13 marzo 2020

GLI 80 PIOPPI DELLA GOCCIA

Le motoseghe non "stanno a casa"


PER COMINCIARE: La gaffe dell’hashtag #milanononsiferma lanciato da Sala nella prima settimana di marzo è ormai diventata virale. Milano poi si è fermata, ma l’amministrazione comunale ha avuto il tempo di abbattere 80 pioppi, quasi tutti sani, all’interno del Parco della Goccia, senza che i cittadini potessero assembrarsi e dunque opporsi… #de-ForestaMi?

Rapaccini

Mentre il Coronavirus adombrava Milano della sua minaccia e il Beppe Sala lanciava la campagna #milanononsiferma, durante la prima settimana di marzo, una compagine di operai armati di motosega entravano nel Bosco della Goccia sul lato ovest, dal cancello di via Marco Pacuvio 40, e tagliavano di netto un gran numero di pioppi, circa 80, quasi tutti sani.

A giudicare dal numero di anelli presenti sulla sezione dei tronchi abbattuti, i pioppi avevano circa cinquant’anni: furono piantati a scopo di riforestazione da Aem, proprietaria dell’area dal 1974 in seguito alla dismissione delle Officine del Gas. I pioppeti vengono generalmente piantati per essere tagliati, vero, ma perché tagliarli dopo tanto tempo, quando ormai costituiscono un ecosistema e contribuiscono fortemente a mitigare l’aria metropolitana?

Il fattaccio è avvenuto su una porzione della Goccia, di proprietà di A2A, che nel Progetto di Piano del nuovo PGT viene indicata come “verde urbano di nuova previsione” – tale dicitura è descritta come “verde finalizzato all’integrazione della rete ecologica di livello comunale e di livello metropolitano” – mentre nello Schema di Rete Ecologica Comunale viene indicata come “verde esistente”. È quindi sorprendente che in un’area naturale si sia deciso di eliminare radicalmente il patrimonio arboreo tanto agognato dall’Amministrazione milanese

Il progetto ForestaMI vuole piantare 3 milioni di alberi entro il 2030, ma conterà quelli che ha tagliato? Secondo un semplice calcolo, i pioppi che sono stati abbattuti avrebbero contribuito solo nel 2020 ad assorbire circa 6500 kg di CO2, senza contare i benefici in termini faunistici, paesaggistici e di riduzione della temperatura. Considerando l’urgenza del problema climatico, abbattere alberi adulti per piantarne di giovani ha un effetto controproducente.

Tra l’altro, secondo il Regolamento d’uso e tutela del verde pubblico e privato redatto dal Comune stesso nel dicembre 2017, l’abbattimento di alberi è vietato di norma tra marzo e settembre, periodo di riproduzione e nidificazione di uccelli. Inoltre al di fuori dell’area non è stato messo in vista alcun cartello relativo ai lavori che venivano effettuati. Quanto meno bizzarro questo modo di agire. Non sarà che l’approvazione del PGT sia il via libera per distruggere tutto il prima possibile così da rendere l’area appetibile per gli investitori?

La restante e maggioritaria parte della Goccia, sempre da indicazione del PGT, viene considerata Grande Funzione Urbana e dovrà ospitare un parco e un polo scientifico tecnologico: su di essa il Comune autorizza a edificare per metà della area, che attualmente è occupata da un fitto bosco di 35 ettari e un’architettura industriale di pregio, in buona parte recuperabile. Il Comune considera il Bosco “La Goccia” come area da riqualificare, bene.

Tuttavia, nonostante i criteri di sostenibilità e resilienza tanto acclamati dalla giunta, pare che l’unico modo di riqualificare sia tirare giù tutto indiscriminatamente, con il pretesto della bonifica. Almeno, così è stato fatto per il Lotto 1A, attorno ai celebri gasometri, dove sono cominciati i lavori per l’allargamento del Campus del Politecnico e non rimane alcuna traccia di una vegetazione che era rigogliosa e promettente. Cosa c’è di più resiliente di un bosco cresciuto sulle macerie di un’industria? Non può insegnarci nulla?

La stessa Aem, nella monografia “Milano tra luce e calore” edita nel 1995, quando l’Azienda energetica municipale aveva da poco chiuso definitivamente l’area della Goccia, nelle conclusioni dell’approfondita analisi conoscitiva dell’area a verde affidata al Corpo Forestale dello Stato, riportava che “il popolamento arboreo presente è costituito da un notevole gruppo di alberi, ben conformi, di buona vegetazione, in sintonia con gli aspetti climatici dell’area padana, nel complesso resistenti alle avversità dell’ambiente urbano. Organizzati, in gruppi, in filari e con alcuni elementi di elevato valore estetico costituiscono un patrimonio di altissimo interesse per una città come Milano, largamente deficitaria di aree verdi.”

Da quel censimento, che contava più di 2000 alberi, sono passati 25 anni e oggi l’area della Goccia è un vero e proprio bosco urbano dalle caratteristiche pre-alpine. “Si è certi che chi progetterà la realizzazione del piano di riconversione urbana – continua la relazione – sarà in grado di valorizzare un’area già tanto preziosa, ricca di un verde di altissimo interesse per la qualità della vita di tutti i cittadini milanesi.”

Il Comune di Milano declama nella sua Visione del verde che “Milano deve accrescere, tutelare, configurare, creare e recuperare il proprio patrimonio di aree verdi”. Invece, dopo gli alberi tagliati nel parco adiacente a Via Edoardo Bassini contro la volontà di associazioni, docenti e cittadini di Città Studi, sono stati distrutti altri 80 pioppi nella Goccia.

La politica piegata al mattone e al valore finanziario dei territori ammorba le città, è un dato di fatto. Sfumano rapidamente le identità dei territori, sparisce totalmente il rapporto genuino con la natura e la metropoli risucchia continuamente energie, dimenticandosi dei suoi abitanti che sempre più numerosi si battono per far sentire la propria voce. Eppure, in un momento come questo, in cui il mondo sembra impazzire e Milano è in quarantena, forse sarebbe utile fermarsi a riflettere anche sulla progettazione della città.

Forse” come suggeriva Giancarlo De Carlo ai suoi studenti dell’Università di Genova nel 1993 “è tempo di rovesciare il cannocchiale per cogliere una prospettiva molto più ampia […] e invece di guardare dal punto di vista delle città, come si è sempre fatto, partire dal territorio, e poi da entrambi contemporaneamente.” Milano, come faro economico del paese, dovrà avere più coraggio nell’invertire la rotta, magari sacrificando qualche grossa vetrina internazionale in favore del benessere collettivo.

Richard Sennet, in un suo discorso sulle città moderne, affronta la “contraddizione strutturale tra il costruire e l’abitare” e ragiona sul “rapporto tra città aperte e città chiuse”. Sostiene che “la città chiusa è spesso il tipo di città in cui la gente vuole vivere” perché “il sistema chiuso è quello in cui le parti semplicemente compongono il tutto […] cerca la chiarezza nei risultati, mentre un sistema aperto è molto più sperimentale, si interessa alle risposte sbagliate […] quando pensiamo in modo aperto, ci addentriamo nella complessità, non nella chiarezza.” Ed è per questo che non esiste un modello di città aperta, a cui tutte dovrebbero ispirarsi, ma probabilmente è più il risultato di un lungo percorso realmente e creativamente aperto verso la partecipazione, ma “la gente è convinta di non poter affrontare la complessità, le differenze, ciò che non risulta familiare, le persone che non piacciono, le situazioni incognite” – continua Sennet: “E questa incapacità di gestire la diversità è alimentata da un’economia capitalista che trae profitto dall’indurre le persone a desiderare solo quello che giudicano comodo o familiare.”

A Milano sappiamo che quando si parla di immobiliare la partecipazione è una chimera, per quanto il Comune possa sostenere il contrario, la vocazione turistica e la smart-city trainano le sue prospettive. “La città – avverte Sennet in chiusura – “dovrebbe essere il posto in cui imparare ad affrontare e gestire una situazione difficile, insieme ad altre persone.” Oggi serve affrontare le sfide che la Natura ci pone di fronte, abbandonando, almeno su larga scala, “uno dei difetti dello sviluppo contemporaneo” – citando ancora De Carlo – “di avere nei confronti della natura un atteggiamento di sottomissione o di arroganza”.

Non ci si può quindi accontentare di essere una città appetibile agli investimenti finanziari. Soprattutto per non calpestare le periferie a cui il Sindaco Sala dice di volersi dedicare, non possono essere ignorate le identità dei territori e la necessità di ricucire un rapporto tra urbano e rurale.

Gianluca Rapaccini

Link:
https://boscolagoccia.net/colpo-basso/ – comunicato relativo al taglio dei pioppi (con foto)
www.parcogoccia.com – sito del Comitato La Goccia
www.boscolagoccia.net – iniziative artistiche nel bosco

Fonti:
Milano tra Luce e calore”, Monografia, Edizioni Aem, 1995
La città e il territorio – quattro lezioni” – Giancarlo De Carlo, Quodlibet, 2019
MicroMega. La lotta per la città.” – Democracy Lecture tenuta da R. Sennet l’8 novembre 2018



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  1. Salvatore LigottiQuando l'ultima fiamma sarà spenta, l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce catturato, allora vi accorgerete che non si può mangiare denaro.
    18 marzo 2020 • 10:53Rispondi
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