13 aprile 2020

MILANO: UN PIEDE NEL COVID-19, L’ALTRO NEL DOPO

Una pandemia annunciata già nel 2017 e la riduzione mondiale dei posti letto


Milano non deve arretrare come punto di forze dell’Italia nella Ue e deve decidere che cosa fare dei suoi beni pubblici globali. Forse il fare milanese ha fatto pagare alla città un prezzo alto della battaglia contro il Covid-19.

Foto di Nicolò Maraz (dettaglio)

Foto di Nicolò Maraz (dettaglio)

Terra di mezzo, Milano è sempre con un piede ben fermo – talora impantanato, come oggi – e con l’altro a saggiare il terreno intorno, magari non sempre nella giusta direzione, virtualmente con i soli limiti della qualità media delle nostre anime e dei nostri cervelli, facce della stessa medaglia. È lo specifico di Milano, non la ricchezza, altre città lo sono ben più. E il Covid19 paradossalmente ci restituisce il futuro, che non è più quello globalizzato che vien da sé. Va pensato.

Con la nostra attiva partecipazione, la globalizzazione neoliberista ha svenduto i beni pubblici fino a renderci – criminalmente, non colposamente – impreparati anche culturalmente (peccato mortale imperdonabile, contro lo spirito) al Covid-19 ufficialmente annunciato nel 2017 dall’OMS e poi dalla Banca Mondiale già in termini di pandemia.

Nella testimonianza di Nicoletta Dentico, della Society for International Development: «Penso che questa sia stata la pandemia più largamente annunciata della storia. I segnali sono venuti almeno da cinque anni […] Il problema più grave in questo momento è che esiste un trattato internazionale sotto l’egida dell’OMS che si chiama International Health Regulation, il regolamento sanitario internazionale che dovrebbe essere vincolante per gli stati. Dal 25 gennaio il direttore generale dell’OMS sta lanciando questa chiamata alla collaborazione, alla cooperazione tra gli stati che, si sa, è fondamentale quando si parla di salute e gli stati o nascondono i numeri o non collaborano tra di loro o sono in uno stato sostanzialmente di negazione. Questa è la tempesta perfetta per il virus1.

La perdita pura e semplice di senno dell’ordinamento neoliberista, che oggi combatte per la vita, sta nei pochi numeri pubblicati in aprile da Le Monde Diplomatique: nel 1980 la Francia aveva 11 posti-letto ospedalieri per mille abitanti, oggi 2,8; nel 1970 gli USA 7,9, oggi 2,8; noi italiani nel 1980 ne avevamo 922 ogni centomila abitanti per i casi severi, ridotti a 275 trent’anni dopo.

In questa prima guerra globale, Milano è in prima linea con il sangue freddo e la competenza di alcune migliaia di straordinari professionisti della sanità che reggono l’urto, mentre le retrovie globali si organizzano, a modo loro.

Ai gatti non si insegna arrampicarsi. È prevedibile che, vinta pur se in interminabili mesi la battaglia contro Covid19, molte saranno le opportunità imprenditoriali, a condizione di non uscire dall’UE in una deriva inevitabilmente mediterranea. Ma la guerra globale contro virus e batteri continuerà e non la vincerà il mercato, ma un nuovo ordine internazionale di cui l’Europa è come sempre anticipatrice, con l’UE stavolta – se, come spero, reggerà.

Che fare a Milano? Componente primaria del sistema di governo italiano ed europeo, due sembrano i percorsi necessari: lo sviluppo della cultura e delle infrastrutture digitali e soprattutto l’investimento nella sanità pubblica, anche in termini di formazione e ricerca. Diventare un polo globale di ricerca e cura in ambito sanitario è un bel passo avanti. L’augurio è che a Milano ci si stia già pensando.

Lo specifico di Milano è cooperare e promuovere la cooperazione con e nella UE, oggi anch’essa terra di mezzo come Milano e come Milano in bilico tra l’istinto degli orgogli nazionali (non solo statali: ognuno ha il suo a far da palliativo) e gli investimenti necessari (più urgenti e costosi quanto più si aspetta) nelle infrastrutture pubbliche di salute, educazione e ricerca integrate in ambito europeo. È la politica del fare, nella tradizione milanese, ma, nel contesto dolorosamente rivelato da Covid-19, anzitutto del decidere che cosa fare per i beni pubblici globali che in Milano – come in tutte le grandi città europee (e mondiali, ma un passo alla volta) – hanno/non hanno un presidio avanzato.

Questione politica di primo piano, dopo la brutale dimostrazione di Covid-19 che per lavorare e dare il meglio di sé, singolarmente e collettivamente, bisogna anzitutto esser vivi, in buona salute e educati a vivere consapevolmente insieme anche in circostanze dolorosamente ostili. È un’occasione preziosa per sviluppare il nostro ruolo di snodo europeo e globale nei servizi e nella ricerca pubblici in tutti gli ambiti di frontiera.

Giuseppe Gario

1 Radio3Scienza, 24/03/2020, ore 10.30



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  1. Carla Maria Casanovail fatto è che NOI rimaniamo gli stessi. Che nessuna Storia al mondo servirà per farci cambiare. E quindi rotoleremo nelle vicissitudini più grandi di noi,travolti dalla valanga. E bene così perché quando ci mettiamo (si mettono?) a decidere qualcosa fanno peggio. Perché l'ttuale situazione ce la siamo proprio fatta con le nostre mani ed erea prevedibile che a un certo punto la Terra non ne possa più e ci voglia sterminare. E la Natura non scherza. Quella fa sul serio.
    15 aprile 2020 • 12:16Rispondi
  2. Carla Maria Casanovavedo che il mio commento "è in attesa di moderazione". La formula mi pare carina. Però temo che non occorra moderare niente. Anzi, se è per quello, ci sarebbe da urlare a squarciagola....
    15 aprile 2020 • 12:19Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaGentile Carla Maria, come responsabile di ArcipelagoMilano sono il moderatore. Il ruolo del moderatore è quello di impedire che i commenti siano offensivi per gli autori o che comunque sia usato un linguaggio scorretto o volgare. Provvedo a moderare ogni qualvolta mi arrivi da sistema l'avviso che è predente un commento nuovo.
      15 aprile 2020 • 14:04
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