29 febbraio 2020
LA NARRAZIONE ALLARMISTA È COME QUELLA POPULISTA
La degenerazione della ragione nell’epoca del Coronavirus
29 febbraio 2020
La degenerazione della ragione nell’epoca del Coronavirus
La comunicazione allarmista attiva oggi sui media di casa nostra, ma anche di tutto il mondo, a proposito della diffusione di un virus influenzale denominato coronavirus (il nome già di per sé è fonte di preoccupazione) è la punta dell’iceberg di una comunicazione iperrealista che pervade la nostra società postmoderna. Comunicazione iperrealista che il web e i social hanno contribuito ad accentuare e amplificare.
Da tempo – almeno nel mondo occidentale – non ci sono guerre, ma il linguaggio simil-militare continua a mietere vittime e a fare danni, grazie ai format comunicativi populista e allarmista che lo utilizzano in modo pervasivo. Non a caso la narrazione allarmista utilizza le stesse modalità, gli stessi stereotipi e gli stessi frame della narrazione populista.
Era già successo quando l’ISIS aveva colpito con attentati terroristici alcune capitali europee. Anche allora i media e i comunicatori populisti, gli uni per fare audience o per guadagnare followers gli altri per guadagnare consensi elettorali, parlavano di “attacchi al cuore dell’Europa”, di guerra all’Occidente, di città blindate, di pattuglie dell’esercito mobilitate per presidiare luoghi strategici”. Anche allora per spaventare, per creare paura e insicurezza si faceva ricorso alla terminologia militare, creando dei frame narrativi di tipo militare in grado di produrre in modo artefatto emozioni basiche, cioè “di pancia”, non controllate dalla mente razionale o dai sentimenti, come la paura e il conseguente odio verso tutti i Musulmani.
Lo stesso format comunicativo è stato ripetuto in occasione degli arrivi di immigrati sulle coste italiane. Allora si parlava di “Invasione”, di respingimenti, di esercito schierato per difendere le frontiere e le città. Fra la gente si diffondeva la paura dello straniero che invade i nostri confini, le nostre periferie, le nostre città, che è cattivo perché ruba, spaccia, uccide, stupra. E come conseguenza ecco la caccia allo straniero, soprattutto africano e di colore, con risultati a volte criminali. E qualche politico si presentava come l’Eroe della fiaba, come il Salvatore della patria, come il Risolutore di tutte le paure, il portatore di sicurezza in cambio di un consenso elettorale.
Anche Hitler circa un secolo prima aveva diffuso con efficacia comunicativa l’idea che gli ebrei fossero paragonabili a dei virus letali che potevano infettare la razza ariana se non venivano eliminati da un Salvatore della patria. In questo modo aveva creato con la sua narrazione populista le emozioni basiche della paura, della rabbia, dell’odio verso tutti gli Ebrei, preparando così il popolo tedesco all’idea atavica del nemico e del capro espiatorio che avrebbe dovuto prima o poi essere sacrificato nei campi di sterminio.
Oggi il format comunicativo che regala audience ai media e consensi ai populisti all’opposizione è ancora in azione. Si parla infatti di “Allarme coronavirus”, di “dichiarazione di guerra al virus”. Nei titoli dell’informazione televisiva, cartacea e on-line si legge: “Virus: la grande paura”, “Assalti alle farmacie”, “Battaglia contro il virus che non deve fermarsi”. Ma, ancora più grave, si vedono immagini ad ogni ora del giorno in televisione e sui social di pattuglie dell’esercito schierate a presidiare le strade della zona rossa; si vedono filmati, girati in non si sa bene in quale ospedale, con personale sanitario dotato di tute e divise da guerra chimico-batteriologica.
Tuttavia i più inquinanti nel senso della coltivazione della paura sono quei filmati, in termini tecnici si dice “virali”, color seppia, dove voci fuori campo di improvvisati narratori raccontano le immagini con un tono fra l’inquietante e l’apocalittico. Improvvisati “reporter di guerra” raccontano che “qui non si entra e non si esce, che gli abitanti sono isolati dal resto del mondo”, che “dietro le finestre chiuse ci sono intere famiglie in attesa della libertà”, che “stiamo vedendo dei paesi fantasma”, ecc. E per essere ancora più iperrealisti nella comunicazione allarmista compare una musica di sottofondo che accompagna le immagini e che sembra tratta dai film di Dario Argento o dai film della fantascienza-horror.
E che dire del briefing quotidiano della Protezione civile con tanto di bollettino in stile militare: oggi abbiamo tot. morti, tot. feriti gravi (infetti ricoverati), tot. feriti leggeri (infetti a casa), tot. sfollati (numero di abitanti che non possono spostarsi nelle zone rosse), tot. sopravvissuti (gli infettati già guariti). E naturalmente tutti i TG, i giornali, i talk-show che a tonnellate affollano le reti principali aprono il racconto quotidiano della guerra riportando i dati numerici del bollettino.
E dopo aver letto il bollettino, che anche senza commento offre dei dati tecnici e statistici non sempre gestibili e interpretabili correttamente dai non addetti ai lavori, quindi dai cittadini, che possono creare letture fuorvianti contribuendo alla costruzione del panico, tutti cercano di tranquillizzare l’opinione pubblica.
Il paradosso è che dopo essersi accorti che tutto questo genera paura, e che la paura degenera in azioni assurde e irrazionali che hanno a che fare con il panico, i narratori mediatici (conduttori, giornalisti, politici) stanno cercando di tranquillizzare l’opinione pubblicai invitando esperti che ci dicono di stare tranquilli. Peccato che mentre loro parlano, a invalidare il dictum sugli schermi scorrono in simultanea immagini di supermercati svuotati, di ospedali blindati, di ambulanze con personale in assetto di guerra batteriologica.
Infine possiamo dire che nella società postmoderna della “troppità”, dell’eccessività, della post verità, questi format comunicativi utilizzati dai populisti e dagli allarmisti, presenti nella politica e nei media off e on-line, con il loro racconto del nemico, la loro capacità di seminare e coltivare ansia e paura, rabbia e odio, di creare capri espiatori, trovano il loro habitat naturale. Purtroppo sono anche efficaci, proprio come oggi è efficace il nostro coronavirus immerso nell’habitat della società sempre più globalizzata.
Alberto Negri
Docente di “Comunicazione e marketing della politica” – Università Cattolica di Milano
8 commenti