29 agosto 2020

IL DISASTRO E’ COMPIUTO, LA LOTTA PROSEGUE

La vicenda Seveso desta sconcerto


Venerdì sera, il 28 dello scorso mese, il nubifragio che si è abbattuto su Milano, piegando e spezzando innumerevoli alberi, al Parco Nord non ha mietuto troppe vittime: ha schiantato, però, una pianta straordinaria, che tutti conoscevamo, il Bagolaro della Cascina Centro Parco.

calaminici

Stupore e dolore hanno colpito gli animi e percorso i social: la vista della pianta abbattuta e vinta dalla furia del vento è stata un’immagine dura e triste. Di umile stirpe, ma di nobile portamento, il bagolaro, sotto l’ombrello della sua chioma, al sicuro del suo tronco possente, ci ha riuniti infinite volte per darci forza e spronarci all’impresa collettiva e memorabile: costruire il più grande parco metropolitano d’Italia; alla sua ombra scampavamo nelle affocate giornate della Festa del Parco; nel suo giro tondo saltavano e levavano i loro gridi argentini i più piccini.

Anche grazie alla sua poderosa bellezza e all’incoraggiamento che da essa ne veniva, fu strappata un’area di scala grande, fino ad allora inaudita, alla periferia degradata – il retrobottega delle città dicevamo – all’avanzare spietato del cemento e della speculazione edilizia, ancora oggi in buona parte motore dello sviluppo di Milano. Caro Bagolaro! Però la natura crea e la natura distrugge! L’uomo crea anche, ma distrugge più di quanto non creda, più di quanto non potrebbe.

Nonostante tutto quello che sappiamo, egli pensa ancora di essere il signore della terra, il dominus che appunto dispone di essa a suo piacimento. Ancora perciò avanza il cemento, ancora nelle città viene divorato suolo vergine, ancora la ragione del profitto porta al sonno di ogni altra ragione. I problemi creati dagli squilibri che creiamo e che inutilmente ci illudiamo di poter domare con un incremento della tecnologia, sono sempre più ingarbugliati e diventa davvero arduo districarli.

La campana del covid 19 è suonata forte, suona ancora minacciosa per noi e per tutti. Di fronte a un’entità infinitesima, che non sappiamo neppure se stia al di qua o di là dalla frontiera della vita, ci siamo battuti il petto, sembravamo effettivamente contriti e dolorosamente consapevoli di essere giunti al bivio (quasi) estremo. Ma non è così.

Il giorno 5 di agosto, il mese dei ladri e dei temporali, il signore di Milano ha mandato al Parco Nord una possente gru gialla per abbattere un magnifico bosco trentennale: due – tremila alberi, uno per uno presi e avvinghiati dalle braccia d’acciaio della macchina, sollevati e sradicati, accatastati uno sull’altro, poi sbriciolati e ridotti a enormi cumuli, in orrende pire. Un autotreno, pinto ai fianchi da bellissimi arcobaleni e coperto dalla più beffarda e amara delle scritte, Andrà Tutto Bene, ha provveduto a smaltirne i resti, forse sperando di cancellarne perfino il ricordo. Il lavoro sporco è stato fatto in fretta: migliaia, ripeto migliaia di piante di un bosco di quattro ettari, cioè grande come quattro campi di calcio, sono sparite in pochi giorni, sotto i nostri occhi inorriditi.

Gli analfabeti ecologici tentano di tranquillizzarci. Al posto di quei quattro ettari, essi dicono, al Parco ne saranno consegnati undici, e invece di tremila alberi ne saranno piantati tre o quattro volte di più. A parte le volute fandonie e bugie di cui qualcosa diremo, gli analfabeti ecologici credono che un bosco sia solo un insieme di alberi e perciò si affrettano ad aggiungere: ne pianteremo 2.500 per ogni ettaro e avremo un bosco ancora più grande. Non sanno che un bosco anche quando è “propiziato” dall’uomo, dipende da due veri, autentici signori: il tempo e la natura. Per fare un bosco ci vogliono da trenta a cinquant’anni e ci vuole il diuturno lavoro della natura.

Necessita il concerto meraviglioso di migliaia di specie animali, grandi e piccoli, mammiferi, uccelli, insetti, microrganismi e batteri, di specie vegetali, funghi, muffe, licheni, ecc. Questa opera grande e già compiuta è stata annientata in pochi giorni, sotto i nostri occhi impetrati e lontano da quelli indifferenti dell’assessore Granelli, che così si è espresso in un suo intervento su Facebook: “… il cantiere si è insediato dal 20 luglio 2020, e subito ha provveduto ad abbattere gli alberi necessari alle operazioni di scavo della vasca... ”. Il dado è tratto, sembra dire contento e non si può più tornare indietro. Il burocrate è soddisfatto!

Anche Milano è assente, tremendamente lontana, sorda a ogni tentativo di richiamo. Maledizione, quanto è difficile per i milanesi superare la cinta daziaria, spingersi oltre le colonne d’Ercole della propria periferia e raggiungere addirittura l’hinterland! In questo caso siamo in verità ancora a Milano, pur se nell’ultima sua propaggine, e siamo nel lembo più vicino della metropoli. Insomma, siamo lì dove Milano e Bresso si toccano e al diradarsi delle case dell’uno succede l’infittirsi di quelle dell’altro. Una terra contesa e di nessuno.

La nascita della Città Metropolitana, lo abbiamo detto tante volte su queste colonne (già dal 2014, in presa diretta) è stata una sciocchezza, è servita a rovinare un ente che funzionava, la Provincia, senza creare la metropoli che speravamo. Il milanocentrismo sembra essersi incanaglito di più e si guarda al FarNord con atteggiamento quasi coloniale.

TINA, theare is not alternative. Alle vasche non c’è alternativa, si ripete in modo saccente e petulante. Sarà, ma, dico io, come si può pensare di risolvere un problema annoso e complicato come gli allagamenti di alcuni quartieri periferici di Milano, quasi una piaga d’Egitto per chi lo subisce, disboscando una parte del Parco Nord (sacrilegio!), cavando una buca di quattro ettari, profonda dieci metri, quindi fino ai limiti estremi della falda, per riempirla con i troppo pieni delle fogne? Questa è la soluzione?

L’alternativa invece c’è, ed è quella che imporrebbe la legge (legge regionale n.4/2016) se qualcuno, semmai tra quelli che l’hanno voluta e votata, “ponesse mano a essa”. Si chiama Invarianza Idraulica e consiste in sostanza nell’evitare che l’acqua piovana, scivolando sulle superfici lastricate delle città, finisca immediatamente nelle fogne e irruentemente nei fiumi, ove determina le onde di piena, che poi si vorrebbero scolmare, utilizzando appunto le vasche di laminazione.

L’alternativa c’è e finalmente lo riconosce lo stesso assessore Granelli, nell’intervento già citato. Egli, dopo sei anni di discussioni inacidite dall’arroganza del potere, con encomiabile chiarezza e sintesi afferma che: 1) la vasca è una soluzione d’emergenza, e quindi, aggiungo io, bisognerebbe da subito lavorare alla soluzione definitiva; 2) occorre decementificare le città (innanzitutto quella di Milano!) e 3) applicare l’invarianza idraulica. Ottimo!

Ma c’è un solo atto, una delibera o qualche progetto dell’amministrazione milanese che vada in questa direzione? No, per ora solo parole (importanti queste ultime), vaghe speranze e sospirosi auspici. Ci possiamo accontentare? No, per niente. Soprattutto se ci troviamo contemporaneamente davanti a fatti che sono disastri, che sono delitti, che sono scempi del territorio, come l’annientamento del bosco del Parco Nord.

E’ vero, oggi non c’è nessuno, almeno spero, che ancora pensi che in grembo al futuro ci siano le vasche di laminazione; ma non c’è neppure alcuno che si dia da fare perché il futuro incominci effettivamente dalle buone pratiche dell’oggi. L’Invarianza idraulica, caro assessore, non verrà da sé, anche se è prevista da una legge (orfana dei genitori, in primis la Regione stessa!), e non può essere affidata allo spontaneismo o all’iniziativa di qualcuno o di qualche ente di buona volontà.

Ci sono stati e ci saranno ancora, in alcuni comuni, interventi che applicano i principi dell’invarianza, ma ciò non basta, anzi non è questo. L’invarianza ha bisogno di intelligenza e volontà politica, di una seria programmazione regionale e locale, di risorse economiche certe, di piani tecnicamente ferrati che indichino cosa, dove, in quali tempi, con quali mezzi si deve procedere, tappa per tappa.

Noi chiediamo questo innanzitutto: un Piano generale serio (Regione) e piani locali precisi e coordinati. Pensiamo occorra una cultura diversa: l’acqua è il più prezioso bene naturale e anche la più minacciosa calamità che incombe sulle città, sia che essa ecceda e ci inondi, sia che essa manchi o scarseggi. Dobbiamo imparare a raccoglierla, a riutilizzarla e poi a restituirla al suo ciclo naturale, senza inquinarla e ammorbarla buttandola nelle fogne, e senza creare con le nostre mani i disastri idrogeologici che sempre, anche in queste ore mentre scrivo, colpiscono il nostro paese implacabilmente, assai più di ogni altro, almeno in Europa.

Il Piano Aipo – l’agenzia interregionale per il fiume Po -, che ha progettato le vasche di laminazione è costosissimo e quanto mai inadatto per il nostro territorio. Il Nord Milano è uno dei territori più densamente abitati, urbanizzati, trafficati e quindi sfruttati al mondo: basti guardare le carte satellitari. In quest’area trovare dello spazio libero è un’impresa, non per niente le vasche dovrebbero sorgere dentro le aree protette regionali o una, la più grande, su un’area industriale dismessa, grandissima quanto inquinatissima, la vecchia Snia di Varedo.

Altre aree di questa portata non ce ne sono. E se quelle previste le mettiamo tutte assieme, si tratta di una superficie attorno al milione di metri quadrati, su per giù la stessa di quella degli scali ferroviari milanesi. Sì, certo, però quelle sono a Milano, vuoi mettere? Ecco l’ostinata mentalità milanocentrica! Sta di fatto che oggi pensare di cancellare una superficie di tal fatta, scavando immani voragini (che fanno contenti solo quelli che campano, bene, sui lavori di movimento terra e sul commercio della stessa), cementificarle e riempirle delle acque avvelenate del Seveso e dei liquami fognari, è pazzesco. O no?

Certo, bisogna anche avere i piedi per terra e fare il possibile. Giusto e saggio, eccome no? E, infatti, è proprio il possibile che non è stato fatto. Il possibile sarebbe stato, e ancora oggi è: ripulire il Seveso, chiudendo i 1420 scarichi abusivi o facendo sì che siano rispettate le norme di legge; completare il raddoppio del canale scolmatore di Nord Ovest, già avviato e per questo spesi 12 mln di euro, ma presto interrotto perché il fiume, quello stesso le cui acque si vogliono stivare sotto le case dei bressesi, era … troppo sporco!; fare, eventualmente una delle vasche, la meno impattante, quella dove il Seveso è più pulito e ove l’Amministrazione comunale e i cittadini non vi si oppongono, in pratica la vasca di Lentate.

Infine, sporgendosi un poco avanti nel futuro più prossimo, avviare un piano per l’invarianza nei comuni tra Palazzolo e Bresso, con l’obiettivo di raccogliere e trattenere una quantità di acqua piovana pari a quella della prevista vasca: un atto coraggioso e consapevole, un intervento di modesta portata, ma di grande rilievo culturale, sociale, urbanistico, politico. Questo era ed è il possibile. Di questo non abbiamo avuto il bene di parlare con l’oligarca di Milano e neppure con i suoi missi dominici. I quali, solo all’inizio (2014/2015) ci hanno un poco degnati di ascolto, poi solo silenzio o bugie. Citiamone qualcuna:

  • Il Piano sarà completato per la fine del 2018. A oggi non è stato realizzato nulla. Stanno per partire operativamente i cantieri di Bresso e Senago. Lentate è un po’ più indietro, ma la quarta vasca, quella della Snia, non si farà, almeno non nei prossimi dieci/quindici anni. Questa vasca, di Varedo, conta per oltre la metà del Piano e coprirebbe una superficie di almeno cinquecentomila mq. E’ un’area avvelenata da decenni di lavorazioni chimiche, non c’è alcun piano di bonifica e soprattutto per questa non sono stati stanziati i quattrini;
  • Nimby. E’ l’egoismo di Bresso che impedisce di dare soluzione ai disagi e ai disastri di Milano. “Siamo tutti niguardesi”, già scrivevo. La priorità assoluta, l’imperativo categorico è, anche per me, impedire che la piaga d’Egitto colpisca ancora quei poveri quartieri. Lo ripeto: piuttosto che gli allagamenti delle strade, delle cantine, dei negozi, meglio l’esecrata vasca, ammesso che serva! Ci siamo però permessi di discutere nel merito; abbiamo detto e continueremo a dire la nostra, a intervenire e a opporci. Siamo ancora in democrazia? Tentare di mettere contro gli uni agli altri, i cittadini di Niguarda e quelli di Bresso, è un’operazione indegna; ed è incosciente risolvere un problema creandone un altro, forse peggiore, solo un po’ più lontano, addosso al più popoloso quartiere di Bresso, a due asili nido, una scuola materna e un’elementare;
  • Sostituiremo agli allagamenti di Milano un ameno laghetto. Solo sei volte l’anno, per poche ore, la vasca sarà riempita con l’acqua del fiume. Sfacciata menzogna! La previsione di un numero contenuto di riempimenti della vasca sta nel piano come è stato pensato all’origine, ma quel piano da tempo non esiste più. Il piano che c’è, se si può chiamare piano, è quello di fatto dimezzato, che fa a meno del vascone della Snia. Ora, il calcolo più facile sarebbe quello per cui, se il piano completo prevedeva sei riempimenti, un piano dimezzato quantomeno dovrebbe prevederne il doppio, dodici; ma anche questo non è vero perché la previsione iniziale, sei, è calcolata pensando che la vasca entri in funzione solo negli eventi grandi (tempi di ritorno 100 anni); sennonché gli eventi medi, o grandi ma ristretti (bombe d’acqua), sono molti di più. Per questo non si sa bene come funzionerà questo piano dimezzato, ma si sa certamente che la vasca sarà sottoposta a un uso assai più intenso e sarà quindi riempita con il troppo pieno delle fogne assai più di frequente. Inoltre questa vasca servirà a poco o a nulla, comunque non potrà salvare dalle esondazioni Niguarda. Se al calcolo degli esperti vengono a mancare oltre due milioni di mc, o i tecnici hanno dato i numeri al lotto o Milano continuerà a essere allagata, tertium non datur, alla logica purtroppo non vi è davvero alternativa. In Quanto al laghetto, bisognerebbe darsi dei limiti. Come può chiamarsi laghetto, una vasca come quella già descritta (grande quattro campi di calcio, profonda 10 metri, pareti scoscese al 70%) se al fondo mantiene – parliamo dei periodi buoni, quando tutto va per il meglio – un metro di acqua di falda, mentre sopra incombono nove metri di vuoto? Io direi che si tratta piuttosto di un orrido, di una forra spaventevole.

Concludiamo con una domanda: cui prodest? Ma chi gliela ha fatto fare a Sala, al sindaco di Milano, che ha appena strombazzato, con l’aiuto di qualche nota archistar, il progetto ForestaMi, di avviarsi alle prossime elezioni spinto dal vento dello scandalo e del raccapriccio per aver compiuto il fatto, vero e reale, della “deforestazione” di un magnifico bosco del Parco Nord? Forse Sala non si presenterà alle elezioni, ma i partiti che lo sostengono sì e potrebbe non giovare loro andare alle urne indossando la maglietta con la scritta Attila.

Certamente il sindaco pensa che i voti che perde sono poca cosa rispetto a quelli che spera di guadagnare, ma potrebbe non aver fatto bene i conti. Quello del PD è un elettorato comunque moderno e sensibile ai problemi ambientali, cui piace credere di guardare avanti e pensare che il centrosinistra sia portatore di una cultura progressista, avanzata, aperta e illuminata. Forse, una soluzione che fa strame, senza batter ciglio, di migliaia di piante per creare un immenso cratere, in cui travasare le acque di fogna, in piena città, seppure la città degli altri, forse questo elettorato di ceti medi istruiti e affluenti, potrebbe non gradire.

Arturo Calaminici

Presidente onorario della Associazione Amici Parco Nord



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  1. Pietro Vismara,,,Il canale scolmatore di Nord Ovest è criminale (le acque del Seveso finirebbero nel Ticino, che è un fiume pulito), grazie a dio non è stato fatto. E speravo proprio che nessuno lo tirasse più in ballo
    2 settembre 2020 • 07:43Rispondi
    • Arturo CalaminiciCondivido la preoccupazione per il Ticino. Mai mi sono sognato di pensare che nel 'Fiume Azzurro' debbano essere versate le acque sporche, così come sono, del Seveso.
      19 settembre 2020 • 19:02
  2. Sandro PeregoL'articolo del Presidente Calaminici mi trova completamente d'accordo. Lo scempio che è stato fatto nel bosco del Parco Nord oramai è irreversibile e ha privato Milano e Bresso di una fonte di bellezza e salute per la quale sono stati necessari trent'anni perchè si realizzasse. C'è di più, questo bosco era in fase di sviluppo e il suo apporto benefico sarebbe aumentato nel tempo con la crescita maggiore e più equilibrata delle specie e di un sottobosco più ricco, il tutto a beneficio dell'ecosistema vegetale ed animale. I vantaggi sarebbero stati un ulteriore miglioramento dell'aria, una maggiore permeabilità del terreno e il potenziamento dell'ecosistema. Non sarà certo la compensazione promessa a risarcirci di quanto perdiamo!
    4 settembre 2020 • 10:32Rispondi
  3. Luigi Andrea VavassoriMi sembra di ricordare che la fognatura di Cinisello Balsamo vada a finire nel Seveso a valle della vasca. e quindi visto che Cinisello Balsamo è urbanizzata al 74% continuerà ad inondare Niguarda. Il problema è ridurre l'urbanizzazione dell'area del Nord Milano ma nel PGT della città metropolitana che è in corso di definizione non è prevista nessuna norma che incentivi tale riduzione.
    4 settembre 2020 • 17:01Rispondi
  4. Luca Bergoconcordo con tutto quanto scrivi, salvo l'idea che parte della soluzione stia nell'ultimazione dello Scolmatore di Nord Ovest. Purtroppo, la qualità delle acque del Ticino: fiume bellissimo e un tempo azzurro, è già compromessa nel periodo estivo sia dai fortissimi prelievi a monte (Naviglio Grande, Villoresi e Industriale) che dalle immissioni del depuratore consortile di Robecco e dell'attuale Scolmatore Nord Ovest, che da trent'anni scarica nel Ticino all' altezza di Abbiategrasso le acque di fogna e non depurate provenienti dall'Olona e dal Seveso. La perdurante siccità fa il resto. Apprezzo moltissimo la critica di "milanocentricità" imputata all'e amministrazioni milanesi, ma temo che l'idea di limitarsi a scaricare un po' più lontano le acque industriali del Seveso e Olona appartenga alla stessa cultura. Forse dovremmo ragionare su quali soluzioni condivise coi cittadini si possano attuale, che ne dici?
    8 settembre 2020 • 12:55Rispondi
  5. Arturo CalaminiciSperavo di essere stato chiaro che la conditio sine qua non per la costruzione o meglio il completamento del raddoppio del canale scolmatore di Nord Ovest, fosse il controllo, la messa in regola o la chiusura dei 1.420 scarichi abusivi, nonché la fine per tutta l'area del bacino del fiume dello stato di totale abbandono e di illegalità permanente a cui è costretto dall'ignavia dei pubblici poteri e in specie della Regione Lombardia. Dobbiamo ragionare assieme, con i cittadini: la prendo come una promessa. Ora e subito scrivo alla redazione di Arcipelago per chiedere i tuoi indirizzi. Intento, ti ringrazio.
    19 settembre 2020 • 18:57Rispondi
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