20 febbraio 2020

FENOMENOLOGIA DELLA PORTINAIA MILANESE

Elogio postumo di una categoria antropologica che ha dominato la scena per decenni


Negli anni ’50 e ’60 del Novecento, quasi tutti i palazzi milanesi erano presidiati da un personaggio a suo modo mitologico, che brandendo scope e spazzoloni sembrava avere diritto di vita e di morte su chiunque passasse a tiro: la portinaia. Erede non politica del capofabbricato tanto utile al regime fascista e all’Ovra per controllare i cittadini, la portinaia rappresentava una categoria antropologica a tutti gli effetti, sia per abbigliamento (il grembiule, quasi una divisa), sia per linguaggio e toni perentori, specie con adolescenti non accompagnati dai genitori.

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La portinaia milanese classica parlava una specie di grammelot italo-milanese ricco di calchi semantici ed espressioni prese qua e là dalla cultura popolare. Vera general manager dello stabile, la portinaia sapeva tutto di tutti, gestiva le chiavi di appartamenti e studi professionali, apriva al mattino e chiudeva la sera, era sempre molto ossequiosa con i capifamiglia e le rispettive consorti e al tempo stesso sbrigativa fino a sconfinare in una bonaria brutalità con bambini e adolescenti.

Se stava pulendo una scala o l’androne, il suo perentorio “Non passare, fai il giro!” era un ordine che non si poteva ignorare. Chiacchierava con il postino, quasi sempre in dialetto milanese, distribuiva la corrispondenza borbottando e leggendo tutte le cartoline. Ma il vero punto forte era il suo italianese quando le capitava di dover scambiare qualche battuta con le signore del palazzo, che ovviamente la blandivano perché consapevoli dell’importanza e del ruolo di una custode così fidata: era la sua lingua ufficiale per comunicazioni di un certo livello. E non di rado aveva effetti comici.

Prendiamo ad esempio la parola basèl, che significa gradino come ben sa chiunque abbia avuto occasione di chiacchierare con vecchi milanesi. Quando la portinaia milanese voleva parlare forbita, non diceva gradino, ma italianizzava il termine basèl. Risultato: “Stai attento al gradino”, diventava un quasi incomprensibile “Stai attento al basello”.

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Stesso discorso per ginocchio, in milanese genoeucc, che diventava genocchio. “Guarda lì come ti sei sgarbellato il genocchio. Adesso vedrai che la tua mamma ti dà il resto”.

I calchi comprendevano anche, andando a memoria, parole come fenoeucc, finocchio in italiano, che diventava fenocchio in italianese. Come persico per dire pesca, o come il leggendario “Signora guardi che suo figlio è borlato giù dalla bicicletta”, per dire caduto, che secondo noi ancora oggi riaffiora di tanto in tanto nei peggiori incubi degli accademici della Crusca.

Stare ad ascoltarla era una full immersion nei vocaboli e nei suoni ai confini della metalingua che il genius loci aveva forgiato nei secoli precedenti.

E adesso? Citofoni, molti citofoni. E poche portinaie. Dal punto di vista sociale, vengono a mancare filtri che hanno avuto a lungo grande importanza per le relazioni personali, familiari e di quartiere. Per dire, una vera portinaia milanese d’antan non avrebbe mai consentito a un politico in campagna elettorale di chiedere a un inquilino se in casa sua si spaccia droga. Sarebbe insorta coprendolo di insulti coloriti elaborati nel suo italianese. Ma i citofoni sono mezzi diretti, non fanno filtro. E soprattutto non insorgono, al massimo non funzionano.

Ugo Savoia



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  1. DonatellaMolto bello questo ricordo delle portinaie di Milano e del loro "linguaggio". Azzeccare la portinaia giusta era un terno al lotto: quella che non tiranneggiava, che non spettegolava, gentile e sempre pronta a fornire aiuto. Una figura mitica, se mai è esistita.
    26 febbraio 2020 • 07:17Rispondi
  2. GiovannaHo avuto in due casi diversi due di queste mitiche portinaie (con marito che però contava sicuramente meno). Condivido quanto detto nell’articolo, interessante e significativo sul ruolo fondamentale sostenuto dalla portinaia in un palazzo. Ora ho un portinaio filippino, bravo, ma il tutto è diventato molto diverso
    26 febbraio 2020 • 09:18Rispondi
    • MariangelaIn effetti non si chiama portinaia o portinaio ma portiere o portiera ...detto questo per chi lavora egregiamente tanto di cappello!
      29 agosto 2022 • 09:03
  3. giovannaMi complimento per il simpatico articolo che descrive la portinaia di una volta. Desidero ribadire l'importanza del ruolo del custode del condominio (preferisco chiamarlo così invece di portinaio). Un bravo custode si occupa di controllare che la gestione dei rifiuti venga fatta in modo appropriato, interviene tempestivamente quando le ascensori si bloccano e in caso di emergenza, smista la posta e ritira pacchi e raccomandate evitando così che la posta si perda e i condomini perdano tempo per recarsi all'ufficio postale, impedisce agli estranei di entrare in condominio immotivatamente, aiuta le persone molto anziane che vivono da sole nei piccoli lavoretti quotidiani come lo smaltimento dei rifiuti, innaffia le piante condominiali e quelle dei condomini quando sono in vacanza, è attento alla pulizia dello stabile e pulisce il marciapiedi confinante con lo condominio. Quest'ultimo aspetto non è trascurabile se consideriamo che i marciapiedi vengono puliti sommariamente dal Comune un paio di volte la settimana (e non in periferia) , frequenza assolutamente inappropriata all'inciviltà circolante sugli spazi che dovrebbero essere riservati ai pedoni, dove si accumulano gli escrementi dei cani (e anche umani come avviene ad esempio nelle ore notturne sotto il ponte di viale Monteceneri), cartacce, mozziconi di sigarette, bottiglie di vetro e quant'altro. Il custode è, in conclusione, il punto di riferimento per tutti i condomini e pertanto una sicurezza in più.
    26 febbraio 2020 • 10:47Rispondi
  4. MilenaMi hai fatto ricordare la mia portinaia di una volta! Un generale! Tutti i bambini del cortile le obbedivano a bacchetta. Se, raramente, qualcuno non l'ascoltava, allora compariva suo marito che in fondo era buono, ma sapeva fare la faccia da orco.
    8 marzo 2022 • 18:37Rispondi
  5. Gaetano MacchiUn articolo veramente carino che mi ricorda i tempi in cui venivo a Milano dalla zia Carla per passare qualche settimana con lei. Il ricordo della portiera del suo fabbricato ce l'ho ancora in mente e come un personaggio oltremodo simpatico e cordiale nonostante fossi ancora bambino e qualche marachella la combinavo; era sempre bonaria e passava sopra ad ogni cosa si facesse come bambini - terremoto. Chiaramente eravamo ben educati e non si andava oltre certi limiti. Ricordo ancora il suo nome; Maria ed a lei che oggi mi guarda ancora da lassù va il mio più caro saluto.
    28 settembre 2022 • 18:47Rispondi
  6. Giancarlo RossiIl delizioso ricordo di una figura quasi sparita m'induce ad evocare le prime portinaie ch'io incontrai nel lontano 1954, fresco immigrato da Roma, dove si chiamavano e chiamano tuttora portiere, e le "portiere" delle macchine si chiamavano sportelli. Le prima era un sergente dello stabile al 2 di via Cordusio, dove, al secondo piano, si trovavano gli uffici della società Contivecchi, di cui mio padre era dirigente: la sciora Maria, la quale corrispondeva quasi alla lettera alla descrizione di Ugo Savoia! Un donnone dai capelli d'acciaio, con grembiale di ordinanza e ciabatte imperiose; scorbutica con tutti, tranne che con lo scorbutico notaio di Lascia e Raddoppia, che aveva studio al primo piano, una volta ci presentò una vecchina nonagenaria, che, a suo dire, ignorava l'italiano e parlava solo milanese. Era il tempo che sul lato destro di via Dante si trovava Il Paradiso dei Bambini, giocattolaio fornitissimo, l'unico che vendesse gl'inavvicinabili trenini della Marklin, e sul lato opposto l'Inferno dei grandi, suo non temibile concorrente. Noi abitavamo a via Egadi, dove esercitava diligentemente la funzione di portinaia la sciora Esterina, opposta alla sciora Maria per carattere affettuoso e modi gentili, ma ferma nel pretendere l'osservanza delle regole condominiali: piccina, portava un grembiale meno imponente dell'altra, che lasciava liberi ampi tratti della veste, non priva di garbo per gli orli ricamati, di colore blu scuro, ma illeggiadrita da fiorellini bianchi o celesti; usava le pianelle, come si chiamano a Roma le ciabatte senza tacco, e sfoggiava sui capelli grigi la permanente, che rinnovava con frequenza. Quando ci trasferimmo nel nuovo quartiere residenziale delle Assicurazioni Generali, verso la Fiera, mi abbracciò piangendo e disse: so che non ci vedremo più e mi dimenticherai. Io negai recisamente, ma non mantenni la promessa di andarla a trovare, però sessantaquattr'anni dopo la ricordo ancora con affetto, rappresentante di una Milano sparita, operosa, sobria, seria, con le sue asprezze e le sue dolcezze.
    11 dicembre 2022 • 07:23Rispondi
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