9 novembre 2021

I GRANDI E IL CLIMA

Per finire: Milano che fa? La follia di San Siro


cortiana

“Flop26”,”Nomore blah, blah blah”.Real climate action now”.”System change, not climate change”. I titoli dei giornali. Greta Thunberg e Vanessa Nakate, dalla Svezia e dall’Uganda, a nome di migliaia di giovani di tutti i continenti, chiedono conto ai potenti adulti delle condizioni con le quali viene consegnata a loro la Terra. “Ci sono state 26 Cop, decenni di bla bla bla, ma intanto continuano a costruire nuove infrastrutture per le fonti fossili, ad aprire nuove miniere di carbone e non pagare i danni ai paesi più colpiti. Questo è vergognoso”. “Ci dicono che siamo radicali – ha concluso Greta -, ma tenere il mondo verso 2,7 gradi di riscaldamento non è radicale, è folle”. Una generazione di attivisti esigenti e determinati perché ben informati.  

Nonostante un lento spostamento verso le rinnovabili, la finanza pubblica internazionale rimane sbilanciata a favore dei progetti fossili. Nel 2020, secondo le stime di Bloomberg, le sole nazioni del G-20 hanno contribuito con quasi 600 miliardi di dollari a progetti di petrolio, gas e carbone. Global Oil & Gas Exit List (GOGEL), database di Urgewald, ReCommon, Greenpeace, fotografa le attività di 887 società petrolifere e del gas e gli investimenti che ricevono. Ad es. come si muovono le principali banche e assicurazioni italiane? Da Intesa San Paolo a Unicredit, il miglioramento si registra sul carbone, mentre sugli altri combustibili fossili gli investimenti sono massicci. A Generali viene riconosciuto un impegno sul disinvestimento, ma è in controtendenza, per eccessiva lentezza, proprio sul carbone. 

A Glasgow è iniziata la seconda settimana della Cop 26, la settimana della definizione degli impegni e dei controlli della loro attuazione. La stima delle Nazioni Unite ha evidenziato che la somma dei piani climatici nazionali porterebbe la Terra a riscaldarsi di 2,7 °C in questo secolo. Quasi il doppio dell’1,5° stabilito come soglia di sicurezza dall’Accordo di Parigi del 2015, con conseguenze catastrofiche per l’integrità del pianeta e di chi lo vive. Già oggi, con 1,1°C di riscaldamento, il pianeta è interessato da incendi e siccità sempre più frequenti, migrazioni e crisi economiche.  I dati della scorsa settimana dicono che, nel 2021, le emissioni globali di CO2 torneranno ai livelli pre-pandemia. Questo è il riscaldamento globale. 

Ognuno di noi è chiamato ad esprimere una coscienza di specie, a condividere competenze, esperienze e buone pratiche, ad avere costumi e consumi sostenibili, ad essere partecipe e non spettatore del movimento dei giovani di tutto il mondo che vuole avere una partecipazione informata al processo deliberativo. Per questo anche le considerazioni più drammatiche non vanno oltre la ritualità apotropaica, consolano ma non bastano. 

Suonano profetiche le parole della Canzone del maggio, Fabrizio De André cantava: 

‘Anche se il nostro maggio 
Ha fatto a meno del vostro coraggio 
Se la paura di guardare 
Vi ha fatto chinare il mento 
Se il fuoco ha risparmiato 
Le vostre Millecento 
Anche se voi vi credete assolti 
Siete lo stesso coinvolti’ 

E’ vero, la Cop 26 vede la comune consapevolezza del disastro climatico dare vita ad un effettivo confronto multilaterale, dentro una ridefinizione del contesto politico ed economico globale che multilaterale non è.  Si è iniziato ad affrontare la crisi climatica mettendo in relazione il piano energetico, quello finanziario con l’ambiente. Così l’India ha fissato una data per il suo net zero, facendo diminuire le previsioni del riscaldamento a fine secolo da +2.7 a +1.8 gradi, finalmente, per la prima volta, uno degli obiettivi di Parigi 2015. La data fissata è il 2070, questo è il problema, questo è il manifesto della Cop 26 di Glasgow. Non basta riconoscere il disastro di una economia energivora e di un modello di sviluppo quantitativo illimitato, fondato sui combustibili fossili e sulle emissioni. Occorrono scelte differenti ed effettivamente tempestive: i tempi biologici non aspettano. Il monito di Draghi, in chiusura del G20 di Roma, è stato chiaro “Saremo giudicati per quello che faremo”. La COP21 di Parigi del 2015, ad esempio, aveva l’obiettivo di stabilire gli impegni tra 2020 e 2030 basati sui punti condivisi emersi nelle COP degli anni precedenti. Le COP successive invece hanno dovuto definire gli obblighi dell’Accordo, i meccanismi per verificarne il rispetto per poterlo mettere in pratica. 

Nella prima settimana alla COP 26 ci sono stati un accordo tra 40 paesi per abbandonare gradualmente il carbone per la produzione di energia elettrica e un accordo di 100 paesi contro la deforestazione. Accordi accolti con diffidenza da esperti ed attivisti: troppo tardi, al ribasso e carenti di meccanismi per assicurarne l’attuazione. Le pressioni degli interessi nazionali legati al modello di sviluppo energivoro illimitato sono tanto miopi quanto condizionanti: l’Italia è entrata nell’accordo per lo stop ai sussidi all’estrazione di combustibili fossili all’estero all’ultimo momento. Perché la COP 26 sia utile, nella sua seconda settimana deve raggiungere 5 accordi condivisi:  

1- impegni effettivi a limitare il riscaldamento a +1.5 gradi alla fine del secolo, quindi le regole di la trasparenza per rendicontare annualmente le emissioni; 

2- un fondo di 100 miliardi/anno per i paesi in via di sviluppo, con l’assistenza tecnica ai paesi in caso di danni climatici. (L’Italia ha aumentato il contributo a 1.4 miliardi/anno, ma dovrebbe darne 4);  

3- tagli su carbone, metano e deforestazione. La presidenza UK propone anche accordi multilaterali fuori dalle procedure ufficiali. Oggi ci sono emissioni per 43 miliardi di tonnellate di CO2 annue. Occorre tagliarne 21 entro il 2030, cioè il 45 %, per ridurre il riscaldamento a +1.5°. Questi accordi, ne taglierebbero 6. 

È in gioco l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi relativo ai crediti del Clean Development Mechanism, i crediti di carbonio di Kyoto. Cina, India, Russia, Brasile ed Emirati Arabi, Polonia e Ungheria, non vogliono assumere impegni stringenti, ancora troppo legate al petrolio, al gas e al carbone.  Il Brasile, che ha molti crediti, sostiene che si possono usare, ma questi crediti di riduzione sono poco accurati e minano la credibilità del nuovo sistema.  Quale percentuale su tutte le transazioni di crediti di carbonio dovrà essere versata in sostegno dei paesi meno sviluppati, sarà almeno il 5%?  La COP 25 di Madrid non aveva trovato l’accordo risolutivo e anche la Cop 26 a Glasgow potrebbe essere generica: questo è un esempio di greenwashing contro il quale si alza il grido dei giovani della Terra. In Italia il PNRR è il principale strumento di rilancio e di cambiamento del modello economico fin qui praticato e, contestualmente, la ragione di modificazioni normative e funzionali, uno strumento in diretta relazione con le città. Milano Città Metropolitana regionale è all’altezza di questa sfida che decide della qualità del vivere sociale di queste e delle prossime generazioni? Negli indirizzi per la sostenibilità ambientale e sociale, amministrativamente, nelle reti infrastrutturali, nella partecipazione informata della Cittadinanza Attiva? Quanti sono esattamente i fondi, per quali obiettivi e come verranno spesi? Il sindaco Sala ha avocato a sé la questione, a partire dalla relazione con il Governo. In una realtà metropolitana che produce il 13,5% del PIL nazionale, emissioni comprese, dove ogni giorno si muovono milioni di veicoli su gomma, per trasportare persone e merci, alimentati da combustibili fossili, la questione chiede una partecipazione informata dei cittadini e delle amministrazioni di tutti i 134 comuni metropolitani. 

Per questo occorrono: la trasparenza sulle informazioni sostanziali del PNRR in relazione a Milano Città Metropolitana Quanto/Chi/Come; modalità di coinvolgimento dei comuni metropolitani; regole, strumenti e procedure, di controllo e di rendicontazione; gli strumenti attivati per una effettiva partecipazione informata al un processo deliberativo. Coerenza per la Cop e per i comuni, si tratta della condizione perché gli impegni siano efficaci. Coerenza? La Giunta di Palazzo Marino ha deliberato la dichiarazione di pubblico interesse sulla proposta allo Stadio di Milano presentata da Milan e Inter. S. Siro e il Distretto Multifunzionale, ‘Interesse pubblico’, di quale ‘pubblico’?

 Previsti: 

– grattacielo da 16 piani alto 82 metri, su 19.000 mq, per uffici 

– grattacielo da 29 piani alto 152 metri, su 28.000 mq, per uffici 

– grattacielo da 15 piani alto 77 metri, su 12.000 mq, per hotel 

– Centro congressi da 2 piani, su 4000 mq 

– Centro commerciale su 1.650 mq 

Affacciato sulle vie Piccolomini e via Dessie, il cosiddetto “Distretto sport e intrattenimento” 

– centro commerciale Mall da 3 piani su 75.350 mq 

– edificio intrattenimento (cinema) su 9000 mq 

La Giunta ha dato il via libera anche al massimo indice di edificabilità previsto dal Piano di Governo del Territorio. 

Sindaco, se fèmm sifùlum

Più che dissidente appare patetica la non partecipazione al voto dell’assessora all’Ambiente Elena Grandi. Il risultato dei verdi milanesi, unico in Italia, dovuto alla combinazione della dimezzata partecipazione elettorale e alla intensa presenza, sociale, istituzionale e mediatica, di Greta Thunberg in città nella settimana precedente il voto. Nessun dissenso, solo fumo, infatti i consiglieri dei Verdi precisano “Non vogliamo la demolizione di San Siro”. Non preoccupatevi, il Meazza, tutto o in parte verrà salvato, l’importante è permettere di costruire tutto il resto, altroché bla, bla, bla. 

Fiorello Cortiana 

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