2 novembre 2020

FARE MILANO!

Sì, ma chi la sa fare veramente? Non il Comune


Il dibattito sull’urbanistica Milanese emerso dai tavoli di Rifare Milano ha fatto capire dove realmente stanno le competenze e chi le ha. Ma chi le ha si muove nell’interesse colletivo?

Della recente serie di sette incontri che hanno riportato al pubblico le discussioni svolte in precedenti 37 tavoli di lavoro, riguardanti varie questioni rilevanti per Milano, dalla città dei quartieri a quella della salute dallo smart working alla qualità della vita, dalla città della conoscenza a quella della transizione ambientale, ho avuto la possibilità di seguire da remoto solo quest’ultima.

E devo dire che per quanto curata dal Centro di Ricerca Green della Bocconi le chiacchiere – compreso l’intervento di apertura dell’assessore Granelli – sono state parecchie. Ma alcuni interventi hanno destato il mio interesse: oltre a quelli di Luca Mercalli, Fabio Gerosa, Federico Esposti ed Elena Granata quello introduttivo di Edoardo Croci direttore del Centro.

Croci ha presentato un fitto elenco di azioni da intraprendere a fronte dei rapidissimi cambiamenti imposti dalla pandemia e alla non rinviabilità delle criticità preesistenti, proponendo di adottare una strategia integrata basata su qualità ambientale, rilancio economico e dinamismo sociale a cui corrisponda una visione della città in grado di perseguire innovazione digitale ed equità sociale insieme a nuovi modelli di business.

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Ma Croci si è poi chiesto:” Chi guida la transizione ambientale?” E rileva che a prescindere dalla molteplicità dei settori e dei soggetti coinvolti in un quadro di grande complessità, emerge la necessità di una regia centrale che trovi attuazione in un “Piano strategico comunale e in un grande progetto simbolico (sic!), che si facciano catalizzatori degli sforzi della città.”, definendo chiaramente le politiche più urgenti a livello strategico e comunicativo. Croci allude poi a una città non compresa entro i limiti amministrativi comunali che arriva ben oltre la Città metropolitana fino a superare i confini regionali.

Chi prova a risponde a questo interrogativo è, del tutto inaspettatamente, Manfredi Catella che interviene da remoto, mostrando una barba più lunga del solito a cui l’intervistatore, dopo avergli riconosciuto il merito per avere cambiato con i suoi interventi molto visibili la skyline della città, chiede quale sia il prossimo passo da compire per la trasformazione della città.

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Catella premette che siamo in un momento importantissimo e che si può finalmente far riferimento a una visione che è essenziale perché ogni progetto possa poi avere anche testa e gambe. Visione che, se non ho capito male, sarebbe quella della UIA (Urban Innovative Actions) europea. Osserva anche che Milano è stata una città d’eccellenza ma che ha accentrato troppo energie e risorse disponibili con iniziative che hanno contribuito a differenziarla rispetto al resto del paese

A parere di Catella, Milano deve ora assumere un ruolo non solo autoriferito ma solidale e di traino rispetto al resto del paese per creare una rete di città interconnesse da una grande infrastruttura. Sostiene Inoltre che quando si parla di sostenibilità bisogna passare dalle considerazioni qualitative a delle valutazioni quantitative utilizzando con professionalità i dati di cui disponiamo

Ritiene di conseguenza che l’Amministrazione di Milano debba fare un passo avanti definendo quantitativamente quali sono gli obiettivi a livello sociale rapportandoli alle dinamiche di mercato con un approccio “industriale” di alta professionalità per il quale servono anche le competenze dei funzionari.

Un approccio industriale – quindi non urbanistico – che è indispensabile anche per finanziare le opere che servono a far diventare Milano un esempio di eccellenza a livello mondiale. Ma per fare ciò è necessario investire per superare l’inadeguatezza della amministrazione pubblica nell’affrontare gli scenari della transizione urbana

In oltre in vista della prossima campagna elettorale, che potrebbe mettere in crisi sperimentati rapporti di potere, suggerisce di mettere da parte le possibili ideologie fondate su sentimenti e non su elementi oggettivi, di cui un recente esempio negativo è stato l’acceso dibattito sulla recente legge regionale per la rigenerazione urbana e il recupero del patrimonio edilizio esistente.

Sarebbe invece necessario un piano finanziario con cui il Comune definisca i propri obiettivi e assegni di conseguenza determinati incentivi. Diventando quindi più professionale dotandosi di strutture e uffici tecnici in grado di gestire una transizione urbana che non è certo paragonabile con le fasi di sviluppo urbanistico avute in passato.

Se si confrontano le sue idee attuali con quanto dichiarato poco più di due anni fa in occasione di un incontro organizzato da InArch presso Assimpredil-ANCIEper la presentazione in anteprima del bando di concorso dello scalo Farini, si notano dei notevoli passi avanti.

Anche allora aveva esordito affermando che la sua partecipazione all’operazione scali era finalizzata a fornire un “contributo industriale” e aveva aggiunto due considerazioni sul metodo e nel merito. Riguardo al metodo aveva manifestato poco interesse per la progettazione architettonica e urbana affermando che, In occasione del concorso dello scalo Farini, l’architetto era “tenuto a prefigurare l’impostazione strategica di un processo industriale” e non l’assetto urbanistico di un pezzo di città immaginandone l’architettura. La progettazione doveva rappresentare l’ultima fase del processo e essere subordinata alle determinanti di carattere tecnico economico.

Per quanto al merito rispetto al tema della rigenerazione urbana, aveva segnalato – sia che si trattasse di un’area urbana, di un quartiere o di un edificio – l’importanza della “tecnologia come fattore produttivo” e che la razionalizzazione tecnologica avrebbe dovuto riguardare anche i temi noti, dalla mobilità, all’energia, alla sostenibilità.

Ma Catella si era espresso su questioni di ben altro livello, affermando che se prima della crisi finanziaria mondiale del 2008 la cultura della città era individualista, con forme architettoniche molto iconiche, da quel momento doveva prevalere invece una ricerca di socialità e per quanto riguardava le soluzioni progettuali aveva indicato un orientamento sintetizzato nella frase un po’ sibillina:” ritrovare un codice italiano, nella rigenerazione urbana, che non sia solo italiano.”

In quelle dichiarazioni era inevitabilmente assente il riferimento alla crisi attale che, per quanto più acuta di quelle del 2018 e del 2015 egli definisce come “momento importantissimo” perché non gli sfugge sicuramente che ne potrà derivare una domanda abitativa completamente nuova e che la città, i suoi spazi e gli edifici dovranno non solo rigenerarsi ma mutare completamente nella forma e nelle prestazioni.

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Inoltre nel denunciare il ruolo accentratore che Milano ha svolto è nel proiettarla a scala nazionale a formare “una rete di città connesse” è certamente consapevole quel ruolo vada ineluttabilmente esaurendosi e con esso la bolla speculativa dell’edilizia di lusso. Ora diventa più conveniente rispondere ai bisogni abitativi dei ceti meno abbienti.

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Operazione che va fatta coinvolgendo necessariamente l’amministrazione pubblica e in particolare il Comune che deve quantificare il fabbisogno e coadiuvare il privato nel programmare e realizzare gli interventi. Ma con grande realismo, alludendo alla partnership pubblico-privato, denuncia che il Comune appare del tutto impreparato ad affrontare la fase tanto complessa della transizione urbana.

Considerato che Catella ha una visione imprenditoriale tanto avanzata con la quale è difficile immaginare si possano confrontare non solo i funzionari comunali ma gli stessi amministratori eletti e nominati.

Per evitare tanti inutili passaggi e colmare un colpevole vuoto di potere e di idee, non varrebbe la pena di dargli anche ufficialmente in mano lo sviluppo della città? Politique d’après.

Emilio Battisti



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  1. Annalisa FerrarioBella provocazione. Certo, già adesso Assessori e Dirigenti che decidono tutto non vengono eletti né rispondono ai cittadini, ma più spesso alle lobby con cui hanno contatti più diretti e quotidiani. Tanto vale... Saluti
    4 novembre 2020 • 11:38Rispondi
  2. Giampaolo ArtoniCaspita Battisti che salto! Il tuo non quello di Manfredi. Si, penso che sia tra i pochi con un'idea di progresso e il coraggio di metterla in pratica, tra altro con successo, capacità di ascolto e sintesi in salsa pragmatica. Ho un solo dubbio: sicuri che poi non perdiamo uno dei migliori imprenditori italiani nel marasma appiccicoso della burocrazia e della politica? Forse che di veri imprenditori coraggiosi non abbiamo più bisogno? Parliamone.
    5 novembre 2020 • 11:32Rispondi
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