18 novembre 2020

LA MUSICA È MAGIA

E se le infinite combinazioni di 7 note fossero “preesistenze”?


In attesa di tornare a godere della buona musica dal vivo, fa buon gioco a questa cattiva sorte scambiarci pareri e sensazioni magari prendendo spunto anche dal ricordo di memorabili concerti, sperando di andare incontro all’interesse di almeno quei venticinque lettori di manzoniana memoria, essendo gli altri sette miliardi e trecento milioni di persone al momento troppo coinvolte emotivamente e intellettualmente nel lutto per la dipartita di Maradona!

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Non parleremo però di singole opere di cui è già stato detto tutto o quasi, perlomeno su quelle classiche fino a metà del secolo scorso, ma piuttosto delle loro esecuzioni, sempre nuove per definizione perché ogni volta è un’esperienza nuova, cercando anche di capire cosa in realtà determina un’esecuzione migliore di altre, a cosa tendono le esecuzioni via via migliori, quali sono gli elementi che determinano l’effetto provocato da un’esecuzione che poi viene universalmente riconosciuta come del tutto eccezionale, come fu la terza di Mahler diretta da Abbado a Lucerna nell’agosto 2007, quale è infine, se c’è, un benchmark di riferimento.

Penso che ogni appassionato di buona musica, non addetto ai lavori, si sia spesso posto queste domande. E per la ricerca di una risposta può essere di qualche utilità cercare di dare una definizione di cosa sia la musica, al di là degli aspetti tecnici, ossia le note, loro frequenze, accordi e quant’altro, ben consci di quanto possa essere soggettiva tale definizione.

Quando qualcuno mi ha chiesto, ma io stesso mi chiedo, di darne una definizione estremamente sintetica, ho sempre risposto che la musica è soprattutto MAGIA. Perché magica e non del tutto nota è la causa cui ricondurre l’effetto che provoca il suo ascolto e il meccanismo con cui si produce tale effetto. Mi piace immaginare che c’entri la fisiologia del corpo umano e non solo umano, è stato notato che alcuni animali apprezzano l’ascolto della musica melodica armonica e tonale, subito infastiditi se improvvisamente gli si facevano ascoltare forti dissonanze e stonature; è noto che le mucche producono più latte se nelle stalle si fanno risuonare musiche di Mozart e infine pure nelle piante è stata rilevata una predisposizione positiva nei confronti della musica.

Mi piace immaginare in modo del tutto personale e forse arbitrario, livelli sempre più profondi del cervello umano che si attivano con stimoli via via più articolati e complessi: gli strati più superficiali si attivano con le forme musicali più semplici, melodie orecchiabili, canzoni “senza spessore”, lineari o al massimo bidimensionali, poi via via che si scende in profondità immagino strati più complessi che si attivano con musiche pluridimensionali capaci di stimolare reazioni a loro volta più complesse. Nella maggioranza degli umani questa aree più profonde si sono forse atrofizzate causa la prolungata inutilizzazione o addirittura mai attivate nell’infanzia con lo studio della musica.

Cosa poi in particolare di uno spartito determini l’attivazione degli strati via via più profondi non conosco una risposta certa, ammesso che esista, ma è innegabile che la medesima composizione se eseguita male non ci provoca particolari emozioni, laddove un’esecuzione tipo la terza di Mahler a Lucerna dell’agosto 2007 ci emoziona in modo particolare e ci fa decollare verso pensieri inusuali. Piacerebbe tanto capirne di più di questi meccanismi in gran parte inconsci di cui è già meraviglioso esserne avvinti, anche senza conoscerne la spiegazione vera, ma forse è pure meglio, così ci resta un po’ di …. MAGIA.

Bisognerebbe dire qualcosa di più su quell’esecuzione abbadiana di Lucerna, ma a ciò provvede più che egregiamente Paolo Viola, critico musicale di queste pagine; io sono felice di averne colto immediatamente l’eccezionalità.

Per completare il “compito” che ci siamo dati col titolo di questo pezzo, mi piace confrontarmi coi suddetti venticinque lettori su altri aspetti della musica, in primis sulla sua unicità che la differenzia dalle altre espressioni artistiche, quelle figurative pittura e scultura e perché no cinema, e quelle della parola, prosa e poesia. Queste ultime con cui umilmente propongo il confronto, sono “statiche”, si propongono passivamente al fruitore che può sostare di fronte ad esse più volte e quanto a lungo vuole, guardarle riguardarle, leggerle e rileggerle, laddove la musica ascoltata dal vero è unica, esiste solo nel momento in cui la ascoltiamo e al prossimo ascolto in una nuova esecuzione, sarà già diversa per poi perdersi nello spazio lasciando solo un ricordo irripetibile: ecco l’unicità e la magia della musica! Dove ogni esecuzione è una realtà unica, nuova e diversa, laddove un determinato quadro o una scultura, una poesia o un romanzo sempre quelli sono e saranno.

Infine, e per concludere in maniera provocatoria, quasi blasfema, pensiamo che tutte le migliaia e migliaia di brani musicali sono stati ottenuti utilizzando solo sette note base e relative seminote, diesis e bemolle, diversamente combinate tra loro (più segni complementari che ne indicano la durata, le pause ed altro). Verrebbe da pensare, e chiedo venia per l’iperbolica e ardita ipotesi, che quelle migliaia e migliaia di combinazioni che costituiscono i brani musicali conosciuti, teoricamente preesistevano ancor prima che i loro ignari compositori li mettessero sul pentagramma! Da cui la sfrontata domanda se le composizioni musicali sono invenzioni o non scoperte frutto della sensibilità dei compositori che hanno colto per istinto (detto anche ispirazione) le combinazioni migliori delle sole sette note più relative seminote…

Mi accontenterei che tutto ciò fosse solo un provocatorio stimolo alle sinapsi di ciascuno di noi, che comunque mai potrà interferire sulla magia della buona musica.

Eduardo Szego



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  1. GianlucaEsiste già tutto. Un compositore se ne accorge. Un esecutore fa echeggiare. Un ascoltatore può risuonare. It's a kind of magic.
    6 dicembre 2020 • 17:48Rispondi
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