4 maggio 2020

PICCOLO LESSICO PER RIPARTIRE

Le nuove parole contengono l’essenza del presente


Se si ha chiara la premessa e la si incrocia con la consapevolezza che «io posso cambiare me, non gli altri; posso sperare che gli altri cambino solo se prima sarò cambiato io» allora ci si può disporre a considerare il dopo Covid-19 come opportunità di cambiamento.

garzonio

I cambiamenti passano attraverso le parole. Queste, quando contengono la giusta miscela di pensieri e di emozioni, catalizzano aspettative diffuse, prospettano mete da condividere, segnano la permeabilità tra privato e pubblico, individuale e collettivo, soggettivo e politico. Due parole, due aggettivi, “interno” e “esterno”, connotano la vita in questi mesi di Covid-19.

Abbiamo vissuto l’esaltazione (“stiamo a casa”) insieme alla definizione, nel senso proprio del “porre confini”: da una parte la sfera intima, personale, racchiusa nelle quattro mura domestiche; dall’altra il mondo. Ci siam fatti andar bene una prescrizione e abbiamo scoperto che stare per conto proprio avrebbe potuto anche produrre risultati imprevisti, cioè scoprire, ad esempio, dimensioni intime (stare soli con se stessi), casalinghe (figli), solidali (vicini, servizi a domicilio) Ė risvolto positivo della pandemia aver portato alla coscienza che la coppia di opposti interno/esterno ci appartiene e che come coppia va gestita, in tutte le dinamiche relazionali e, insieme, secondo la proprietà di ciascuna componente.

Si sta dentro, in casa, per evitare il contagio o di scoprirci noi “untori” più o meno consapevoli; mentre il fuori è un misto di paura, pericolo, sventura, ma anche di desiderio, ancorché proibito. Conteniamo entrambi i modi, siamo interiorità e relazionalità, siamo “individui” (inviduus è l’”indiviso”, l’”indivisibile”) e disponiamo d’una funzione psichica che ci può consentire di reggere la tensione tra gli opposti, di ridurre i rischi di venir travolti dall’eccesso di attrazione da una polarità all’altra e viceversa. Una parola esprime la nostra attitudine a tenere insieme ciò che sembrerebbe inconciliabile: responsabilità. Responsabilità individuale, che quando è attivata consente di verificare se – mutuo l’immagine da Jung – la collettività «è un conglomerato anarchico di esistenze separate», o «una comunità consapevole».

Responsabilità è “rispondere di”, “farsi carico”, trovare “in sé” le risorse per verificare la compatibilità tra ciò che penso, ritengo conveniente per me, sogno, cerco di raggiungere, e quel che c’è fuori: gli altri (il vicino, lo sconosciuto, l’immigrato); il mondo (nella pluralità culturale, politica, religiosa e nei conflitti, nelle miserie, nelle violenze); la natura (violata, sconciata, depredata). Don Milani condensò la realtà complessa di spinte tra dentro e fuori, moti individuali e bisogni pubblici in un’espressione inglese: I care, «mi importa», «ho a cuore», «mi prendo cura».

Se si ha chiara la premessa e la si incrocia con la consapevolezza che «io posso cambiare me, non gli altri; posso sperare che gli altri cambino solo se prima sarò cambiato io» allora ci si può disporre a considerare il dopo Covid-14 come opportunità di cambiamento. Ciò che farò io per primo sarà la condizione d’auspicabili trasformazioni collettive. A mo’ d’esempio indico cinque piste di lavoro: ricostruzione, politica, formazione, vigilanza, sosta.

Si parla molto di ricostruzione, come dopo una guerra: giusto. Il riferimento allora va all’accezione del 1945. Si può anche pensare, come qualcuno fa, ai successi avuti con Expo o sperati con le Olimpiadi di Cortina. Ma ricostruire è andare oltre managerialità ed efficienza: è problema di spirito e di idealità. Il successo di allora, da rievocare non a caso nel 75° della Liberazione, sta nell’imperfetto che Antonio Greppi usò: Risorgeva Milano. Rinascita per durare: questo è il senso di quel tempo del verbo.

Per ricostruire ci vuole una politica. Cercando di evitare appelli patetici a un irripetibile passato faccio un esempio. Cito un bel libro di Chiara Frugoni: Paradiso vista inferno, studio su Ambrogio Lorenzetti e il suo capolavoro del Buon governo e Cattivo governo.

Racconta la politica fatta per immagini, idealità, narrazione di realtà possibili. Un linguaggio da riprendere e reinventare: simboli, virtù civiche, parole di eticità da cui ripartire, come ABC della politica, senza vergognarsi della loro semplicità. Le pareti di Lorenzetti a Siena sono da “contemplare”; delle virtù (quelle “buone” e quelle “cattive”) c’è da far cartigli per i palazzi della politica milanese. Sarebbe il modo per elaborare finalmente il lutto di Tangentopoli (abbiam perso per strada un’intera generazione politica); voltare pagina dopo la sanità formigoniana (ci voleva il Covid-19 per mostrare i guasti delle privatizzazioni anteposte al territorio); rimettere la giustizia sociale al centro.

Alla politica si arriva e la si pratica se si ha una formazione, in tutti i sensi. E’ il filo rosso di tutto. La parte che emerge riguarda i luoghi deputati per eccellenza: scuola, università, ricerca scientifica. Poi ci sono teatri (torniamo alla “ricostruzione”, al Piccolo di Grassi, Strehler, Apollonio), cinema, librerie, centri culturali. Il vero problema sarà far diventare habitus mentale il pensare che dietro ogni iniziativa, piccola o grande, negli ambiti più disparati, ci sia formazione.

Di fondo è necessaria vigilanza. Esser vigili è una consegna di Martini a Milano. Prima di lasciare la città disse in Duomo: «Confido in voi, giovani: siate sentinelle del mattino». Vigilare è non voltarsi mai dall’altra parte. Ė sentirsi responsabili, dirsi: «Dipende anche da me». Torna utile anche oggi il versetto di Isaia (21, 11-12): «Sentinella, a che punto è la notte?» […] E la sentinella risponde: «Viene la mattina, e viene la notte». Esser vigili nella consapevolezza di una verità psicologica: che la notte buia è culla del sole mattutino. Attenti, però: la luce non è in fondo al tunnel, come solitamente si dice, ma in ogni passo che compiamo.

Ogni passo avrà bisogno d’una sosta. Staccare, fermarsi, stare un po’ in silenzio, fare i conti con se stessi per impegnarsi anche per gli altri sarà forse una delle poche nostalgie da Covid-19. No grazie al ritorno alla normalità se questa è riprendere a correre, non guardare a chi rimane indietro (i vecchi “sistemati” nelle RSA, perché l’anziano è uno “scarto” direbbe Francesco, e ora pianti con lacrime di coccodrillo), praticare stili di vita che caricano di debiti le future generazioni, sfruttare il pianeta invece di conservarlo. Un ambiente malato è il terreno di coltura ideale per i virus.

Marco Garzonio

 



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  1. Carlo CastelliniNon riesco a trovare Piccolo Lessico delle Parole sul Covid, parole nuove in ordine alfabetico,con l'aggunta di beve commentoper ogni lettera dell'alfabeto. Mi potete aiutare? Grazie.
    9 ottobre 2021 • 18:07Rispondi
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