18 febbraio 2020

MA LA TORRE VELASCA È COSÌ BRUTTA?

Qualche domanda sui grattacieli milanesi


Questo slancio verso gli edifici alti, una sorta di malattia esantematica infantile senza vaccino, è un destino inesorabile della nostra città? Forse sì o forse no. Comunque vale la pena di parlarne e so bene che mi vado ad infilare in un ginepraio perché si tratta di parlare del bello e di chi lo decide, dell’utile e di chi lo decide: utile per la città e per i cittadini o per chi altro?

Perché ho scelto questo titolo per il mio articolo? Perché andando a frugare in Internet, altra malattia esantematica che confesso di avere pure io, mi sono imbattuto in tre siti che fanno una graduatoria dei grattacieli più brutti. Un sito è Travel365 e l’altro è Idealista/news ma anche il blasonato Telegraph. In tutti e tre i siti compare la Torre Velasca.

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A me non dispiace, forse perché un po’ filaretiana e i milanesi in genere il Filarete lo amano, però capisco benissimo che possa non piacere e dunque se ne contesta la bellezza secondo il vecchio adagio che è bello ciò che piace.

A chi deve piacere Milano? Ovviamente ai suoi cittadini, dando per scontato che spesso il gusto della gente tende ad essere conservatore e dunque per sua natura contrario all’innovazione: una barriera che si ha il diritto di infrangere ma senza travolgerla e ovviamente con dei limiti.

Per questo delicato compito di rappresentare il gusto dei cittadini e di ammettere l’innovazione c’è la Commissione Paesaggio del Comune nominata dal Sindaco, cui autorevolmente spetta la decisione finale ma il problema allora sta nella composizione della Commissione e nella sua reale competenza/sensibilità/cultura per assolvere al suo mandato. Possiamo discuterne?

Vorrei fare qualche valutazione generale che finisce col riguardare la percezione, i suoi effetti e la logica del marketing dei promotori.

Guardando alcune forme delle ultime importanti realizzazioni in materia di edifici alti e imponenti, viene da domandarsi se alcuni aspetti – gli sbalzi eccessivi, le forme stravaganti, il rastremarsi al piede, che nell’immaginario collettivo dà la sensazione di stabilità precaria -, non abbiano come primo scopo quello di attrarre l’attenzione: una condizione essenziale per qualunque politica di marketing. Se poi si aggiunge che su molti di questi edifici campeggia i logo del proprietario, quale è il limite prima che la città si trasformi in un gigantesco uomo sandwich? Il grattacielo delle Generali è un esempio che vale per tutti.

Marketing anche per le archistar.

È indispensabile che le città abbiano grattacieli? Parigi non ne ha e non ne vuole. I paesi arabi pensano che siano indispensabili con una sola eccezione, l’Oman, il cui sultano aveva stabilito una altezza massima degli edifici di 7 piani. Voleva distinguersi? Rappresentava la cultura del suo Paese?

Noi dove ci collochiamo e perche?

Il problema dei grattacieli non si esaurisce solo nell’altezza e nell’aspetto ma vanno osservati anche per il loro impatto di natura urbanistica.

Oggi si dice che vadano approvati perché sono una forma di risparmio di suolo. Di cosa stiamo parlando? Si risparmia suolo solo se non si destinano ad edilizia terreni vergini? Non si risparmia suolo anche non aumentando il peso insediativo? Più metri cubi sullo stesso suolo? Tanto per capirci. Poi andiamo avanti.

Qual è la ricaduta di grattacieli insediati in un contesto di edifici bassi semicentrali o periferici? Indubbiamente una delle ricadute è creare una sorta di rivalutazione immobiliare nelle sue vicinanze con l’effetto di un aumento degli affitti e dei prezzi di vendita. Felici i proprietari di alloggi. Tutto positivo, compreso l’allontanamento dei ceti deboli?

Un riequilibrio sociale c’è ed è quello che hanno adottati i francesi con la Legge n° 2000-1208 del 13 dicembre 2000 relativa alla solidarietà e al rinnovamento urbano, con la quale si stabilisce che l’amministrazione pubblica debba dotarsi almeno di un 25% di edilizia sociale. Dunque ogni nuova costruzione deve prevedere questa quota finché non si raggiunga la dotazione minima prevista per l’intera città.

Ci stiamo incamminando per quella strada? Non mi pare.

Forse la famosa competizione tra città riguarda anche questo per essere “best smart”.

Luca Beltrami Gadola



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  1. Giacomo GattaArticolo stimolante come spesso lo sono quelli del suo autore anche se raramente nn mi trova concorde
    19 febbraio 2020 • 04:47Rispondi
  2. DonatellaA me la Torre Velasca piace. Con tutto ciò non tutti i grattacieli sono belli e alcuni sembrano solo un'espressione di potenza. Un altro grattacielo che mi è sempre piaciuto è il "Pirellone", per la sua linea particolare. Alcuni grattacieli però sembrano solo voler dimostrare l'originalità della loro forma e la potenza finanziaria di chi li costruisce e di chi li compera.
    19 febbraio 2020 • 06:21Rispondi
  3. FrancescoPremesso che un giudizio estetico è sempre di natura personale, ciò che rende la torre Velasca brutta ai miei occhi è quel senso di provvisorietà che danno le strutture di sostegno del fungo, quasi come si trattasse di una struttura di cantiere provvisoria in attesa di realizzare quella definitiva, insomma se non ci fosse sarebbe stato meglio
    19 febbraio 2020 • 07:44Rispondi
  4. Cesare MocchiRicordo che anche in Italia per legge c'è una quota obbligatoria di edilizia sociale (dal 40 al 70% dell'edilizia residenziale prevista). Domanda: chi la rispetta?
    19 febbraio 2020 • 07:55Rispondi
    • Sergio BrennaDa tempo I PEEP (Piani per l'edilizia economica e popolare) pur obbligatori ai sensi della L.167/62 e 865/71 per i Comuni di maggior dimensione e facoltativi per gli altri non vengono più aggiornati (Milano in primis) nonostante l'obbligo di assolvere dal 40 al 60% delle previsioni edificatorie residenziali in PRG/PGT e sostituiti di fatto da "strani" accordi caso per caso su convenzionamenti di modalità d'uso o di vendita. Il fatto poi che nei piani urbanistici si consenta l'indifferenza funzionale tra residenza e terziario rende la verifica del rispetto di tali obblighi ancor più aleatoria
      19 febbraio 2020 • 15:27
  5. STEFANO COZZAGLIOForse ha ragione il sultano dell'Oman . Anche le città devono avere un'anima , una personalità , una caratteristica peculiare . Quello che vediamo nel maggiori centri del mondo sono in gran parte solo migliaia di metri cubi di edificato senza specifiche connotazioni . Megalopoli che al primo problema ( sanitario , di comunicazione , inquinamento , militare ecc. ) diventano solo una macchina per creare in maniera esponenziale problemi a tutti , ma soprattutto alla propria popolazione
    19 febbraio 2020 • 09:27Rispondi
  6. ChiaraA riguardo vorrei segnalare l'articolo di Rampini su Repubblica uscito domenica 9 febbraio che invita a riflettere, guidati da senso di responsabilità e maggiore impegno nella visione del futuro di Milano che ha abbastanza storia per non limitarsi a imitare storie altrui.
    19 febbraio 2020 • 11:42Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaL'ho letto anche io ma non lo ho citato nel mio articolo per ragioni di spazio. Credo che la gente oramai sia stufa di quest'assalto alla città. Purtroppo la politica, destra e sinistra insieme, non hanno a cuore la vita dei cittadini e come gonzi si fanno pescare di fronte al "grande". Vecchia storia vedi la Torre di Babele, le Piramidi, il Colosso di Rodi ......
      19 febbraio 2020 • 12:18
  7. luigi caroliAll'inizio di settembre 2019 Cesare Giuzzi sul Corriere ha scritto che, nel giro di un mese, sarebbe stato inaugurato il terzo grattacielo di Citylife: IL CURVO. Peccato che, avvicinatosi alla cima, si siano accorti che l'archistar aveva ideato una "cazzata" e che l'edificio non era completabile. Hanno quindi contattato un vecchio geometra italiano molto esperto e hanno iniziato i lavori di una nuova cuspide. Ci vorranno ancora parecchi mesi ma PWC l'hanno già scritto. E' una famosa società di revisione. Naturale che abbiano dovuto revisionare il loro grattacielo.
    19 febbraio 2020 • 12:36Rispondi
  8. valentino ballabioVedi anche i grattacieli progettati ad imitazione della torre di Pisa, che in vernacolo toscano è definita "pendente" mentre quelli artificiali milanesi andrebbero qualificati con l'aggettivo meneghino "scenco" (attenzione: pronunciare la "s" e la "c" distinte, non come scena, scemo, ecc.).
    19 febbraio 2020 • 14:34Rispondi
  9. Sergio BrennaInvito a leggervi il dibattito (con un mio contributo) apertosi sulla pagina FB di Pierfrancesco Sacerdoti in seguito alla sua riproposizione di un sarcastico giudizio di Guido Canella su Pirelli/Ponti e Stazione Centrale/Stacchin, apostrofati come "un accendino e un posacenere". Il Pirelli di Ponti in effetti replica il linguaggio dell'International Style e in particolare del grattacielo PanAm a NY al cui progetto collaborano Gropius e Pietro Belluschi (poi in contatto con Ponti? Nessuno ne parla). La Velasca dei BBPR invece cerca un proprio linguaggio specifico (le puntellature del corpo aggettante superiore non hanno reale funzione statica e furono oggetto di molti dubbi e ripensamenti progettuali, ma rimandando alle architetture medioevali e rinascimentali milanesi), tanto che Aalto richiesto di un parere se la cavò limitandosi a dire:"It's very milanese". Lascio a voi intuire da che parte stia io.
    19 febbraio 2020 • 15:47Rispondi
    • Luigi CalabroneGrattacielo Pirelli: fu costruito tra il 1956 e il 1961 su progetto di Gio Ponti, Giuseppe Valtolina, Pier Luigi Nervi, Antonio Fornaroli, Alberto Rosselli, Giuseppe Rinardi e Egidio Dell'Orto; Gio Ponti diresse anche tutte le fasi costruttive. Il design del grattacielo sarebbe stato inoltre d'ispirazione per la costruzione del Pan Am Building (oggi MetLife Building) a New York. Il Pan AM Building fu inaugurato il 7 marzo 1963. Il progetto fu sviluppato a partire dal 1958 dallo studio Emery Roth & Sons, con la collaborazione degli acclamati architetti internazionali Walter Gropius e Pietro Belluschi.
      19 febbraio 2020 • 21:24
  10. Sergio BrennaLeggendo notizie sul quasi qui in Italia ignoto Belluschi sembra più probabile un contatto tramite Nervi strutturista del Pirelli e con cui collaborarò alla Cathedral of Saint Mary of the Assumption a S. Francisco
    19 febbraio 2020 • 15:53Rispondi
  11. Giovanni SILVERAOgnuno ha la sua rispettabilissima opinione sui grattacieli. Si fa fatica ad accettarli perché s’impongono autoritariamente sul paesaggio e perché spesso portano in testa il logo pubblicitario del proprietario. Però non è un caso se si dice “altezza mezza bellezza” e in architettura la bellezza non ha partito. Spesso i grattacieli sono belli e dobbiamo farcene una ragione, anche se… Però, caro Direttore, mi sembra troppo sostenere che a Parigi non esistono (la Tour Montparnasse in centro e in periferia i grattacieli della Défense) oppure sostenere la bellezza della Torre Velasca e criticare poche righe dopo i grattacieli che si rastremano al piede.
    19 febbraio 2020 • 16:26Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaNon si rastrema al piede!
      19 febbraio 2020 • 17:57
    • Sergio BrennaSi, ma dopo quelle esperienze (sotto Pompidou) a Parigi hanno detto: basta
      19 febbraio 2020 • 19:11
    • Felice MandrinoParigi è piena di grattacieli e su un territorio comunale (105 kmq) che è poco più della metà di Milano (181 kmq). Inoltre Milano ha una densità abitativa X kmq (7.640) più bassa di altre grandi metropoli europee (Parigi 21.148, Barcellona 16.000), oltre ad avere una tradizione che ne ha fatto una città all'avanguardia in Europa con lo sviluppo 50 del socolo scorso ne ha fatto una città all'avanguardia in Europa.
      21 febbraio 2020 • 16:50
    • Luca Beltrami GadolaNon so cosa abbia visto di Parigi ma i grattacieli sono tutti raggruppati a La Défence, nel resto delle città non se ne vedono. I calcoli della densità vanno fatti sul perimetro urbano e non sul territorio comunale perchè è l'area "costruita" che va presa in considerazione.
      22 febbraio 2020 • 10:19
  12. marco romanoc'è da vedere anche il primo grattacielo vero e proprio di Milano, in arretrato di piazza Cavour, del quale nessuno parla perché frutto di un sapiente lay out dovuto al mio papà. Un ricordo affettuoso perché ho frequentato ogni giorno quel cartiere tornando a mezzogiorno da scuola, quando avevo sedici anni, C'erano appunto sul cantiere il mio papà e il nonno di Luca Beltrami, l'impresario Ambrogio Gadola, e mi illudo che questa dimenticanza - nessuno ne parla - sia il segno del rispetto dello spirito milanese che vi riconosciamo
    19 febbraio 2020 • 16:43Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaCaro Marco, anche per me è un caro ricordo perché il grattacielo di Piazza Cavour l'ha costruiito l?Impresa Gadola.
      19 febbraio 2020 • 17:56
  13. Maurizio SpadaSui grattacieli ho scritto diverse cose ed essenzialmente condivido quanto dici al proposito, oggi sono espressione del provincialismo italiota che rincorre il "mostruoso" per stupire. La torre Velasca appartiene ormai allo skyline milanese e fu il frutto di elaborati studi che coinvolsero anche la filosofia. Il mio L'alltro architetto, ed. Casagrande ne accenna la storia.
    20 febbraio 2020 • 08:18Rispondi
  14. Maurizio Spadahttps://ecologiaebellezza.blogspot.com/2013/07/il-gratta-cielo.html Ecco un mio articolo del 2013 sul nostro blog
    20 febbraio 2020 • 09:25Rispondi
  15. Francesco MambrettiLa Torre Velasca è bella, anche perché esprime bene lo spirita del suo tempo, quando i grattacieli esprimevano un empito di modernità e di ottimismo, e potevano avere una funzione estetico-territoriale.Adesso i grattacieli sono soltanto una forma estrema di speculazione fondiaria e di riciclo mafioso-camorristico delle estorsioni. Tutti. Porta Garibaldi e City Life in testa. Orribile. E continuano a costruirne in ogni angolo liberato. Naturalmente non servono a niente, se non a sterilizzare la città con colpi d'occhio fasulli. Chi è così stupido da comprare a prezzi di fuoco nei falansteri popolari di parco della vittoria? I costruttori falliscono dopo aver preso i soldi dalle banche conniventi. Poi falliscono le banche e noi paghiamo il pizzo alle mafie. Tutto qui, estetica o non estetica.
    20 febbraio 2020 • 11:31Rispondi
  16. ugo targettiGrattacieli a Milano; sì o no? Dovrebbe essere il progetto urbanistico e il disegno della forma urbana a stabilire se e dove costruire gli edifici alti e non la casualità delle trattative sui volumi dei singoli interventi. Gli edifici speciali possono essere componenti significative della cortina edilizia urbana, come i citati edifici alti all’inizio della prospettiva di via Vittor Pisani. Oppure il Piano urbanistico può indicare dove l’architettura di un singolo edificio (alto o basso) debba caratterizzare il contesto urbano, come nel caso del grattacielo Pirelli che prospetta sulla piazza della Stazione Centrale, una delle porte della città. Oppure ancora il Piano dovrebbe decidere se e dove concentrare i grattacieli, per esempio nel centro direzionale della città. A Porta Nuova /Garibaldi il PRG del ’53 aveva previsto il Centro Direzionale di Milano, all’incrocio degli assi attrezzati, secondo il modello “americano” (downtown) modello discutibile ma sicuramente esplicito nello strumento urbanistico: lì dunque i grattacieli sono coerenti all’impianto urbanistico. Per queste ragioni la Torre Velasca non mi ha mai convinto, non per la sua architettura, ma per la sua urbanistica: al di là delle considerazioni sulla conservazione del centro storico e la pesante manomissione del tessuto storico compiuta nel dopoguerra, il nuovo grattacielo avrebbe potuto fare da sfondo a via Larga, come nuova scenografia urbana. Invece l’edificio nasce all’interno di una piccola corte urbana che ne nasconde l’attacco a terra e così il grattacielo spunta un po’ casualmente al di sopra degli edifici intorno, più bassi. Analogamente mi sembrano casuali altri grattacieli, come quelli di City Life, e molti di quelli simulati nei rendering di futuri interventi che compaiono in rete. Un’ esperienza personale. Ero assessore all’urbanistica ad Assago quando si impostò l’ampliamento di Milano Fiori e la contestuale realizzazione del prolungamento della MM 2. Il promotore, Cabassi, propose tre edifici alti, progettati da Kenzo Tange. A parte la qualità dell’architettura (all’altezza del nome del progettista) quei grattacieli, alle porte di Milano, all’incrocio di due autostrade e alla testa della metropolitana, mi sembravano coerenti con l’impianto urbanistico e la posizione territoriale, anche se erano vicini al Parco Sud. Parte dei cittadini protestarono per l’impatto visivo; il promotore pensò che un maggior numero di edifici bassi sarebbero stati collocati più facilmente sul mercato; i grattacieli non si fecero. Dal punto di vista dell’organizzazione territoriale dell’area metropolitana, Milano Fiori resta l’unico esempio, a Milano, di decentramento direzionale a scala metropolitana, che ha realizzato con proprie risorse la connessine su ferro. L’architettura che fu poi realizzata, più o meno apprezzabile, non ne segna certo l’eccezionalità.
    22 febbraio 2020 • 10:19Rispondi
  17. antonella nappiLa torre Velasca è bellissima! Ha in se cultura e storia di Milano, mi piaceva considerare l' architettura fino a quegli anni e fui felice di stare sotto la sua immagine quando l'università ci trasferì per lavori, un anno, in uffici che la contemplavano con le finestre. E' una prova! Quando comunicarono ai cittadini di voler raggiungere i due milioni di abitanti, senza consultarli, fecero un atto di Fascismo: buttarono al di là dell'ostacolo di qualsiasi intelligenza, in una città stretta tra il costruito dell'area Metropolitana, inquinata dalla stessa conformazione territoriale ed equilibrata nel suo abitare fino a trent'anni prima, la speculazione come Legge per tutti. Affitti e vendite fuori dalla portata dei cittadini ce la sottraggono, gli speculatori ne fanno turismo e vuoto relazionale; costruire ancora deve essere impedito ed ampliate devono essere le zone verdi, oggi case popolari vuol dire ristrutturare quelle che ci sono, ridestinarle in alcuni casi, vincolando ad un tetto tutte le abitazioni. Stanno imponendo la città di ricchissimi con i suoi abitati per i servitori alle pulizie, non è una città! Negozi per il lusso e cancellazione dei negozi familiari, qrandi magazzini dell'alimentare, si elimina così la cultura ogni cultura. Con i sindaci siamo andati nel tempo dal male in peggio, ci vuole una nuova aggregazione politica che sviluppi riflessione e cultura negli elettori.
    23 febbraio 2020 • 13:15Rispondi
  18. Gianni ZenoniQuando scrivo sulle nuove architetture o quelle esistenti non ho mai utilizzato i termini Bello o Brutto per classificare gli interventi, i criteri per giudicare queste opere devono tenere conto di altri parametri che devono esprimere la complessità e la delicatezza della cultura architettonica e urbanistica della città. La qualità dell'intervento deve essere ricercata attraverso un profondo esame del sito, e da una prudenza (intesa come qualità positiva) di approccio alla progettazione che manca spesso ai progettisti e committenti, più interessati a lasciare un "segno" della loro presenza sul mercato. Un tentativo di individuare termini più adatti a questa valutazione lo ho fatto trovando per il mio articolo apparso su Arcipelago n°8 del 2016 due semplici parole, ma di grande contenuto: "Continuità e Contestualizzazione." Continuità dal libro di Rogers "Esperienza dell' Architettura" e "Contestualizzazione " documento da allegare al progetto che una commissione edilizia del recente passato aveva identificato per spingere i progettisti ad una ricerca dei valori emergenti dal sito edificatorio. Documentazione non più richiesta dalle ultime commissioni edilizie alle quali anche il termine "Continuità" sembra sconosciuto e che in definitiva sembra negare l'esame dell'apporto della Storia che aveva contribuito a produrre una architettura milanese fino ad allora abbastanza integrata nell'esistente. Questa nuova tendenza alla quale ho attribuito il termine di "famolo strano" ripreso da un film di Verdone e che ha poi trovato conferma nell'editoriale di presS/Tletter n°2 del 2016 (a proposito dell'edificio Feltrinelli) deromanizzato in "Farlo Strano". E che può coincidere anche col "Va bene tutto purchè sia moderno", espresso sul Corriere del 22 settembre da Armani che esprime il suo malumore sulla qualità dell'architettura Milanese parlando di edifici che si presentano come un "pugno nell'occhio". Ma non è il solo perchè anche Gregotti col suo linguaggio più complesso, pochi giorni dopo, il 24 settembre si allineava con Armani. Come l'articolo del Prof. Secchi sul n°26 di Arcipelago sunto della sua pubblicazione intitolata "Per questa Città". Come d'altronde nel suo editoriale del n° 30 di Arcipelago Luca Beltrami parla di "archistar maledette archistar. Senza scordarci dell'articolo del Prof. De Seta espresso sull'Espresso del 7/2/2013 sulle sue dimissioni dalla commissione giudicatrice del nuovo progetto della Bocconi sulla ex centrale del latte di Milano. Personalmente ritengo questo articolo, nelle motivazioni di rifiutare il progetto vincitore, la migliore interpretazione del concetto di "Continuità e Contestualizzazione" che possiamo ritrovare anche nella Torre Velasca. Allora possiamo dire che tutta la nuova architettura degli ultimi anni ha mancato l'integrazione con la città producendo edifici anomali e strani trascurando la "Continuità" e ignorando ogni forma di "Contestualizzazione" e volta soprattutto a evidenziare la "Gloria televisiva del cliente e dell'architetto"come cita Gregotti nel suo articolo di cui sopra.
    25 febbraio 2020 • 19:57Rispondi
  19. Luca"Per me la torre Velasca e' una ..............pazzesca!!"
    27 febbraio 2020 • 15:54Rispondi
  20. Lucia PivaGrazie per questa gustosissimo e dotto dibattito che mi ha fatto mettere meglio a fuoco le mie reazioni e sensazioni di cittadina molto interessata all'ambiente in cui vive. Comunque a me la Torre Velasca piace ! e ne capisco il senso.
    27 febbraio 2020 • 22:29Rispondi
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