito nel decennio. Pagano più tasse dell’imprenditore e insieme formano un sistema economico spesso performante all’esterno ma che arretra, scontenta e vacilla all’interno. È un problema per la società aperta, la Democrazia, che offre argomenti ai Paesi autoritari: se conta la macchina, l’organizzazione (se questa è Scienza e il Lavoro un costo), si faccia sistema con forza, si unifichi il comando (il Partito) e si distribuisca quanto serve. E tutti zitti. Ma, non è così: le macchine (le cose) sono importanti ma le relazioni, la direzione di marcia e l’apertura lo sono di più. Solo uniti fanno Scienza. In ogni istante l’uomo (competente in relazione) è presente e consapevole, intraprende e decide, si cura, innova; rischia. Si tratta di creare, non di distribuire!

“DATORI DI LAVORO SCELTI”

Lo dimostra una indagine PwC tra i direttori di grandi aziende Usa sui rischi percepiti emergenti nel 2021. Traggo le informazioni da NC State University – Enterprise Risk Management Initiative. L’approccio è quello pragmatico e positivo del più avanzato Risk management: i rischi sono possibilità sia positive (performances) sia negative (conseguenze indesiderate, danni); aree benedette, indispensabili, da amare e temere, esplorare e gestire, sviluppare e rispettare. Avanzano due temi in particolare:

Primo: “La gestione dei talenti è in cima all’elenco delle priorità e dei rischi”. Le imprese si differenziano per competere come datori di lavoro (al 75%); cercano di scoprire e attirare i migliori talenti; di essere “datori di lavoro scelti”. Gli Usa sono sempre frontiera!

Secondo: preoccupano i rischi “ESG” (nell’indicazione Onu: Ambiente, Inclusione sociale, Decisioni condivise). Occuparsi di questi rischi è un “imperativo aziendale” (per il 52%) strategico (per il 64%). Ora, i Cda mirano a “legare la retribuzione dei dirigenti a parametri non finanziari”, e a diversificare la loro composizione, specie in termini di etnia (premiano la “D & I” – Diversità e Inclusione). Insomma, le imprese Usa ci danno filo da torcere, anche culturale. Emergono tre capitoli di rischi da correre / gestire / profittare:

1° Talenti (Capitale umano): cercarli, formarli, soddisfarli;

2° “ESG” (Ambiente, Società, Governance) come visione globale;

3° “D & I” (Diversità & Inclusione). La Relazione si porta al centro; si fa ricchezza.

Nell’impresa appare un sorprendente tono e calore umano, relazionale; positivo e produttivo. Bellissimi questi Rischi! Vien da dire: come è lontana e stupida la guerra!

Per inciso, nella squadra del Risk management, appare un nuovo specialista: il “Responsabile delle preoccupazioni” (Chief Worry Officer). Si prende cura degli eventi insoliti, dei quasi sinistri (near miss) e dei timori e malumori sussurrati dai competenti.

QUALITÀ E MOBILITÀ. RADDOPPIA LA CONCORRENZA

Tutto ciò mentre in Europa ci attardiamo sul costo del lavoro (a sé stante). Non è il fattore decisivo nel tipo di globalizzazione che si prospetta: far rientrare produzioni e stringere rapporti di interscambio tra partner “democratici” (friend-shoring). Obbliga al rispetto delle opinioni pubbliche coinvolte. Se no, ti fai una brutta immagine, perdi valore, non attiri risorse umane e investimenti qualificati. Perdi i giovani e non vieni scelto. Conta la qualità.

Serve allora ritessere il rapporto con il Lavoro: “un rinnovato ciclo di protagonismo sociale”, dice Dario Di Vico nell’Editoriale del Corriere della sera del 1° maggio. Con quali obiettivi? Orientare e Formare talenti innanzitutto di imprenditori che attirino investimenti con le loro idee, i loro progetti; e poi di competenti che li affianchino. Formarli e farli incontrare, affinché si ingaggino reciprocamente, con soddisfazione. E sostenerli, aiutarli nelle crisi (produttive e relazionali). Magari, anticiparle le crisi. È chiaro: penso a una stagione di protagonismo plurale e sostanziale; a rappresentanze dinamiche e dialoganti; a un diritto collettivo basato sul diritto individuale alla Mobilità sociale, che è il segreto del nostro boom negli anni ‘60. Anni in cui a Milano c’erano, pare, 90mila studenti nelle scuole serali. Con la Mobilità raddoppia il tasso di concorrenza del sistema economico.

I SERVIZI ALLE IMPRESE!

Concretamente. Formare e sostenere imprenditori e collaboratori per offrire chance, fare giustizia, e per recuperare un grave ritardo che ci penalizza: i Servizi alle imprese. È il nostro tallone d’Achille. Se cresciamo qui il manifatturiero vola e stravince. Dice Dario Di Vico: “Abbiamo un impresentabile terziario low cost che ci fa apparire dei nani della società dei servizi a confronto dei partner europei”. Sì. Abbiamo trascurato i Servizi alle attività, di cui è protagonista il lavoro autonomo e capitale la Lombardia. Quali Servizi? Molti, tra cui quelli finanziari, digitali e relazionali, appunto. È il primo rischio d’intrapresa!

Una prova? Nell’infuocato dibattito sul rinnovo del Cda di Assicurazioni Generali, grandi azionisti si sono sfidati senza dire una parola sul ruolo della più bella compagnia di assicurazioni, ad eccezione dell’ex presidente Galateri di Genola, che ha visto l’esigenza che si orienti alla Prevenzione dei danni: per rendere sostenibili (più sicuri: ad securo) i sistemi, in coerenza con l’indirizzo europeo a investire sulla prospettiva. Tema centrale, decisivo. E il dibattito? Non esiste! Politica assente, giornalisti distratti, Servizi scarsini.

LA POLITICA, LA LOMBARDIA E MILANO

Dunque, il Lavoro inteso in senso ampio, positivo, creativo (imprenditivo e collaborativo), è questione e rischio chiave: di performance e di sostenibilità delle attività, e non solo economiche. La Lombardia ne parli in un dialogo globale. È il dialogo che fa la Pace! Diamoci tre grandi obiettivi. I primi due li ho detti: rinsaldare le Reti di intrapresa e crescere nei Servizi alle attività. Il terzo riguarda la qualità della Politica: se non si basa su competenze organizzate in modo continuativo e per progetti di cambiamento credibili, affonda e noi con lei. Non basteranno bravi leader risoluti e forti Istituzioni stabili.

Ed è l’aspetto istituzionale (il governo) l’emergenza per il Lavoro. L’assetto attuale, frammentato, alimenta la sfiducia tra imprese, collaboratori e rappresentanze. È vecchia cultura. In particolare, le Agenzie del Lavoro dipendente (AFOL a Milano) sono in fermento e sostenute dal Governo centrale (il Pnrr mette 5 miliardi), ma se non si aprono alle parti sociali e al privato (con golden share di indirizzo pubblico) le Politiche attive non decolleranno; non si schioderanno da risultati miseri, insostenibili. Lo ha detto chiaro alla Lombardia il ministro Orlando. Molto dipende da Milano, dal Sindaco Sala. Siamo svelti ad allinearci. Poi, nella pratica, rischiamo di tornare a difendere l’orticello. Apriamoci, invece!

Francesco Bizzotto

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