23 febbraio 2020

A MILANO GRATTACIELI SI O NO?

La responsabilità del Comune per una “urbanistica tridimensionale”


L’editoriale dello scorso numero di Luca Beltrami Gadola sulla Torre Velasca ha aperto il dibattito tra favorevoli e contrari ai grattacieli. Il tema è stimolante anche se richiederebbe una riflessione più meditata rispetto ad una breve articolo. Dunque grattacieli a Milano; sì o no?

Se e dove costruire i “grattacieli” ovvero edifici molto più alti dei normali edifici che compongono la città, dovrebbe stabilirlo il Piano urbanistico. Il Piano dovrebbe progettare la forma urbana o quanto meno dare le regole perché la forma urbana sia l’esito di un progetto pubblico, collettivamente condiviso, e non il frutto della casualità delle trattative sui volumi dei singoli interventi.

Trgetti 1

Quando un edificio alto diventa un grattacielo?

Si può intendere per “grattacielo” un edificio particolarmente alto che si impone, come oggetto singolo, non necessariamente coerente rispetto alla forma urbana e all’architettura del contesto, anzi più il grattacielo se ne discosta e meglio raggiunge il suo scopo mediatico.

Naturalmente i giudizi sui grattacieli hanno una componente soggettiva e nel dibattito colto dipendono dalle correnti di pensiero, ma il governo della città ha bisogno di regole e criteri prestabiliti e non di valutazioni occasionali, caso per caso.

I Centri direzionali

I grattacieli nascono storicamente come componenti dei centri direzionali delle città americane.

E’ il modello “Downtown” nato negli Stati Uniti e diffuso nel mondo. I grattacieli, concentrati in una zona della città dedicata, hanno ragion d’essere perché è il confronto tra le diverse architetture che dà significato al luogo. Questo modello può essere riproposto o rifiutato, ma ha un ruolo chiaro nell’organizzazione urbana.

Il PRG di Milano del ’53 aveva previsto il Centro Direzionale, a Porta Nuova /Garibaldi, all’incrocio di due grandi arterie metropolitane / regionali, gli assi attrezzati, (che avrebbero distrutto parti significative della città storica e che per fortuna non furono mai realizzati) secondo appunto il modello “americano. Il centro direzionale previsto dal PRG aveva il compito di frenare la terziarizzazione del centro storico; una scelta giusta, anche se realizzata decisamente in ritardo rispetto a tale scopo. Per il Centro Direzionale era previsto un Piano Particolareggiato (1955 – 1962) poi abbandonato e ripreso dal Progetto Porta Nuova del 2004.

Dunque i grattacieli di Porta Nuova / Garibaldi, possono non piacere, ma sono coerenti all’impianto urbanistico. L’area interessata è ampia: i nuovi edifici non impattano sull’edificato preesistente e costruiscono un pezzo di città con una sua autonoma funzionalità e immagine.

Parigi, con la Défense, ha fatto una scelta analoga, anche se non ripetuta in altre parti della città.

Grattacieli o edifici alti diffusi

Ben altro giudizio si deve dare quando singoli grattacieli spuntano casualmente in mezzo al tessuto urbano consolidato. Una questione ancora diversa è rappresentata gli edifici alti, ovvero gli edifici di quindici, venti piani e quindi più alti degli edifici “normali” che al massimo raggiungono gli otto o al più i dieci piani (oltre tale altezza aumentano i costi e le difficoltà di costruzione). In effetti gli edifici alti, se regolati da una buona urbanistica, possono costituire componenti significative della forma urbana: elementi che segnano luoghi topici, appunto regolati da un disegno urbano e non casuali.

Infatti il DM 1444 del 1968 ha stabilito che nelle zone di completamento, cioè nelle parti di città prevalentemente edificate, non si possa superare l’altezza degli edifici preesistenti, circostanti, se non con piano attuativo (Piano particolareggiato e piano di lottizzazione). In attuazione del decreto le norme dei PRG stabiliscono l’altezza massima degli edifici nelle diverse zone della città.

Esempi a Milano

I grattacieli di Milano, prima dell’intervento di Porta Nuova, sono stati realizzati per lo più sulla base di convenzioni speciali che hanno consentito il trasferimento di volumetrie che il lotto di competenza, sulla base del PRG, non avrebbe avuto; solo che alcuni edifici sono poi risultati coerenti (non confliggenti) con il contesto e hanno essi stessi consolidato l’immagine urbana, altri appaiono invece casuali ed estranei al contesto urbano.

Alcuni esempi. Il Pirelli è un edificio di qualità architettonica indiscutibile ma non è nato da un progetto urbanistico anche se si può dire che faccia parte del Centro direzionale. È semplicemente sorto sull’area della ex fabbrica Pirelli; ma piazza Duca D’Aosta, la grande piazza della Stazione Centrale, sulla quale prospetta il Pirellone ne ha retto l’impatto ed oggi il grattacielo è uno dei simboli della città.

La Torre Velasca è più coerente con l’architettura della città rispetto agli edifici in stile internazionale, ma è debole sotto il profilo dell’assetto urbanistico. Al di là delle considerazioni sulla conservazione del centro storico e la pesante manomissione del tessuto storico compiuta nel dopoguerra, il grande edificio non organizza lo spazio urbano circostante; avrebbe potuto per esempio fare da sfondo a via Larga, come nuova scenografia urbana. Invece l’edificio sorge all’interno di una piccola corte urbana che ne nasconde l’attacco a terra e così il grattacielo spunta un po’ casualmente al di sopra degli edifici circostanti, più bassi.

Nel caso più recente di City Life l’impianto urbanistico formalmente c’è ma è debole perché condizionato dall’eccesso di volumetria imposto per ragioni di valorizzazione immobiliare. La volontà di segnare i tre grattacieli con tre marchi fortemente diversi ha conferito all’intervento un carattere di casualità ed estraneità rispetto alla città circostante, accentuato dall’incongruenza architettonica e dalla eccessiva dimensione della parte residenziale.

Gli edifici alti della vecchia urbanistica

Molti edifici alti sono stati realizzati sulla base del vecchio regolamento edilizio (antecedente al PRG del ‘53 e da questo ripreso) che stabiliva l’altezza degli edifici in funzione delle dimensioni delle strade e piazze su cui prospettavano. Probabilmente è il caso degli edifici all’inizio di via Vittor Pisani, o in piazza Piemonte all’inizio di corso Washington: sono edifici alti che hanno un ruolo significativo nella forma della cortina urbana e la loro architettura, coerente con il contesto, li rende belli perché esteticamente logici. Insomma un buon esito dell’urbanistica pre-razionalista.

Cosa dice il nuovo PGT sugli edifici alti

Il PGT detta norme morfologiche per le diverse parti di città. Nella maggior parte della città costruita l’altezza massima ammessa è sostanzialmente quella preesistente o quella degli edifici contigui, con limitate variazioni. Insomma non sono ammessi edifici più alti di quelli esistenti.

In alcune limitate parti delle città, il PGT ammette una maggiore concentrazione volumetrica: nelle “Piazze” e nei “Nodi d’interscambio” è possibile superare l’indice volumetrico massimo di 1mq/1mq di superficie lorda di costruito: in questi casi il PGT non limita l’altezza e non dà disposizioni particolari circa la forma urbana. Anche nelle aree destinate a grandi funzioni urbane ci sono limiti volumetrici (0,35 mq/mq) ma non regole formali. In questi specifici ambiti potrebbero essere realizzati edifici alti o grattacieli.

Gli accordi di programma per gli scali ferroviari, assunti come tali dal PGT, demandano ai masterplan vincitori dei concorsi, l’organizzazione urbanistica delle aree e la forma urbana conseguente. Per esempio il masterplan dello scalo Farini prevede sia edifici di altezza normale, sia edifici alti, concentrati ai margini dell’area, verso il bordo edificato della città. La vastità dell’area sopporterebbe edifici molto alti ma il rapporto con il bordo urbano esistente va considerato con attenzione, alla corretta scala urbanistica ed architettonica. Difficile per ora dare un giudizio.

Infine appaiono per lo più casuali gli edifici alti, simulati nei rendering di futuri interventi che compaiono in rete: uno per tutti il recente progetto di sistemazione dell’area di San Siro.

E nell’area metropolitana?

Nell’area metropolitana il problema oggi non si pone perché grandi edifici non troverebbero collocamento sul mercato. Il Piano Expo Mind prevede edifici alti ma non grattacieli. Un caso significativo vi fu ad Assago quando nei primi anni ’90 si impostò l’ampliamento di Milano Fiori, un grande centro direzionale metropolitano (pianificato dal Piano Intercomunale Milanese) e il contestuale prolungamento della MM 2. Il promotore, Cabassi, propose tre edifici alti, progettati da Kenzo Tange che in quegli anni stava progettando anche il nuovo centro direzionale di San Donato. A parte la qualità dell’architettura (all’altezza del nome del progettista) quei grattacieli, alle porte sud di Milano, all’incrocio di due autostrade e alla testa della metropolitana, sarebbero stati coerenti con l’impianto urbanistico e la posizione territoriale, anche se erano vicini al Parco Sud. Parte dei cittadini protestarono per l’impatto visivo; il promotore pensò che un maggior numero di edifici bassi sarebbero stati collocati più facilmente sul mercato; i grattacieli non si fecero. Dal punto di vista dell’organizzazione territoriale, Milano Fiori resta l’unico esempio, a Milano, di decentramento direzionale a scala metropolitana, che ha realizzato con proprie risorse la connessine su ferro. L’architettura che fu poi realizzata, più o meno apprezzabile, non ne segna certo l’eccezionalità.

Cosa fare

L’amministrazione pubblica non può limitarsi a giudicare le proposte dei promotori immobiliari. Dopo il PGT deve continuare ad esercitare un ruolo di guida anche nella costruzione della forma urbana che assumeranno le scelte di Piano.

Il Comune deve dunque assumersi la responsabilità di progettare la forma delle parti di città dove le norme di Piano consentono di realizzare edifici alti ovvero grattacieli che impatteranno decisamente sull’immagine della città. Bisogna d’altra parte evitare di disseminare nella città il campionario delle fantasie degli architetti, ma valutare se un edificio alto diventa necessario nel progetto urbanistico.

Ugo Targetti



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  1. Michele SacerdotiA MIND sono previsti grattacieli con 250 metri di altezza massima a sud del Decumano nella parte privata. SI parla della costruzione di un centro servizi di Banca Intesa, con cui Arexpo è indebitata fortemente. In via Stresa è in costruzione un grattacielo residenziale di 26 piani al confine con la città giardino della Maggiolina autorizzato dalla Commissione per il Paesaggio dopo un attento studio sulla collocazione e contro cui i residenti hanno dato battaglia, sostenuti dal Municipio 2.
    26 febbraio 2020 • 02:01Rispondi
  2. walter moniciOttimo articolo, da ex insegnante di arte posso solo notare che nei nuovi grattacieli non è stato considerato l'impatto visivo prodotto sulle vie circostanti: pezzi stupendi della milano ottocentesca sono oggi ridotti a scenografia per gli incombenti grattacieli lontani che occupano tutta la vista, via mascheroni, via washington, via solferino, corso garibaldi e tente altre vie non sono più quelle di prima, abbiamo perso il senso di compiutezza e coerenza che ancora dava a Milano un senso di città storica per trasformarla in ricettacolo delle mode e delle fantasie degli architetti.
    26 febbraio 2020 • 10:50Rispondi
  3. Sergio BrennaSinceramente faccio fatica a seguire e condividere i giudizi troppo accomodanti di Targetti: non conosco un solo caso in cui i grattacieli di Milano siano nati dal “trasferimento di volumetrie che il lotto di competenza, sulla base del PRG, non avrebbe avuto”. Non è stato così per quelli degli anni ’50-’60 (Pirelli, Velasca, grattacielo “Gronchi” a Porta Romana et similia) nati in base al “rito ambrosiano” di convenzioni privatistiche caso per caso in deroga al PRG vigente le cui edificazioni - ove un futuro PRG non avesse voluto confermarle – ipocritamente si sarebbero dovute demolire. Non è stato così neppure nella nuova stagione post anni ’90 degli strumenti “eccezionali” (AdP, PII, PRU, PRUSST et similia) che a Milano si sono concretizzati a Citylife (It=1,15 mq/mq), Porta Nuova (It=1,60 mq/mq) e ora ex scali FS (It=0,65 mq/mq medio, ma con concentrazioni a Farini e Romana dell’ordine di 0,80-0,90 mq/mq). Sinora ad ogni intervento di trasformazione urbana in ogni epoca più o meno recente a Milano è stato consentito di “far parte per se stesso” indipendentemente dagli esiti tipologico-insediativi conseguenti. Targetti sostiene che grattacieli di Porta Nuova “possono non piacere, ma sono coerenti all’impianto urbanistico” perché lo prevedeva “il PRG del ’53 e il Piano Particolareggiato (1995-1962) abbandonato e ripreso (!?: interpunzione mia) dal Progetto Porta Nuova del 2004” e che “nel caso più recente di City Life l’impianto urbanistico formalmente c’è ma è debole (!?: interpunzione mia) perché condizionato dall’eccesso di volumetria imposto per ragioni di valorizzazione immobiliare” E’ facile dimostrare “per tabulas et per immagines” come con quegli indici di edificabilità territoriale, anche a voler concedere di lasciar realizzare spazi pubblici di zona inferiori ai già risicati e formalmente inderogabili 18 mq/abitante del DM 1444/68 (ciò che imporrebbe densità fondiarie non superiori a 7 mc/mq, trattandosi così di piani “fintamente” urbanistici ), si determinino obbligatoriamente densità fondiarie talmente alte da rendere il grattacielo non una scelta tipologico-progettuale scelta in alternativa ad altre possibili, ma un obbligo surrettiziamente imposto dagli interessi fondiario-immobiliaristici dei proponenti cui il Comune non ha saputo, ma soprattutto non ha voluto , contrapporre una propria visione di scelta insediativo-progettuale adeguata ad una più moderna concezione urbana (e lasciando perdere la penosa giustificazione del PRG ’53). Sia la soluzione proposta da Piano/RPBW per Pirelli RE ad ex Fiera, sia quella del Parco Possibile proposta da Jacopo Gardella e Pierfrancesco Sacerdoti per l’ex Centro Direzionale, sia quella da me studiata per l’area delle ex Varesine dimostrano che persino con volumetrie edificatorie incongrue si sarebbero potute perseguire soluzioni tipologico-insediative diverse e più coerenti di quelle che Targetti troppo accomodantemente giudica tutto sommato accettabili, purchè si rifiuti l’equivalenza tanto cara alla concezione immobiliaristica volume/interpiano 3-3,3 metri= superficie commerciale vendibile indifferentemente a residenza o terziario-uffici. Insomma, se si vuole che i piani urbanistici consentano poi un reale sviluppo di scelte tipologico-progettuali pensate e volute e non imposte, anche con It=0,50-0,65 mq/mq (non considero neanche le smisurate edificabilità di Citylife e Porta Nuova, frutto del bacato liberismo clientelare delle amministrazioni Albertini/Lupi e Moratti/Masseroli, anche se poi fatte proprie e condotte a conclusione da quelle Pisapia/De Cesaris e Sala/Maran) occorre che si attui (cosa sin qui mai accaduta) una suddivisione “perequativa” dell’edificabilità interna al piano urbanistico tra uno 0,35-0,40 mq/mq alla proprietà interna e uno 0,20-0,30 alla proprietà di altre aree in cui realizzare gli standard per verde e servizi territoriali. Altrimenti, per poter realizzare tutti gli spazi pubblici di zona e generali minimi e inderogabili prescritti per legge senza essere poi obbligati a densità fondiarie obbligatoriamente troppo alte che impongono la scelta dei grattacieli, occorre un It=0,35-0,40 mq/mq (correttamente scelto dal PGT recentemente entrato in vigore), ciò che consente sia piani urbanistici “autosufficienti” sia in alternativa “perequati” a seconda dell’utilità pubblica che dovrebbe essere perseguita dalle scelte
    26 febbraio 2020 • 15:46Rispondi
  4. ugo targettiL’analisi di Brenna è molto puntuale: il suo criterio portante è la valutazione del rapporto tra densità edilizia degli interventi esaminati, ovvero volumetrie concesse e spazio pubblico, rapporto fondamentale, ma non unico, per una buona urbanistica e del resto stabilito dalla legge. Ma nel mio articolo non ho dato un giudizio sulla correttezza della gestione urbanistica milanese; ho dato una valutazione sull’esito di interventi che hanno comunque segnato la città. La concentrazione di volumi e la conseguente realizzazione di grattacieli nel centro direzionale di Porta Nuova è coerente con un’idea di città che già era stata proposta dal PRG del ’53. E così per gli altri casi portati ad esempio ho espresso un giudizio di coerenza o incoerenza rispetto al contesto urbano. Non ho dato giudizi sul peso della rendita fondiaria e sulla quota riservata al pubblico, piuttosto che sulla dimensione dello spazio collettivo, ecc. Ed è persino legittimo pensare che il modello del centro direzionale con edifici di grande altezza sia fuori tempo e che in nell’area di Porta Nuova si sarebbero dovute fare altre cose. Però il mercato ha risposto positivamente e il giudizio di molti cittadini, non esperti, è favorevole ai grattacieli di Porta Nuova. E’ difficile spiegare che sono sbagliati perché non rispettano gli standard. Più facile spiegare che il Comune avrebbe potuto conseguire maggiori vantaggi. Infatti sono d’accordo con Brenna che Pota Nuova piuttosto che City Life o altri interventi avrebbero dovuto comportare quanto meno l’acquisizione di aree standard, anche in altre parti della città, attraverso meccanismi perequativi. Ma una volta messi a posto i conti, i grattacieli vanno bene dovunque? Perché è indubbio che dopo aver garantito gli standard si può decidere se costruire un solo edificio molto alto o più edifici bassi. C’è anche una questione di forma urbana che l’amministrazione pubblica deve governare.
    26 febbraio 2020 • 18:45Rispondi
  5. Lodovico MeneghettiAllora, pur con l'articolo così serio di Targetti siamo ancora al "mi piace non mi piace", "può piacere o non piacere": così l'assessora Lucia De Cesaris quando fu chiamata da cittadini milanesi a valutare uno scandaloso sopralzo (fino a quel momento nascosto da teloni et similia) del loro condominio, un'onesta architettura ottocentesca. Nella diatriba sui grattacieli non ho sentito alcun discorso sui contenuti. Cosa c'è dietro i vetri? Quale destinazione dell'immane cubatura? quante e quali abitazioni? quali e quanti uffici aggiuntivi in una città che presenta numerosi bei palazzi, appunto d'uffici, in cerca disperata di acquirenti o affittuari? Del resto si sa che il vuoto, magari totale, nelle nuove costruzioni, peraltro non pianificate in un programma urbanistico attendibile, non gl'importa un fico secco agli speculatori , oh scusate, agli imprenditori. La rendita fondiaria si riproduce comunque, nel rosario dei futuri passaggi di mano (è lì, poi, oltre che nel commercio all'ingrosso e al minuto, che ci godono i mafiosi coi loro investimenti legittimi). E perché non si parla di conveniente organizzazione estetica e sociale dello spazio quando si tratta di affastellare un mazzo di mostri mentendo sul risparmio di suolo? idem su volumetrie di oltre 100.000 mc/ha? Imboccate il viale della Liberazione provenendo da piazza della Repubblica-Pisani, percorretelo guardando a sinistra il vasto terreno delle ex Varesine, poi occupato da "baracconi", poi (o subito)proprietà Catella: vedrete la più pazzesca catasta di grattacieli (completamente ignorati dagli adoratori di City Life, "piazza" Gae Aulenti - poverina! - , Garibaldi, eccetera), orribili come fossero di geometri copioni di una moda come ai nostri tempi, oggi lì di balconi-terrazzo dappertutto, sempre deserti, inutili. E gli interni? Forse non esistono. Pensate, Loos spiegava che la buona architettura origina dall'interno e si proietta all'esterno E gli spazi a terra? Vicoli bui senz'aria, disorientanti: il tutto esempio di anti-urbanistica e anti-architettura, non diverso dai contesti edilizi di emirati o principati mediorientali. Perfetta, indecente per coerenza la cessione dell'intera piazza G.A. al Quatar.
    27 febbraio 2020 • 14:31Rispondi
    • Luigi CalabronePienamente d'accordo sulla mostruosità dell'area Garibaldi-Porta Nuova, in cui, all'accozzaglia di edifici si aggiunge il disordine viabilistico e dei livelli - vera fiera delle barriere architettoniche, vietate per legge da decenni. Infernale la discesa da Piazza Gae Aulenti (poveretta; tirati in ballo gli architetti defunti per accreditare la bruttezza dei progetti dei viventi) agli inferi della Stazione Garibaldi, "fossa dei serpenti". Nel progetto totale si è conservato il peggio dei terrapieni delle ex varesine, che il buon senso avrebbe imposto di livellare, compresa la mostruosità della Via Vespucci che da Porta Nuova, otturata dall'ex terrapieno messo di traverso, finisce davanti ad una ripida scala. Nel complesso, un quartiere di rigatteria architettonica, cui non manca un fetido tunnel automobilistico, con imbocco in curva, e un cavalcavia/ponte abortito, con cunetta tranviaria. Chi arriva a Milano in treno a Porta Garibaldi - oggi snodo ferroviario e di metropolitane più importante della Centrale - si trova davanti ad uno spettacolo desolante per l'impressione di precarietà/provvisorietà, bel biglietto da visita per Milano.
      27 febbraio 2020 • 19:38
  6. F. CapitaniStiamo dimenticando un fatto. L'iconicità è l'unico valore del futuro. Se perdiamo l'occasione di creare architettura iconica, il futuro non avrà motivo di sceglierci. Semplicemente scompariremo, come società e come paese. Quindi, lunga vita alla verticalità, all'audacia e all'iconicità architettonica - a qualunque costo.
    25 novembre 2020 • 17:45Rispondi
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