9 novembre 2021

MOBILITA’ IMPAZZITA, COLPE DI TUTTI

Comune, vigili urbani, utenti. I perché della mala education stradale


savoia

Nell’attesa che prenda corpo la bella suggestione della “città da 15 minuti”, cioè uno spazio urbano più raccolto e più servito da mezzi pubblici in cui tutto è più facilmente o velocemente raggiungibile, suggestione elaborata da Carlos Moreno, direttore scientifico della Sorbona, subito ripresa dalla sindaca di Parigi, Anne Hidalgo, e a seguire dal di lei omologo italiano Beppe Sala, i cittadini milanesi verificano ogni giorno che tutti gli studi sui tempi e i modi di percorrenza della città, elaborati a tavolino negli anni da esperti e amministratori locali, alla prova dei fatti si rivelano per ciò che sono: tanti bei conti sulla carta fatti in assenza del padrone dell’osteria. 

Manca la prova sul campo, la pratica quotidiana, quella che consentirebbe di scoprire che sull’argomento l’unica legge valida è sempre quella del caos con le sue mille variabili, venutosi a creare sia per mancanza di controlli e sia per diffusa mala educazione stradale da parte di tutti o quasi. Di chi è la colpa? Non si salva nessuno: non gli automobilisti, non la filiera del commercio con i suoi furgoni legibus soluti dalle regole sulla sosta, men che meno motociclisti e scooteristi o spericolati portatori di monopattini (monopattinisti? monopattinatori? non so, chiedo lumi alla Crusca). All’elenco bisogna doverosamente aggiungere anche le due categorie di ciclisti e pedoni, sicuramente più deboli, ma tra le più attive in quella corsa a contravvenire il codice della strada che caratterizza la vita della città nel suo complesso.

Dicevamo che non si salva nessuno perché, ormai da tempo si stanno consolidando in ciascuna delle categorie sopra elencate comportamenti sistematicamente sanzionabili in base al codice e anche al buon senso. Certo, si dirà, per sanzionare un comportamento contrario al codice dovrebbe essere presente il sanzionatore, cioè uno straccio di vigile urbano, quella mitologica figura che girava per i quartieri a piedi o in bicicletta ed era quasi sempre in grado di risolvere all’impronta i piccoli (allora) problemi della viabilità cittadina. Ma oggi chi vede più in giro un “ghisa”? Sono pochi e in genere vengono concentrati soltanto all’ingresso e all’uscita delle scuole elementari. Eppure, la loro presenza e la loro esperienza potrebbero servire, eccome. 

Per esempio, potrebbero servirebbe a convincere i pedoni a non attraversare dove capita, spesso in angoli ciechi, spessissimo senza guardare, ma nei punti dedicati, come strisce pedonali o semafori; e al semaforo, magari, consiglierebbero di aspettare che arrivi il verde prima di scendere dal marciapiede, visto che è ormai diffusa abitudine occupare la sede stradale mentre ancora le automobili stanno svoltando o semplicemente passando. Aspettare un minuto o un minuto e mezzo non è poi la fine del mondo neppure per il classico milanese imbruttito. 

Per esempio, potrebbero servire a convincere i sempre più numerosi portatori insani di monopattino che sui marciapiedi è meglio stare attenti e andare piano per non mettere a rischio l’incolumità di chi sta camminando; e che in strada è meglio stare attenti e andare piano per non mettere a rischio l’incolumità propria.

Per esempio, potrebbero servire a bloccare e multare almeno qualcuno degli ormai numerosissimi ciclisti convinti di poter fare come vogliono: dall’andare contromano a non avere luci anteriori e posteriori funzionanti anche se circolano di sera, oppure a sfrecciare sui marciapiedi. Per esempio, potrebbero servire a dissuadere i guidatori di furgoni (rifornimenti dei negozi, consegna pacchi ecc.) dal fermare i loro mezzi dove capita, dagli attraversamenti ai passi carrai, dalle doppie alle triple file, fingendo di non sapere che esistono (esistono?) spazi di carico e scarico.

Per esempio, potrebbero servire a controllare che scooteristi e motociclisti in genere non occupino le scarse e malsicure piste ciclabili; ma anche che ogni incrocio una volta scattato il verde non si trasformi nella partenza di un moto GP; oppure a fare opera di evangelizzazione spiegando che i limiti di velocità in città non sono mai stati abrogati, che superare a destra è tuttora una violazione prevista dal codice.

Per esempio, potrebbero servire a convincere molti automobilisti a rispettare i segnali di precedenza e stop, a spegnere il motore quando sono in attesa davanti alle scuole dei figli; oppure che l’abitudine di parcheggiare in seconda o terza fila, anche solo per quel famoso “attimino” che è ormai l’unità di tempo più diffusa a Milano, potrebbe creare un blocco al traffico; o ancora a chiarire il concetto di corsie riservate, che sono state pensate per taxi, mezzi pubblici o di soccorso, motociclette e affini, non per far saltare un po’ di coda alle auto private quando i vialoni sono intasati; o ancora che il parcheggio al centro della carreggiata, tutti in fila uno dietro l’altro come si vede in alcune strade, è comunque un’infrazione anche se ci si trova in abbondante compagnia.

Insomma, pensiamo pure alla città più raccolta che verrà (si spera), ma proviamo anche a mettere la testa per migliorare la situazione attuale, con uno sforzo minimo: basterebbe un po’ più di impegno e di educazione da parte di tutti gli attori in commedia. Ovviamente anche da parte di chi amministra, che non può sempre fingere di non accorgersi dei problemi che incontra chi si muove ogni giorno lungo viali, vialoni, piazze e circonvallazioni.  Per evidenziarne qualcuno basta un semplice esperimento sul campo, orologio alla mano. Prendiamo ad esempio chi arriva in macchina dalle vie Costa o Porpora tra le 7,30 e le 9: in un qualsiasi giorno lavorativo può impiegare anche più di 15 minuti solo per attraversare piazzale Loreto. Se per caso dovesse piovere, si scivolerebbe inevitabilmente nella totale incalcolabilità. Vigili che sciolgano il grumo di auto, furgoni, bus, pullman? Nessuno, neppure un’ombra lontana, un ologramma, un avatar. Quindici minuti, un quarto d’ora per fare 150 metri. Dieci metri al minuto. 

Lo stesso tempo pensato da Anne Hidalgo per la sua “città vicina”. Ma meglio non dirglielo, potrebbe cambiare idea.

Ugo Savoia

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  1. Annalisa FerrarioMah, questa cosa della città raccolta in cui si trova tutto in 15 minuti a piedi la capisco poco. Capisco un anziano o un bambino, che va dal giornalaio, dal panettiere, allo scivolo del parco giochi. Ma ricordo invece la gioia da adolescente di scoprire la grande città e le cose straordinarie che offre: le università, le gallerie d'arte, le sedi di nuovi lavori, gli aeroporti e perché no? le discoteche, mica sono a 15 minuti da casa. Se uno vuole tutto vicino, va a vivere in un paese. Se vive in una grande città, è perché cerca qualcos'altro. Saluti
    10 novembre 2021 • 08:54Rispondi
  2. Giorgio OrigliaForse questa idea che poi nella città dei 15 minuti sia vietato uscire dal proprio quartiere più che ingenua è reazionaria: ma c è chi se non può fare la spesa o andare dal parrucchiere in auto, se l'auto non ce l'ha parcheggiata sotto casa, si sente menomato/a
    10 novembre 2021 • 12:32Rispondi
    • Annalisa Ferrario@Giorgio Origlia Ma chi dice che sia vietato di uscire dal proprio quartiere?!? Dico che quello che trovi a 15 minuti a piedi lo trovi anche in un paese. Non mi sembra una "bella suggestione". Quello che caratterizza la città sono proprio le attività speciali, che si trovano oltre. Saluti
      11 novembre 2021 • 14:10
  3. marco@Giorgio Origlia- Forse l'auto sotto casa a chi, giovane o vecchio fa fatica a muoversi o necessità di improvvise visite al pronto soccorso, serve lì non a 500 mt.
    11 novembre 2021 • 10:26Rispondi
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