9 febbraio 2021

L’ALBUM DI FAMIGLIA E GLI “SCARTATI”

I massimalisti in un pezzo di storia del PC milanese


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Se qualcuno ritrovasse ingiallite fotografie del congresso di Mosca del 1921 dell’internazionale comunista potrebbe vedere il caloroso abbraccio tra Lenin e un delegato italiano cremonese/milanese suo amico dai tempi della conferenza di Zimmerwald quando il futuro leader sovietico non era nessuno.

Chi era?

Prima di scoprirlo una premessina.

Spesso quando si celebra un centenario, come nel caso del centenario della fondazione del Pci lo si confonde con un compleanno e si cerca di valorizzarne, con il senno di poi, alcuni aspetti, di ometterne altri (in fondo è brutto ricordare errori al festeggiato) e di non invitare all’evento i parenti scorbutici.

Così il centenario del Pci sembra celebrare una storia lineare che da Gramsci e Turati arriva a Zingaretti con naturalezza, come se fosse stato scritto nelle stelle che un giorno tutti si sarebbero ritrovati insieme superate divergenze in fondo modeste.

Si cerca in pratica di ereditare senza pagare la tassa di successione.

In questa storia scritta dai vincitori non vengono invitati gli eretici di un tempo (ne abbiamo parlato qui: https://arcipelago/archives/56851 ) a cui però si guarda con una certa generosità venata di romanticismo ma soprattutto vengono cancellati o più gentilmente scartati i protagonisti che non erano al loro tempo minoranza anzi erano maggioranza, definiti intransigenti o massimalisti, che oggi non sono compatibili con lo storytelling del centrosinistra.

download (1)Due figure milanesi li possono impersonare appieno:

Costantino Lazzari nato nel 1857 a Cremona trasferitosi giovanissimo a Milano in via Santa Marta e poi via Lanzone dove con il fratello impiantò una piccola tipografia. Nel dicembre 1882 dopo una manifestazione di protesta pro Oberdan racconta: “fui caricato dai carabinieri, afferrato da cento mani, schiacciato contro un muro. e finalmente arrestato, ammanettato e condotto nelle prigioni della Questura”, è solo il primo di una lunga serie di arresti e detenzioni che costellano la sua vita.

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Nel 1883 pubblica il settimanale “II Fascio operaio, voce dei Figli del Lavoro” che avrà breve vita. Da quel momento partecipa a tutte le più significative iniziative del nascente movimento socialista a partire dalla costituzione del Partito Operaio Italiano.

Il POI si presenta alle elezioni del 1886 (Lazzari nel collegio di Cremona) ottenendo un buon risultato a discapito dei democratici e radicali tant’è che sarà accusato da Felice Cavallotti di essere al soldo di Depretis. Ne nacque una polemica che non si sanò mai e ancora molti anni dopo Lazzari ricordava con orgoglio: “Da allora in poi Cavallotti, che era stato l’esponente di tutte le calunnie e le diffamazioni che ci avevano colpito, non riuscì più a diventare deputato di Milano”, da allora in poi il rifiuto delle alleanze fu la costante della vita politica di Lazzari.

comizio-internazionale-diritti-lavoro-tenutosi-8e2de0f5-bf80-4a3d-821b-0ed25e03f5e2Fu tra i fondatori Camera del Lavoro milanese (successivamente sarà segretario alla Camera del Lavoro di Monza), tra gli organizzatori nel 1891 del “Comizio internazionale per i diritti del lavoro” tenutosi al Teatro Cannobiano e partecipa alla fondazione del Partito dei lavoratori italiani a Genova nel 1892; l’anno dopo è nominato amministratore del giornale di partito La lotta di classe.

Ai processi per il 1898 di Bava Beccaris viene condannato a un anno di reclusione, nonostante in realtà durante gli scontri fosse già in galera in un’altra città.

Nel gennaio 1900 vuole candidarsi nel sicuro sesto collegio di Milano, ma gli fu preferito Ettore Ciccotti ( di cui parlammo qui https://www.arcipelagomilano.org/archives/52113) scelto da Turati e di Anna Kuliscioff , e fu candidato a Voghera.

Ciccotti fu eletto e Lazzari trombato; da allora nutrì una sana antipatia nei confronti di Turati che accuserà negli anni successivi di affinismo (cioè la voglia di fare alleanze con i partiti affini), di parlamentarismo e di ministerialismo.

Per Lazzari la politica socialista non doveva essere “una specie di olio dato alla macchina governativa dello Stato borghese per il suo migliore funzionamento, ma una specie di sasso introdotto nei suoi congegni per rendere evidente e necessario l’intervento del fabbro che la può spezzare e ricostruire”. Alle elezioni politiche suppletive del 1906, si presentò come candidato dei sindacalisti insieme a Labriola, contro le candidature Treves e Turati e non fu eletto, come alle elezioni del 1909.

In quegli anni fu anche direttore de la “La Soffitta”, giornale della frazione rivoluzionaria intransigente che vinse il Congresso del PSI nel 1912 eleggendolo segretario nazionale, incarico che tenne fino al 1919 e che ne fanno il più longevo segretario del PSI in continuità, dopo Nenni e Craxi.

Uno dei suoi primi atti, fu il più infelice e condizionerà la storia del paese nonché il giudizio su Lazzari: nomina Mussolini direttore dell’Avanti!

Come ha scritto Arfè: “la scelta di Mussolini è opera di Lazzari. A determinarla non sono le qualità intellettuali né il prestigio politico dell’ancora oscuro agitatore romagnolo, ma la foga giacobina della sua oratoria, la giovane età, la estrazione sociale semi-proletaria, l’alone di “umiliato e offeso” dalla società borghese col quale egli si presenta. A Lazzari egli appare quasi il simbolo del proletariato che alla oppressione di classe reagisce con uno sforzo eroico di ribellione non individualistica ma di classe, che carica la propria fede di passione violenta e ne fa una possente arma di liberazione per tutti gli oppressi. Intorno al giovane rivoluzionario con paterna sollecitudine e paterno orgoglio si sarebbero raccolti i vecchi capi della sinistra, commossi e lieti di aver trovato il continuatore e il superatore della loro esperienza, il simbolo vivente e ardente da contrapporre alle brillanti personalità della parte avversa”. Toccherà sempre a Lazzari decretarne l’espulsione dal partito due anni dopo.

Pacifista convinto Lazzari nel 1915 coniò la formula del “né aderire, né sabotare”, felice invenzione propagandistica ma politicamente inefficace.

Alla conferenza di Zimmerwald capeggiò la delegazione Italiana con Angelica Balabanof, Modigliani, Serrati e Morgari misurandosi con quella russa composta da Lenin, Zinoviev e Trotzki, mica bruscolini.

Nelle elezioni del 1919 e nel 1921 fu eletto deputato nei collegi di Milano e Cremona; caso unico tra i politici di origine milanese fu anche eletto consigliere comunale a Roma, fece parte del comitato esecutivo della Lega dei comuni socialisti.

Al congresso di Livorno del gennaio 1921 la sua corrente che annoverava tra gli altri il sindaco di Milano Filippetti confluì con i massimalisti e sostenne la mozione Bentivoglio che fu la più votata e che rimetteva al III congresso dell’internazionale comunista (26-6-1921) l´ultima parola circa l´espulsione o meno dei riformisti.

leninA Mosca andò proprio Lazzari ed è qui che un testimone oculare racconta del commosso abbraccio con Lenin, che peraltro non gli fece alcuna concessione.

Lazzari torna favorevole all’espulsione dei riformisti ed a rispettare le richieste di Mosca ma rifiuta di abbandonare il vecchio e glorioso nome di partito socialista e così al XX congresso del PSI a Milano dal 15 al 17 aprile 1923 presenta una mozione “fusionista” che viene battuta di misura da quella autonomista di Nenni. Sconfitto in un periodo definito “orgia di scissioni” non abbandonerà il PSI.

Ridotto in miseria, costretto ad impegnare al Monte di pietà anche le medagliette parlamentari (erano d’oro), sarà aiutato solo dai vecchi “avversari” riformisti (la Fondazione Matteotti gli commissionò e pagò un memoriale); nel gennaio del 1927 scrive a Schiavi: “recatomi a Roma e presentato alla presidenza della Camera un ordine del giorno contro la pena di morte, venni un’ora prima della seduta assalito sullo scalone interno di Montecitorio da tre deputati fascisti. Mentre due mi tenevano per le braccia, il deputato Starace, atterrandomi e massacrandomi a furia di pugni e calci, mi fece trascinare sanguinolento e tramortito fino sulla soglia del palazzo, dove venni preso dagli agenti e trasportato in vettura al Commissariato dove venni trattenuto fino alle 10 di notte”.

Pochi mesi dopo in quel di Busto Arsizio venne arrestato un’ultima volta per tentato espatrio clandestino, ma pare che non avesse in tasca nemmeno i danari del biglietto ferroviario.

Muore il 20 dicembre 1927.

Non lo ricorda quasi più nessuno (una sola biografia importante di Giovanni Artero che ho saccheggiato), ed è considerato il più tipico rappresentante di quel massimalismo per cui “La riaffermazione intransigente del principio classista in ogni campo, economico, politico, le lotte economiche viste come arma di sgretolamento dello Stato e del modo di produzione borghese, il rifiuto di ogni collaborazione con le forze borghesi avrebbero dovuto essere i mezzi necessari e sufficienti per assicurare il trionfo del socialismo”( Fiorella Imprenti) che venne semplicemente disprezzato da Turati e da Gramsci come dai loro eredi.

Stessa sorte per un autentico interprete della storia comunista milanese, Giuseppe Alberganti.

Nato nel 1898 aderisce fin dalla fondazione al Partito Comunista. Nel 1930 è costretto ad espatriate in Francia, nel 1937 è in Spagna commissario politico con le Brigate Garibaldi; arrestato in Francia viene consegnato alle autorità italiane e internato a Ventotene.

Scrive la Treccani: “Segretario della federazione comunista clandestina di Bologna, con lo pseudonimo di Cristallo, fu dall’ottobre 1943 responsabile del triumvirato insurrezionale (struttura militare del PCI) dell’Emilia-Romagna e, pertanto, coordinatore dell’attività politico-militare delle brigate Garibaldi operanti in Emilia durante la repubblica partigiana di Montefiorino (giugno-luglio 1944). Nel novembre dello stesso anno fu impegnato nella battaglia di Porta Lame e nel febbraio 1945 Pietro Secchia ne richiese la presenza a Milano. Nel capoluogo lombardo l’A. prese a dirigere il triumvirato insurrezionale della regione e nell’aprile 1945 fu tra gli organizzatori dell’insurrezione antitedesca. Per tutto il periodo della lotta armata la sua attività fu rivolta – in linea con le direttive del suo partito – anche a moderare le propensioni ostentatamente classiste di parte dei militanti comunisti delle formazioni partigiane.”

Primo segretario della Camera del Lavoro assieme al socialista Ferdinando Santi e al democristiano Giuseppe Morelli, membro della Consulta nazionale, nel 1946 fu eletto deputato alla Costituente e poi consigliere comunale a Milano. Nel 1947 diventa segretario della federazione comunista milanese e nel 1948 senatore.

Alfiere di un comunismo duro e puro, un operaista molto rigido come lo descrive Cervetti (in Ventunesimo Secolo, Vol. 2, marzo 2003) Alberganti è popolarissimo tra gli iscritti e si può permettere una qualche autonomia rispetto a Togliatti.

Scrive Cecilia Bergaglio: “Il disassamento di Milano rispetto alla linea togliattiana e rispetto alle posizioni su cui si attestano le federazioni di Torino e Genova si manifesta anche nell’adesione del partito comunista locale a fenomeni di opposizione estremistica, duramente criticati dal segretario nazionale del partito a conclusione del IV congresso. Togliatti sottolinea in maniera piuttosto esplicita di non aver affatto apprezzato i continui riferimenti – nel dibattito, oltre che nella relazione di Alberganti – al Blocco del popolo. …invitando i presenti a immaginare il Pci alla testa di un grande movimento di massa popolare «più vasto, più comprensivo» e non di un’avanguardia rivoluzionaria delle masse. Togliatti insiste proprio su questa ambiguità, specificando chiaramente che, in caso di sconfitta alle urne del 1948, non ci sarà alcuna presa violenta del potere. Il segretario è ovviamente a conoscenza delle posizioni estremistiche diffuse nella federazione milanese, peraltro sinteticamente riassunte nel corso del dibattito congressuale dall’intervento di un militante che interviene per dichiarare quello che è il pensiero di molti: “Se vinceremo alle elezioni, le cose andranno avanti pacificamente; se invece perderemo, allora faremo la rivoluzione”.

Alberganti che secondo la Rossanda, era convinto che “essere intellettuali è una colpa grave”, plasma la federazione a sua immagine e somiglianza, sostenuto in questo anche da Pietro Secchia finché questi è responsabile nazionale dell’organizzazione e poi quando in piena disgrazia è segretario lombardo.

La linea di intransigenza di Alberganti non porta successi elettorali né alle politiche del 1948 e del 1953, né alle amministrative del 1951, in federazione si parla apertamente dell’inadeguatezza del segretario ma all’ottavo congresso provinciale del PCI milanese nel 1954, Alberganti sbaraglia le “opposizioni”. Così come nel dicembre 1956 al successivo congresso, quando come mediatore è inviato da Roma un fedele quadro della linea togliattiana, il responsabile della FGCI, Enrico Berlinguer.

Come scrive Landoni i comunisti si presentarono all’appuntamento divisi in tre anime: gli stalinisti con Vaia, Colombi, Secchia, Marcellino, Pizzoli, Venegoni, gli innovatori con Traversa, Rossanda, Treccani, Pierantozzi, Milani, Quercioli, Leonardi, Bonaccini; gli incerti con Scotti, Sacchi, Cerasi, Cossutta. Nella sua relazione Alberganti cerca di mediare tra le diverse anime di essere dialogante addirittura accetta la proposta dei critici di eleggere gli organismi con una lista aperta e scrutinio segreto. Il voto libero fu un trionfo per Alberganti: i suoi sostenitori in cima alle preferenze, alcuni oppositori neppure eletti. Di lì a poco partì la reazione: fu soppresso il settimanale della federazione diretto dal dissidente Quercioli mentre Silvio Leonardi e Libero Traverso furono allontanati dai rispettivi incarichi ricoperti alla Camera del Lavoro e le sezioni normalizzate.

A proposito dei fatti d’Ungheria del 1956, si adeguò alla linea togliattiana, Lajolo direttore de l’Unità di Milano ricorda: “Pietro Secchia, fervente stalinista, e Giuseppe Alberganti, la sera del 4 novembre entrano nell’ufficio gridando Viva i carri armati sovietici (Ajello, Intellettuali e PCI. 1944-1958, Laterza Editori, Roma-Bari 1979, p. 414).

Alberganti ha il pieno controllo del partito milanese come conferma un rapporto al capo della Polizia, datato Milano 22 maggio 1957 citato da Giovanni Scirocco in “Le fiaccole di Prometeo“: “Di Vittorio ha perduto, una dietro l’altra, le sue battaglie mentre Togliatti ha vinto la sua, difficile, in un momento di crisi. E la federazione milanese si allinea sulle direttive del vincitore: vi prevalgono sempre i duri, quelli che diffidano degli intellettuali e li tengono in quiescenza, quelli che non credono alla via italiana al socialismo attraverso l’applicazione della Costituzione, ma contano solo sull’efficacia del mitra, quelli che considerano gli impiegati dei delatori, dei traditori della classe lavoratrice, dei servi…Ma, tuttavia, la federazione si allinea[…] Sebbene si trovi in mezzo a dure difficoltà, presenti incrinature,[…] la federazione milanese non è affatto al tappeto, ma continua a battersi vigorosamente”.

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Anche Alberganti è stato iscritto al massimalismo ovviamente nel suo significato di “velleitarismo inconcludente” e non da me ma da Alberto Cavallari che sul Corriere in un articolo del 1957 dal titolo la nuova strategia per non perdere Milano, parla di decadenza del PCI milanese per colpa del massimalista filosovietico Alberganti e di eretici fedeli che non hanno neppure l’onore dell’espulsione.

Nel 1958 Togliatti chiude i conti: Alberganti, Lajolo, Venegoni vengono eletti al parlamento e la direzione sancisce l’incompatibilità tra cariche di partito e parlamento (ovviamente non per tutti); così Alberganti il 15 settembre viene sostituito senza voto, con l’intervento decisivo di Longo, da un giovane rinnovatore Cossutta (non è ironia è storia) scelto da Roma (i milanesi avrebbero preferito Giovanni Brambilla), che sarà Segretario della Federazione dal 1958 al 1966, con lui anche Elio Quercioli destinato a diventare il protagonista delle vicende comunali comuniste.

Alberganti scriverà anni dopo “Il problema in gioco era quello della funzione del partito e del ruolo politico che doveva svolgere la classe operaia. In sostanza questi ceti medi, questi altri soggetti sociali, potevano o dovevano essere diretti dalla classe operaia o dovevano dirigerla? Su questa questione venni battuto e destituito da segretario provinciale nel periodo successivo al ‘56 perché mi ero opposto al cambiamento di politica del partito che intanto era avvenuto in Pietro Secchia e la politica del Pci nel dopoguerra, in “Fronte popolare”, n. 150, 26 febbraio 1978, p. 24.

Per spiegare il clima vale la pena ricordare (con Bruno Casati) che ai tempi di Tambroni il PCI milanese aveva convocato un comizio non a caso in Piazza Loreto. Dal palco parla Armando Cossutta, ma una parte dei manifestanti (è lui stesso che lo racconta) scandisce il nome di Alberganti, il vecchio segretario, contestando quello nuovo considerato “moderato e modernista”, l’eredità del vecchio Cristallo peserà ancora a lungo sul PCI milanese.

Alberganti fu progressivamente emarginato: prima non fu rieletto in Comitato centrale poi non fu ricandidato al parlamento e infine fu sospinto verso la porta, scrive Spartaco Codevilla: “a Peppino ormai sessantacinquenne è precluso l’ingresso alla Camera del Lavoro che ha contribuito ad organizzare; all’ANPI milanese che ha contribuito a fondare, a molte porte del partito. Non si tratta ovviamente di una preclusione fisica ma di quella anche peggiore, fatta di una somma di elementi di ostilità politica…gli si offrono gli unici palcoscenici da “cimitero degli elefanti”.

Si definiva un sovversivo come il titolo della sua autobiografia Autobiografia di un sovversivo (a cura di M. Bianchi, Biblion editore) e lo era.

Fuori dal PCI trovò una seconda giovinezza politica incrociando i giovani della statale e diventando nel 1976 presidente del Movimento lavoratori per il socialismo. Muore nel 1980, coerentemente com’era vissuto: tornando da una riunione.

Nel centenario di Livorno, scissione o fondazione che sia, trovo giusto che nell’album di famiglia trovino posto anche i massimalisti che certamente hanno lasciato un segno e che hanno ancora eredi ed epigoni; non hanno vinto ma forse non hanno neanche perso, semplicemente sono stati scartati, è meglio ricordarselo.

Walter Marossi



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  1. Annalisa FerrarioRicordo che nell'MLS c'erano anche i fratelli Boeri (Stefano e Tito) che appunto facevano comizi con Alberganti. Quantum mutati ab illo!
    17 febbraio 2021 • 08:31Rispondi
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