20 marzo 2020

ALTA DENSITÀ E COVID-19

Spiegazioni urbanistiche ed ecologiche del contagio


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Costretto a casa per “Decreto Coronavirus”, a vivere e lavorare con i mezzi d’informazione sempre accesi, per cogliere le ultime prescrizioni ed i numeri del contagio, l’orecchio mi è stato alcuni giorni fa favorevolmente titillato, soprattutto dalle parole di un Ricercatore Francesco Broccolo, dell’Università Bicocca di Milano. Costui, in un talk-show della prima mattinata, operava una colta considerazione multidisciplinare “trasversale”, molto interessante per chi, come me, si occupa di architettura, urbanistica e paesaggio.

Sosteneva, il Prof. Francesco Broccolo, non essere un caso che l’epidemia sia molto più rapida a diffondersi in quelle aree dove la densità della popolazione (il rapporto tra numero di residenti e superficie) è più alta. La contiguità urbanistica, portata agli eccessi, determina le condizioni ideali per la propagazione rapida del virus all’interno degli esseri umani. Per lo stesso motivo evidenziava come nelle zone del Sud Italia, soprattutto Molise e Basilicata, il virus avrà una progressione molto meno rapida.

Inoltre, la pianura padana è una delle zone d’Europa con il più alto tasso d’inquinamento dell’aria, che ogni anno produce tra i 40 ed i 50 mila morti, ed un sicuro indebolimento dei meccanismi di difesa, soprattutto alle vie aeree, di chi qui risiede. Se a ciò si aggiunge il fatto che in quest’area vi è il più alto consumo italiano, di diserbanti e pesticidi per l’agricoltura, presenti persino nelle falde acquifere, è evidente che il sistema immunitario di chi risiede in questi luoghi possa essere particolarmente sollecitato ed indebolito.

Trarre quindi anche alcune considerazioni sul continuo aumento della densità urbana, attuata soprattutto a Milano e nel nord milanese, in città come Bresso, Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, ecc., appare logico e doveroso. Sono queste realtà comunali dove le amministrazioni che si sono succedute per decenni hanno “spinto” (e continuano a “spingere”, ad esempio a Milano con il PGT 2030), su un continuo aumento della densità urbana, occupando tutti i “vuoti urbani” possibili, intendendo per essi: “vaste aree rese disponibili per obsolescenza o cambio di destinazione d’uso, che vengono chiamate indistintamente aree strategiche, periferie interne, grandi vuoti, aree dismesse, derelict land1.

A Milano, prima del “Coronavirus”, durante l’iter di approvazione del Piano di Governo del Territorio 2030, si discuteva solo di “rimboschimento urbano” e non di qualità del disegno urbanistico e dell’architettura della città. È mancato completamente un dibattito veramente democratico sulla possibilità di sfruttare il rapporto tra pieni e vuoti urbanistici per far “respirare” la città, in una realtà molto compromessa dal punto di vista ambientale.

Gli attuali amministratori milanesi, promuovendo in senso “verdeggiante” il nuovo strumento urbanistico milanese, il PGT 2030, distraendoci celavano abilmente i milioni di metri quadrati di superficie lorda lì insediati (per l’esattezza, circa 4 milioni e 500 mila metri quadrati). Il fine ultimo di questo PGT è realizzare i contenitori che accoglieranno gli oltre 80 mila nuovi residenti previsti a Milano per il 2030. La Giunta Sala si è concentrata quasi esclusivamente sulla metafora del “Verde verticale”, come mascheramento dell’architettura cittadina esistente e delle nuove costruzioni previste con il PGT 2030, anziché costruire un dibattito sulla necessità di avere una qualità architettonica ed urbanistica complessiva, nata da un disegno progettuale preciso, con un verde orizzontale a disposizione di tutti in grado di riempire quei “vuoti” urbani per fare respirare la città, e non costosi “Verdi verticali”, per pochi eletti, onerosi anche da manutenere.

 

Le città devono essere ripensate proprio a partire dalla densità urbana. Bisogna generare un nuovo rapporto tra persone e territorio, non ci si può limitare ad un semplice “mascheramento” della densità con un banale rivestimento verde. Bisogna fare in modo che questa tragedia, con tantissimi morti, serva almeno ad “inventarsi” una nuova progettualità urbana per il futuro. Bisogna ridare senso alle città, ricalibrare i rapporti tra pieni e vuoti urbani, tra costruito ed aree verdi: dato che solo questo è un “provvedimento sanitario” veramente definitivo, in grado di aiutare ad evitare che tutto ciò possa ritornare di nuovo.

È probabilmente la natura stessa del Pianeta, che non ci riconosce più come sua parte ma come elemento avulso, infetto, e cerca di distruggerci. Se sopravviveremo al virus altamente letale, dovremo cambiare tutto. Costruire un nuovo inizio, una nuova economia più etica, delle nuove città più “sane”, per delle nuove persone più consapevoli.

Dario Sironi

1 Maria Pia Belski, e G. Fonti, Periferia come centro, Apollo e Dioniso, Rozzano, 2001



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  1. Franco Anselmuccil'articolo é solo propositivo,necessita portare degli esempi pratici che siano un contributo reale.
    7 giugno 2020 • 17:38Rispondi
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