14 giugno 2020

COME SI TORNA A TEATRO

Panoramica del teatro milanese post pandemia


Tra timide speranze di spettacoli all’aperto e progetti di rappresentazioni per piccolissime platee al chiuso, il teatro aspetta. Come torneremo a teatro, ma soprattutto quando?

Porro

Davvero difficile immaginare come e quando riprenderà in Italia l’attività teatrale. E dove. E per quanti. E se con la museruola-mascherina. Nel frattempo si immagina (vedi l’Elfo con la novità di Kaufman al Festival di Napoli) con cauto ottimismo qualche spettacolo all’aperto, ma sempre a ranghi ridotti: opere in forma di concerto, pubblico rarefatto e discontinuo, una specie di prove generali con attori e cantanti ancora senza camerino e con mascherine dietro le quinte da lasciare al direttore di scena prima di entrare sul palco. Chiaro che così non potrà essere a lungo.

Poi ci sono alcuni generi (l’opera in primis, ma anche il musical, che a Milano occupava molte e capienti sale, dal Nazionale al Teatro della Luna, dagli Arcimboldi al Nuovo), del tutto impossibili da progettare e già rimpianti dai fans. A Milano questa situazione di chiusura (dal fatidico 23 febbraio) è stata aggravata dalla crisi scoppiata, non senza qualche preavviso, al Piccolo Teatro, alla cui direzione siede da 22 anni Sergio Escobar, con risultati eccellenti soprattutto finchè c’è stato Ronconi, di cui siamo orfani inconsolabili da cinque anni e con cui ha mandato in scena allestimenti memorabili. Ora il problema è ritrovare una linea di condotta, un progetto artistico e a lunga gittata che riporti questo importante teatro, l’unico in Italia che si vanta di uno statuto autonomo come teatro d’Europa, come fortemente voluto da Strehler, di cui siamo altrettanto orfani e inconsolabili da quasi 23 anni.

Molti teatri nazionali (i vecchi, cari stabili) sono in condizioni precarie in quanto alla dirigenza: Roma è nel mezzo di una polemica sulla dirigenza mancata degli ultimi anni, Genova ha eletto Davide Livermore e si aspetta una rinascita dopo anni quasi in silenzio, altri sono in via di cambiamento ai vertici. Peccato, perché a Milano il teatro era diventato, prima del Covid-19, un vero vanto cittadino; anche se gli 11 milioni di turisti, a parte qualche capatina alla Scala, non erano certo molto interessati, non ne fruivano (vedi Expo).

Era interessato però il pubblico cittadino e grazie al successo crescente sia del Piccolo (arrivato a superare la cifra record di 22.000 abbonati), sia dei teatri come Elfo o Parenti, centri di aggregazione artistica, culturale, sociale (e balneare per la sala dell’ex Pier Lombardo grazie ai Bagni misteriosi), Milano era davvero diventata la capitale del teatro, surclassando non di poco Roma, testimoni decine di attori e registi allora pronti a trasferirsi al Nord.

La crisi del Piccolo sarà lunga e lenta – il 30 novembre scade Escobar -, perché urge trovare un direttore, o meglio due (uno artistico, uno di bottega, la coppia Grassi-Strehler insegna) e quindi si mettono in moto grandi manovre, in cui vorranno dire la loro i poteri istituzionali che sono la spina dorsale economica del Piccolo, prima che il conclave del rinnovato consiglio di amministrazione si prepari alla fumata bianca.

Ci vorrebbe un grande regista, un talent di forze giovani, qualcuno che sia un punto di aggregazione e abbia il rispetto e la fiducia del mondo cui appartiene. Il problema è che dobbiamo dimenticare il passato di Via Rovello, senza rimuoverlo, ma abituarci a qualcosa che non sarà più il grande Piccolo di una volta anche perché tutto il teatro dovrà cambiare: non si potrà riprendere come un tempo, a programmare i film lasciati in sospeso, come fanno i cinema, ci sarà bisogno di una mutazione radicale dovuta alle esigenze sanitarie ma non solo, anche ai lavori già in corso in passato.

Intanto per l’estate si va di monologhi, anche con un vasto programma sforzesco del Comune in cui, fra gli altri, la Scommegna riprende la sua Molli di Joyce. E al chiostro Vinchi in Via Rovello (nonché in decentramento in nove zone della vasta area metropolitana) una lista di monologhi con attori di chiara fama e amicizia col Piccolo (ma anche De Capitani, quindi l’Elfo, col suo Frankenstein) che inizia con Massini-Iannacci e prosegue con Lavia (una sintesi di Edipo Re, una lezione su Sofocle), Bergamasco, Costa (La vedova Socrate, cavallo di battaglia della Valeri), Intra, Enia, Popolizio etc.

Ma anche in stagione, sempre stando ai si dice, sembra che per ora il Piccolo scelga almeno fino a Natale gli one-man show in attesa che si chiarisca il futuro: forse in chiusura di stagione ci sarà l’Amleto di Latella, ma pare che la tragedia greca che doveva essere allestita da Donnellan sia rimandata alla prossima stagione.

Il vero dramma sono le sale molto minuscole che non potranno riaprire fino a vaccino iniettato e qualcuno dovrà farsi carico di un aiuto: per esempio il glorioso teatro ? come potrà riaprire facendo entrare solo 12 persone? E come quello molti altri, di cui non bisogna perdere le tracce in quanto ciascuno aveva ed ha una sua autonomia culturale nel panorama differenziato delle offerte milanesi. Per la stessa ragione le multisale teatrali, invenzione e orgoglio cittadino (Elfo e Parenti in testa, grazie a Bruni-De Capitani e Shammah, tutti vicini al 50esimo dalla fondazione) dovranno escludere quelle più piccole, finché non arrivi un rimedio che ci consenta di riprendere a frequentare senza timore Shakespeare e compagni di follie.

Maurizio Porro



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