3 marzo 2021

GHE PENSI MI

Le elezioni comunali del 1951


Dicembre 1950, arriva nei cinema un film per la regia di Steno e Monicelli che non passerà alla storia del cinema ma uno spazio nella storia della città lo merita. Si tratta di “E’ arrivato il cavaliere” soggetto di Marcello Marchesi e Vittorio Metz che è tratto da uno spettacolo rivista (un misto di balli, canzoni, musica, scenette umoristiche, esibizioni sexy ) dal titolo “Ghe pensi mi”: cioè Ghe il nome, Pensi il cognome, e MI come la targa milanese, record di presenze per il tempo al teatro Olimpia ( già Largo Cairoli 2).

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Il film fu un successo e incasserà 250 milioni (il più visto dell’anno Io sono il Capataz di Giorgio Simonelli. con Renato Rascel e Luigi Pavese raggiungeva i 450), anche se ebbe, o forse proprio per quello il giudizio morale negativo del Centro cattolico tanto più che vi era una grossolana satira del potere democristiano impersonata da un ministro un po’ idiota vagamente simile ad Andreotti che in quegli anni, era stato sottosegretario allo spettacolo (e alla censura) con Felix Morlion cercava di inventarsi un neorealismo cattolico.

La trama è originale: il “cavaliere” è uno spicciafaccende senza una lira a capo di un gruppo di sfollati della periferia milanese, che si mette a disposizione per risolvere guai di vario genere nel caso in oggetto una speculazione edilizia che avrebbe sfrattato i poveracci. Tra equivoci e doppi sensi, viaggi a Roma e sfottò contro il potere centrale il film rende popolare e nazionale un personaggio che ancora oggi caratterizza l’immaginario della nostra città: il cavaliere e il Bauscia; teatralmente due persone diverse ma percepite come sinonimo di milanese.

Il protagonista è Tino Scotti (con Silvana Pampanini e Viarisio) interprete principale di quella macchietta milanese che vedrà negli anni 80 eredi prima Ugo Bologna e poi Guido Nicheli (“See you later”) e ha come erede oggi il milanese imbruttito.

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Scotti era reduce da altri successi milanesi: “El mago de Milan” con Franca Rame e Sandra Mondaini; “El Bauscia in tribunal;“Il bauscia sul ring” al teatro Carcano e altri ne seguiranno “Agitatissimo”; “Un cavaliere a Parigi”; “Lascia o rattoppa”.

Spettacoli con uso intenso del dialetto spesso seguiti con attenzione dalla censura poiché non mancavano gli ammiccamenti erotici (oggi da educande), tant’è che il critico così recensì le attrici: “solite ragazze senza vestiti”.

É la Milano in cui l’avanspettacolo riempie le sale.

L’avanspettacolo era nato nel ventennio quando il duce aveva favorito con sgravi e incentivi economici, la riconversione di molte sale teatrali in cinematografiche, Il cinema infatti era nettamente più facile da censurare rispetto ai comici, che improvvisavano. L’avanspettacolo era una forma breve e più povera del teatro di rivista che intratteneva il pubblico prima dello spettacolo cinematografico, il “filmo” secondo il termine usato dai fascisti in ossequio al principio dell’autarchia

Considerato il “fratello povero“ del teatro di rivista per la brevità dei numeri e la scarsità dei mezzi, il termine fu usato e viene usato in senso spregiativo, come sinonimo di teatro comico di scarsa qualità (oggi si direbbe maschilista, omofobo, qualunquista), uno spettacolo breve, della durata massima di un’ora con una compagnia base che annoverava solitamente un comico-fantasista, una soubrette, un corpo di ballo formato al massimo da 6 ballerine (12 gambe si diceva) e un cantante, le compagnie più ricche annoveravano anche giocolieri, illusionisti, la contorsionista o i nani.

L’avanspettacolo fu scuola per grandi attori e attrici: Renato Rascel, Anna Magnani, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Gino Bramieri, Carlo Dapporto, Walter Chiari, Ugo Tognazzi Wanda Osiris, Lea Padovani, Lauretta Masiero, Marisa Merlini, Isa Barzizza. Franchi e Ingrassia, Lino Banfi, Elio Pandolfi. E di tanti dimenticati: Elio Crovetto, Fanfulla, Derio Pino e Grazia Cori, Vici De Roll, Carmen Borini, Aldo Tarantino, Maria Pia Arcangeli, Alberto Sorrentino, Dino Valdi, i Brutos, Trottolino, Gennarino Vollaro, i fratelli De Vico, Piero Pieri, Giuseppe Marzari, Nino Terzo, Estina Lotti, Angelo Cecchelin, Marisa Maresca per non citarne che alcuni/e tra i mille.

É la Milano della prima immigrazione. Proprio nel 1951 esce un film “Milano Miliardaria” sempre con Tino Scotti di Vittorio Metz e Marcello Marchesi che racconta l’ inimicizia di un fotografo milanese e di un barbiere napoletano tifosi rispettivamente dell’Inter e del Napoli che scommettono danari e mogli sul risultato.

Anche questo film che vede tra gli altri interpreti in un breve passaggio la giovanissima Sofia Scicolone non ancora diventata Loren, celebra la capacità di Milano di essere accogliente e patria di tutti.

Scrive Sipario: “Il film, il cui titolo allude a Napoli milionaria di De Filippo, testimonia con toni bonari la contrapposizione tra meneghini e oriundi nella Milano accogliente e produttiva che tutti conoscono, un tema destinato a rimanere centrale nel mezzo secolo successivo; inoltre ripropone e, a suo modo, caldeggia la questione del tifo sportivo sul quale si fa ampio conto per poter sviare le tensioni sociali, sia quelle suscitate appunto dalla quotidiana convivenza di “etnie” parzialmente differenti, sia quelle relative alla cosiddetta lotta di classe in un’epoca di benessere ancora poco diffuso. (http://www.giusepperausa.it/_vita_da_cani__e__arrivato_il_.html)

Caravaggio

La milanesità fu al centro di un filone che ebbe altri successi, ad esempio nel 1952 “Siamo tutti milanesi”con Nino Besozzi, prima in teatro (si parla di 600 repliche) e poi al cinema; la storia di un industriale meneghino che disprezza i meridionali, ma che alla fine dà la figlia in sposa a un napoletano, dimostrando come, pur essendo siciliani, piemontesi, campani, romani o veneti, a Milano si possa tutti essere milanesi; autore un bestsellerista dell’epoca Arnaldo Fraccaroli.

Non che film e spettacoli fossero apprezzati dalla critica, memorabili le stroncature di Marotta che definiva Scotti un non attore, ma nasce li uno stereotipo del milanese e della città che è molto più sedimentato di quel che pare e che è stato valorizzato anche dalla discesa in campo del cavalier Berlusconi che del cavaliere bauscia è un involontario erede.

Intendiamoci c’è anche un altra Milano quella che affolla Palazzo Reale per la mostra “Caravaggio e i caravaggeschi” che ebbe in tre mesi più di quattrocentomila visitatori, un successo “eccezionale, incredibile” anche per Roberto Longhi (commissario tecnico della mostra), tant’è che ancora oggi, a settant’anni di distanza, ci si interroga sulle ragioni (gli ha dedicato un libro Patrizio Aiello).

É la Milano che proprio quell’anno inventa, per iniziativa di Victor De Sabata, allora direttore artistico del teatro la prima del 7 dicembre alla Scala, in origine l’inaugurazione avveniva il 26 dicembre.

E’ la Milano cinematograficamente parlando di De Sica con “Miracolo a Milano” inviso alle sinistre perché consolatorio e alla DC perché comunistoide, premiato a Cannes ma che incassò forse meno di Tino Scotti.

É la Milano politicamente centrista.

Il nuovo sindaco Virgilio Ferrari fu eletto infatti il 25 giugno 1951 a capo di una giunta DC, socialdemocratici, repubblicani. Le elezioni si erano tenute un mese prima il 21 maggio e con Ferrari un turatiano doc, preferito a Greppi ritenuto troppo di sinistra e continuista rispetto alla giunta nata dalla resistenza, si inaugura quella che sarà chiamata la stagione centrista con il PCI e il PSI all’opposizione, che durerà 10 anni circa fino al 21 gennaio 1961 quando il PSI tornerà in giunta dando vita al primo centrosinistra.( https://www.arcipelagomilano.org/archives/51948 )

Al tempo si votava per coalizioni e i risultati furono chiarissimi: la coalizione centrista ebbe 451000 voti il 53% (DC 31%; Socialdemocratici o meglio Partito socialista unitario dei lavoratori 14,57%; Liberali 6,31%; Repubblicani 1,65%), la coalizione di sinistra 289000 voti il 37% (PCI 22,65%; PSI 14,08%, Lista del contribuente, una civica criptocomunista 2805 voti).

Fuori dalle coalizioni lo MSI ottenne il 6,39%; i monarchici il 3,08; il partito repubblicano socialista,in pratica dei fascisti di sinistra, il cui simbolo era una stella a 5 punte con vanga e libro, lo 0,35%. La battaglia in casa socialista fu vinta dai saragattiani con 111805 voti contro i 109669 dei nenniani

133411744_2465106337118303_3683564881245634793_nOltre che per il comune si votò ed era la prima volta nella repubblica per l’amministrazione provinciale, dove l’elezione era per collegi uninominali (con una parte eletta proporzionalmente), 30 collegi di cui 15 milanesi. Mentre PCI e PSI si presentarono sotto un unico simbolo (PACE) i centristi si presentarono divisi, vi fu quindi una campagna tutta tesa a favorire il candidato presumibilmente meglio piazzato (DC) per evitare “la dispersione del voto che avrebbe favorito i “sovietici”).

La campagna elettorale fu dura, il titolo del Corriere il giorno del voto ne da un idea: “La neutralità elettorale equivale a una diserzione”. Perché non ci fossero dubbi dei riquadri negli articoli precisavano che: “gli scontenti che non votano, scavano alla libertà una tomba in cui saranno anch’essi sepolti”. Il leit motiv era ribadire i valori del 18 aprile, sconfiggere il comunismo (il PSI e i socialisti non venivano mai citato per nome ma solo con il termine socialfusionisti).

Per meglio chiarire, altri articoli (18 aprile 1951) intervenendo nella discussione interna ai socialdemocratici tra favorevoli all’apparentamento con la Dc e contrari, definivano Leo Valiani, l’ex prefetto Troilo, Riccardo Lombardi uomini di Mosca, e invitavano i socialdemocratici restii all’apparentamento con la DC in particolare Faravelli e il sindaco in carica Greppi a levare le tende e a presentarsi da soli.

La campagna era tutta politica, giocata sulla difesa dei valori democratici messi in discussione dai filo sovietici e dai filofascisti e sul confronto tra nenniani e sragattiani che costituivano l’elettorato fluttuante. Lo slogan degli ultimi giorni del Corriere era “Domani si vota per la libertà”; ma non mancarono polemiche “amministrative” come quella relativa alla torre Breda (in piazza della Repubblica) che infrangendo un tabù era più alta della madonnina del Duomo, cosa vietata dal vecchio piano regolatore fascista (con realismo milanese da allora il problema fu risolto mettendo una madonnina in facsimile in cima agli edifici più alti Pirellone, Palazzo della regione, Torre Isozaki) del resto anche il piano regolatore fu approvato poco prima delle elezioni.

In piena campagna elettorale avvenne la strage di via Inganni: all’istituto delle Sorelle della misericordia l’ultimo giorno di scuola prima delle vacanze di Pasqua, alle 11,40: un fortissimo colpo di vento fece crollare il muro di cinta della scuola: morirono tredici bambine.

olimpia-music-hallSempre in quei mesi si svolgeva il processo per una delle più ingegnose truffe quello della utilitaria volpe. Presentata nel 1947 a Roma dalla Anonima Lombarda Cabotaggio Aereo come un’alternativa economica alla Fiat Topolino, lunga 250 cm e larga 102, la Volpe aveva un peso totale di 135 chili, puntava sulla leggerezza e la semplicità costruttiva. Un progetto ambizioso, con avveniristiche soluzioni tecniche e con una buona campagna pubblicitaria che aveva coinvolto anche Erminio Macario e prevedeva anche una filiale spagnola e vendite in Portogallo, Marocco e America Latina.

La truffa fu svelata quando, iscritte cinque vetture alle “mille miglia” non se ne presentò nessuna, perché…non esistevano, infatti delle duemila auto prenotate ne furono prodotte 3 e una non funzionava.

La battaglia elettorale fu senza esclusione di colpi, per normalizzare il fronte democristiano il cardinale Schuster vietò ai suoi preti di collaborare con “Adesso” la pericolosa rivista sovversiva di Don Mazzolari (che a gennaio di quell’anno aveva fondato il “Movimento delle avanguardie cristiane”); la rivista che aveva tra i suoi collaboratori fissi il sindaco Greppi, sospese le pubblicazioni per mesi. I candidati al comune furono 800.

12718092_1543391139289832_1208893860425567079_nTra essi alcuni dei protagonisti della storia delle città. Nella lista saragattiana ad esempio vi erano 5 sindaci Greppi, Ferrari, Cassinis, Bucalossi, Aniasi (un giorno qualcuno dovrà raccontare la complessa storia della socialdemocrazia milanese) oltre a grandi del passato come Brocchi e protagonisti del futuro come Massari.

La DC allora come successivamente puntò su solide figure dell’establishment (Giovan Battista Migliori che fu anche poeta vernacolare, Cornaggia Medici, Agostino Giambelli) ed escluse tutti i parlamentari tranne uno.

Il PCI sull’ortodossia togliattian sovietica: Arturo Colombi, Giuseppe Alberganti, Piero Montagnani, Lajolo, il filosofo Antonio Banfi, primo dei non eletti Giovanni Pesce.

Nel PSI la figura di maggior spicco era Guido Mazzali pubblicitario, direttore dell’Avanti e poi leader dei nenniani autonomisti, ma il più popolare era il poeta Alberto Cavaliere.

Nello MSI viene eletto Servello, nei monarchici Degli occhi, nei Liberali Caprara, nei repubblicani Cesare Covi.

In provincia furono candidati (166 per 45 posti) figure stimate ma marginali oppure protagonisti che già erano in parlamento e che avevano meno tempo da dedicare alla politica amministrativa. Vale la pena ricordare il grande vecchio Ludovico D’aragona, Maria Caldara (figlia dell’ex sindaco e già assessora nel dopoguerra), Ivan Matteo Lombardo ex ministro, Erasmo Peracchi, Roberto Tremelloni ministro, Giovan Battista Stucchi.

Tra gli eletti il socialdemocratico Michele Saponaro, scrittore al tempo famoso oggi dimenticato, autore di oltre 42 volumi tra narrativa e saggistica, protagonista di quel filone che Enrico Tiozzo chiama “romanzo blu” ma sopratutto divulgatore, con le sue biografie “vite raccontate, narrate” pubblicate da Garzanti tra cui: La vita amorosa ed eroica di Ugo Foscolo, Carducci, Leopardi, Mazzini, Michelangelo e sopratutto La vita di Gesù dove “si respira un cristianesimo dall’intensa connotazione socialista, per certi aspetti addirittura sovversivo e libertario” che ovviamente suscitò feroci polemiche (M.G. Barone) .

Il risultato fu: DC 23 seggi maggioranza assoluta, PCI 11, PSI 4, socialdemocratici 4, PLI, PRI, MSI1. Travolgente il successo democristiano in città

Presidente di una giunta monocolore DC fu eletto Giordano dell’Amore, ex ministro, senatore, rettore della Bocconi, ma sopratutto per 26 anni presidente della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde e di decine di altre istituzioni e società, protagonista indiscusso delle faccende finanziario-politiche della città fino allo scandalo Italcasse (dal quale peraltro uscì pulito).

Il centrismo non fu una stagione persa per la città, anzi fu positiva sopratutto grazie a Ferrari che come abbiamo già scritto ( https://www.arcipelagomilano.org/archives/56435 ) gestisce il periodo di storia della città che va da quando si parla di vendere la Galleria (per costruire case popolari perché il Comune non aveva un soldo) al periodo del boom economico, un modernizzatore come dimostrano le realizzazioni di Linate, della MM e l’apertura del commercio ai supermercati.

I centristi furono bravi amministratori di condominio, mancò loro la “vision” che verrà con il centro sinistra, il loro fu un riformismo minore.

Walter Marossi



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