3 settembre 2020

CENT’ANNI FA: MILANO, LA FONDAZIONE DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO

Un personaggio “el Gin de Porta Cica”


Il racconto della nascita del Partito Comunista a Milano in un carosello di uomini di alcuni dei quali si è perduta la memoria. Una cronaca tutta milanese di quegli anni tra massimalismi e cinismi.

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Il 15 ottobre 1920, si riuniscono a Milano diversi gruppi della sinistra socialista e viene costituito un “Comitato provvisorio della frazione comunista del Partito Socialista” che ha come primo obiettivo adeguarsi alle indicazioni bolsceviche e cacciare i riformisti dallo PSI. Viene nominato un esecutivo composto da Bordiga, Repossi, Fortichiari, Gramsci, Terracini, Misiano e Bombacci.

Quest’ultimo è il personaggio più rilevante: segretario dello PSI fino al febbraio del 1920 è il teorico dei soviet, quello cui era dedicata la canzoncina: “Con la barba di Bombacci, faremo spazzolini per lucidar le scarpe di Benito Mussolini”, quello che imporrà la falce e martello nel simbolo socialista.

Bombacci, che finirà fucilato a Dongo ed esposto in Piazzale Loreto viene indicato in quella riunione come direttore dell’organo della frazione: Il comunista. Non è la scissione formale che avverrà a Livorno l’anno successivo ma nei fatti è l’atto costitutivo del nuovo partito sovietico. La presenza di ben due milanesi è dovuta al peso che i comunisti e i massimalisti hanno tra gli iscritti: a Livorno i delegati della sezione milanesi votarono il 30% per i comunisti, il 60% per i massimalisti di Serrati, il 10% per i riformisti di Turati.

Il primo esecutivo del Partito Comunista è composto di 5 membri: Bordiga, Grieco, Terracini e i due milanesi Fortichiari e Repossi. La sede nazionale veniva fissata a Milano, in via Niccolini, 21, la sezione giovanile nazionale aveva sede in Corso Genova 27, mentre Repossi, responsabile sindacale, aveva un ufficio nell’ex dazio di Porta Venezia.

Non deve stupire la preponderanza di milanesità nella fondazione del comunismo italiano, certo c’era una Milano socialista riformista che era elettoralmente fortissima ma c’era anche ed era maggioritaria tra gli iscritti al partito una Milano massimalista di cui si è in gran parte cancellata la memoria, in perenne polemica con l’amministrazione della città guidata dal riformista Caldara.

Quello che nasce è un gruppo che ha come obbiettivo importare il modello della rivoluzione russa; “Serrati – teme che la scissione indebolisca il partito, in particolar modo i sindacati, le cooperative e i comuni. I comunisti invece temono il sabotaggio della rivoluzione da parte dei riformisti. Avendo nelle proprie file dei riformisti, non si può vincere nella rivoluzione proletaria, non si può difenderla. Quindi Serrati mette a repentaglio le sorti della rivoluzione per non danneggiare l’amministrazione comunale di Milano… In un momento simile non solo è assolutamente indispensabile allontanare dal partito i riformisti, i turatiani, ma può esser utile persino allontanare da tutti i posti di responsabilità anche degli eccellenti comunisti che sono suscettibili di tentennare e manifestano delle esitazioni nel senso della “unità” con i riformisti.” (Lenin, Sul movimento operaio italiano).

Un gruppo tuttavia non ubbidiente ma che anzi entra in polemica con gli stessi sovietici già nell’estate del 1921 quando, al terzo congresso dell’Internazionale comunista, viene lanciata la tattica del fronte unito tant’è che nel 1923 l’Internazionale sostituì d’autorità, ma con il pieno consenso di Togliatti e Gramsci, l’esecutivo italiano con uno più “affidabile” dal quale venivano esclusi i fondatori milanesi. Possiamo dire che da allora una sorta di maledizione fece si che Milano divenne una “debolezza” per il comunismo per i successivi 60 anni.

Come scrisse Togliatti nel 1924: “… il nostro movimento milanese s’imperniava sopra una sezione non molto numerosa ma di compagni disciplinatissimi, abituati alle forme, anche militari, della disciplina e dell’autorità… per un partito proletario è sempre un errore il restringere la cerchia dei compagni che hanno capacità direttive a pochissimi eletti e tenere la massa degli iscritti raccolta a questo piccolo centro unicamente con il vincolo della disciplina militare, e che errore dannoso è pure quello di non mantenere il maggior numero di legami tra le organizzazioni del Partito e altre più vaste formazioni di massa le quali costituiscono attorno al nucleo dei militanti un alone attraverso il quale le parole del partito acquistano più vasta diffusione e l’influenza del Partito stesso si accresce”. Tesi condivisa dallo stesso Gramsci che sull’Unità scrisse: “Bisogna porre con grande precisione e con grande franchezza agli operai di Milano il problema … di Milano. Perché a Milano, grande città industriale, con un proletariato che è il più numeroso fra i centri industriali italiani, che da solo rappresenta più di un decimo degli operai di fabbrica di tutta Italia, perché a Milano non è sorta una grande organizzazione rivoluzionaria, mentre il movimento è sempre stato rivoluzionario?”.

L’analisi era confermata dai risultati elettorali delle elezioni dello stesso anno in provincia di Milano: Fascisti 61.981, Socialisti Riformisti 46.579, Massimalisti 21.785, Popolari 10.980, Comunisti 7.069. Ma chi erano i fondatori milanesi del PCI e che fine hanno fatto?

Lasciamo la parola a Bruno Fortichiari che cosi racconta il suo arrivo a Milano: “verso la fine del 1912 era comparso un avviso di concorso sull'”Avanti!” per il posto di funzionario direttivo del Comitato direttivo milanese dello PSI … Un concorso di questo genere era alquanto strano … Uno dei personaggi di maggior spicco del Comitato era Alessandro Schiavi, braccio destro (appunto, destro) di Filippo Turati, direttore della rivista “Critica Sociale” e deputato … permanente di Milano. Le donne erano rappresentate da un’intellettuale di tendenza intransigente, Regina Terruzzi, gli artigiani da Celestino Ratti, operaio fino a poco prima, oratore meneghino efficace, lazzariano; un ex-prete, ora impiegato, rappresentava il movimento sindacale e tre operai completavano il Direttivo. La sede era stata scelta in centro: Via Campo Lodigiano, poi Via Silvio Pellico a pochi passi dal Naviglio … Due localini al quarto piano, di ringhiera, senza ascensore, stufa a carbone, telefono latitante. Importante però, nella casa, una sala a piano terra, molto ampia con palcoscenico spazioso: insomma un autentico teatrino con nome storico “Arte moderna” nel quale agiva regolarmente una filodrammatica popolare … La sala dell'”Arte moderna” avrebbe ospitato le assemblee più clamorose del Partito fino all’imminente guerra mondiale.”.

Quasi in contemporanea al Fortichiari arriva a Milano anche il nuovo direttore dell’Avanti: Benito Mussolini. Fortichiari diventa l’anima dell’opposizione al riformismo, egemone in città; scioperi, proteste, manifestazioni, assemblee, opposizione alla giunta del sindaco socialista Caldara; leggere le sue memorie, tra l’altro ben scritte, raccontano una Milano completamente diversa da quella raccontata da Turati, Caldara e Critica sociale. Dopo la fondazione del Partito Comunista ne diventa il responsabile dell’organizzazione.

Nelle elezioni politiche del 6 apr. 1924 Fortichiari venne eletto deputato ed è sempre più critico rispetto all’evoluzione del comunismo russo, tant’è che nel giugno 1925 con altri esponenti bordighiani da vita a un comitato d’intesa, in pratica una corrente di minoranza rispetto al partito togliattian gramsciano, che viene sciolto su diffida dell’Internazionale.

Ormai emarginato dal gruppo dirigente verrà espulso nel ’29, così ricorda: “A Milano aveva sede in Corso Italia la rappresentanza commerciale russa. Vi erano occupati come impiegati alcuni compagni italiani i quali per essere assunti avevano dovuto ottenere il consenso della Segreteria della rappresentanza a sua volta controllata dall’ambasciata della Repubblica dei Soviet … Ballavano nel mio lavoro cifre ingentissime di acquisti e vendite, … Ebbi incontri e trattative con Pirelli, … Funzionava nella rappresentanza una cellula del Partito bolscevico, ma noi italiani non ne facevamo parte. Eravamo anche esclusi dalle feste interne, frequenti e piuttosto allegre… E bastò un’improvvisa chiamata in Segreteria per far crollare il mio castello. Licenziato su … un piede solo …Qualche settimana dopo lessi sul quotidiano fascista “Il Popolo d’Italia” una corrispondenza da Parigi secondo la quale il Centro del P.C. mi espelleva (1929) per indegnità politica, insieme a Bordiga, Repossi, Damen, Della Lucia, Lanfranchi e altri.”.

Per lui come per gli altri tante accuse, ma una su tutte: “Trotkista”, anche se vera solo in parte. Più volte arrestato condannato a cinque anni di confino, durante il fascismo imperante prende contatto con varie organizzazioni resistenziali e in particolare con Lelio Basso e Corrado Bonfantini. Nel dopoguerra fu membro della Consulta e riammesso nel PCI, sempre guardato con sospetto, nel 1947 viene nominato presidente della Federazione Provinciale delle Cooperative di Milano.

Ebbe un nuovo momento di visibilità politica dopo la fuoriuscita nel luglio 1954 di Giulio Seniga dal PCI partecipando al Movimento di Azione Comunista, che diede poi vita con i trotskisti (Gruppi Comunisti Rivoluzionari, composta in gran parte da fuoriusciti dai socialdemocratici), con il Partito Comunista Internazionalista (gruppo Damen, una variante del bordighismo) e con i Gruppi Anarchici di Azione Proletaria i cui “leader” erano Pier Carlo Masini, Arrigo Cervetto e Lorenzo Parodi (una tendenza organizzativista dell’anarchismo bollata dagli altri anarchici come “marxista”), al Movimento della sinistra comunista. Definiti da Togliatti “malviventi”, quelli ancora legati al PCI come Fortichiari furono di nuovo espulsi.

Il movimento ebbe breve storia, Masini con Giorgio Galli e altri invitò a votare PSI, altri inizieranno un percorso che li porterà a fondare il giornale e poi il movimento Lotta Comunista, altri ancora diverranno maoisti e daranno vita alla Federazione Marxista-Leninista d’Italia.

Fortichiari si ritirerà dalla politica attiva, partecipando a qualche iniziativa della nuova sinistra e scrivendo diversi volumi. Morì a Milano nel1981.

Diversa e peggiore la vicenda di Luigi Repossi. Nato a Milano il 2 marzo 1882, per la precisione in via Scaldasole a Porta Ticinese, partecipa poco più che sedicenne ai moti del 98 e viene processato e condannato. Di famiglia numerosa, un fratello sarà noto malavitosa un altro sottosegretario negli anni 50 nel governo Zoli, inizia a lavorare a 12 anni come operaio tornitore non disdegnando però altre attività: fece anche parte di una banda musicale che veniva chiamata «El trun de Dio» e diventa rapidamente il riferimento sindacale delle componenti più massimaliste dello PSI milanese.

Soprannominato “el Gin de Porta Cica”, come ricorda Fortichiari era: “oratore efficacissimo in squisito dialetto milanese … di un’eloquenza popolaresca e brillante, aggressiva e incisiva di grande efficacia … non abbandonava il suo arguto dialetto meneghino se non quando ciò gli s’imponeva in particolari circostanze”.

Intransigente neutralista fu tra i più scatenati nel voler cacciare Mussolini dallo PSI, così racconta: “In quei momenti avemmo il coraggio di espellere Mussolini dalla Sezione di Milano… C’era un’interpellanza di oltre 400 compagni che domandavano la convocazione dell’assemblea della sezione e fu convocata dal suo segretario Fortichiari… E’ per deferenza a Lazzari come segretario del Partito che fu lasciato a lui il compito di proporre l’espulsione mentre il proletariato avrebbe voluto usare un altro mezzo, avrebbe voluto cacciarlo a pedate, senza discutere! Quella sera costringemmo a piangere Mussolini e migliaia di compagni gli sputarono in faccia e gli gridarono: traditore!”, descrizione romanzata ma indicativa dei toni di Repossi.

Sostenitore di tutte le proteste, scioperi, scontri di piazza neutralisti fu sempre contro Turati, che identificava come un collaborazionista della borghesia, di cui più volte nel corso degli anni chiese l’espulsione dal partito, Nel 1918, sostituisce l’amico di una vita Fortichiari alla guida della sezione milanese.

Critico con la giunta Caldara per il lavoro di “sostegno” svolto durante la guerra, dopo che il 4 novembre con le strade piene di folle festeggianti gli interventisti avevano reclamato le dimissioni della Giunta Caldara che aveva “posposto gli interessi della Nazione a quelli dei propri nemici” organizzò una manifestazione di sostegno al sindaco in piazza della Scala arringando la folla: “arrampicatosi a un pilastro parlò al popolo a nome della Direzione del Partito dicendo… che la massa operaia che per tre anni ha tutto sopportato con rassegnazione, ora che la guerra è finita, non è più disposta a subire le sopraffazioni di una piccola minoranza faziosa. Se la borghesia vuole la guerra contro il proletariato, ebbene sia. Il proletariato raccoglierà la sfida”.

Da quel momento fu un crescendo di iniziative di lotta sindacali molte coronate da successo tant’è che i metalmeccanici ottennero il sabato inglese (sabato pomeriggio libero con 55 ore lavorative), il riconoscimento delle commissioni interne, la cassa mutua disoccupazione. Alle elezioni politiche del 16 novembre 1919, a suffragio universale maschile con sistema proporzionale viene eletto al parlamento e in consiglio provinciale. Avrà ruoli anche internazionali partecipando alla fondazione del Profintern, l’internazionale comunista sindacale.

Del PCdI divenne il responsabile sindacale e direttore del settimanale Il sindacato rosso che avrebbe dovuto nelle sue intenzioni “diffondere il pensiero di Mosca, commentarlo, spiegarlo“. Per dare un’idea della durezza degli scontri con i riformisti ma anche con i massimalisti che non avevano aderito al PCI vale la pena rileggere come li definisce in un articolo del 13 maggio 1922 “lacchè, cagnolini, servitori, pappagalli, moretti, pastetta, giocolieri, orecchianti, adulatori dei principi, giullari, impostori, beccamorti, riscuotitori di mance”.

Nonostante tutti i suoi sforzi tuttavia il PCI non sfonda tra i lavoratori: alle elezioni della camera del lavoro i comunisti ottennero 14000 voti contro i 115000 del listone socialista. Nel 1921 viene rieletto deputato, a Milano la proporzione tra voti socialisti e comunisti fu di 12 a 1.

Un posto nella storia politica del paese Repossi se lo meriterebbe solo perché quando i comunisti ruppero con gli aventiniani fa lui, il solo deputato indicato dal PCI “perché operaio e conosciuto dalla massa” a rientrare alla Camera e a pronunciare il discorso di denuncia contro Mussolini.

Così lo ricordò Bordiga: “Cominciarono le solite eccezioni su quello che era opportuno dire e non dire alla Camera. Luigino si scocciò ben presto. Con la mia terza elementare, disse col solito riso sarcastico, sono certo qui il più fesso; ma, visto che nessuno vuoi farlo, leggerò io la dichiarazione… Fu una dichiarazione durissima, pronunciata tra il clamore dell’aula, condotta sul duplice filo della condanna dell’omicidio Matteotti e della propaganda comunista: “Noi ritorniamo soltanto oggi per ripetere contro di voi il nostro atto di accusa una Camera di fascisti e di sostenitori del fascismo, non può commemorare Giacomo Matteotti senza commettere una profanazione vergognosa. Non si tratta di responsabilità politiche del regime, il quale non ha oggi appoggio all’infuori degli squadristi né si tratta soltanto delle responsabilità morali di chi quotidianamente considera legittima la violenza sanguinosa che si esercita sopra i lavoratori. Si tratta di responsabilità personali dirette. Dacché mondo è mondo agli assassini e ai complici degli assassini non è mai stato permesso di commemorare le loro vittime. Su quest’assemblea grava il peso di correità. Il delitto Matteotti è stato il segno spasmodico del fallimento fascista Via il governo degli assassini e degli affamatori del popolo. Disarmo delle camicie nere: armamento del proletariato. Instaurazione di un governo di operai e contadini. I Comitati operai e contadini saranno la base di questo governo e della dittatura della classe lavoratrice”.

Sempre secondo Bordiga “alla fine quelli, imbestiati, lo levarono di peso e lo portarono fuori sbattendolo a terra. Tornò con lo stesso sorriso, scherzando sul poco peso della sua persona non gigantesca, e sulla facile impresa; si accarezzò un occhio nero, si leccò il labbro tumefatto”.

Neanche sulla cronaca tuttavia i comunisti concordavano tra loro, Palmiro Togliatti diede una diversa versione dei fatti: “Le dichiarazioni del compagno Repossi contenevano l’indicazione esplicita delle parole d’ordine del partito comunista. Il modo come la Camera fascista lo accolse è stato singolare. La parola d’ordine dei fascisti era senza dubbio quella di rispettare il deputato comunista”, mentre Fortichiari anni dopo scriverà “un gesto audace, ma qualche maligno ha insinuato che un’aggressione fascista al solo nostro Luigino sarebbe stata la manna politica”.

Il destino di Repossi nel PCI è però segnato. In una lettera a Togliatti, Scoccimarro scrisse: “Caro Ercoli, abbiamo già spedite le lettere con relative risposte a Fortichiari e Vercesi. Nel frattempo ce n’è giunta un’altra da Repossi dello stesso stampo, anzi peggiore. Avevamo chiesto a lui delle informazioni … egli risponde con un cappello nel quale dice che non riconosce nessun organo nominato dal Congresso e perciò non avrebbe risposto al nostro scritto … Queste dichiarazioni sono così gravi che non si sa neanche se si deve prenderle sul serio…”.

Dopo il Congresso di Lione viene sospeso e poi espulso dal partito, scrive Camilla Ravera: “permane un piccolo ristretto gruppo di elementi “sinistri” settari, irriducibili e che continuamente fanno opera di sabotaggio verso il Partito … questo gruppetto “milanese”… saranno allontanati senza eccezione alcuna, per nessun caso”.

Nel 1926 condannato a cinque anni di confino fu inviato alla colonia di Favignana, nel 1928 fu trasferito a Lipari poi nel carcere di Siracusa poi al confino a Ponza fino al 1932 quando rientra a Milano. Ha contatti con la resistenza in particolare col giornale Il Lavoratore dei fratelli Venegoni, anche loro bordighisti, diffuso nell’altomilanese. Mauro Venegoni catturato dai repubblichini verrà torturato e ucciso, (quando, dopo la guerra, il suo corpo viene recuperato, si scoprirà che prima di ucciderlo i fascisti gli hanno cavato un occhio, i denti, le unghie e l’hanno castrato). Nel 1940, “ritenuto pericoloso per l’ordine pubblico nell’attuale momento politico”, viene di nuovo internato.

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Con la fine del fascismo e della guerra chiede di reiscriversi al PCI, domanda respinta; Secchia scrisse: “Vecchi esponenti … hanno chiesto ripetutamente di poter rientrare nel partito. Probabilmente queste richieste nascondono un secondo fine, costoro intenderebbero tornare nel partito per sostenervi all’interno le loro idee, tuttavia è un fatto che fuori del partito sono del tutto impotenti.”.

Per la legge del contrappasso Secchia verrà esiliato alla segreteria regionale del partito lombardo dopo il caso Seniga, controllato da un arcistalinista come Alberganti a sua volta contestato da un innovatore di nome Armando Cossutta. L’ultimo incarico rilevante che ebbe Repossi fu quello di membro della Consulta in quanto ex parlamentare.

Come molti altri trotkisti e assimilati partecipa alla vita dei movimenti socialisti non stalinisti (entrismo) e collabora con Codignola e Parri al Movimento ‘Unità Popolare’ e al quindicinale Nuova Repubblica dove scrive un lungo e autocritico saggio sul movimento sindacale in Italia. Nelle elezioni comunali del 1951 fu candidato ma non eletto, prese 250 voti.

Iscrittosi allo PSI, corrente bassiana, anche qui non ebbe vita facile, vi è una lettera del 1952 scritta a Nenni e a Mazzali in cui si deve difendere dall’accusa, allora infamante (sic) di aver avuto contatti con i titoisti Magnani e Cucchi. Modestamente ricordò che il compagno bordighista presunto tramite con questi reprobi gli aveva comprato un soprabito e un paio di scarpe perché viveva nella più nera miseria e nulla più. Certo anche nello PSI la vita degli antistalinisti non era facile: sulla prima pagina del Corriere del 21 ottobre 1952 si legge che un gruppo di socialisti riunitosi a Lucca veniva espulso dal partito tra essi Luigi Repossi, raro caso di politico espulso sia del PCI sia dallo PSI per antistalinismo.

Non sappiamo cosa rispose Nenni, sappiamo che Repossi morì in un ospizio milanese, al Palazzolo, il 4 febbraio 1957. Poca la documentazione su di lui: fondamentale il lavoro di Giovanni Artero Alla Camera fu commemorato da figure di secondo piano, solo Bordiga e Fortichiari i vecchi compagni della fondazione del PCI gli dedicarono pagine commosse.

Walter Marossi



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  1. LunaMolto interessante la storia milanese dei compagni
    1 marzo 2023 • 00:48Rispondi
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