13 febbraio 2020
LE IMPRESE FAMILIARI
R-innovare il family business
I ricavi delle aziende familiari sono cresciuti circa 12 punti in più delle non familiari nell’ultimo decennio. In base ai dati della Camera di Commercio Milano Monza Brianza Lodi, elaborati dall’Osservatorio AUB (AIDAF, UniCredit, Bocconi), le aziende familiari con fatturato superiore ai 50 milioni di euro erano 4.251 dieci anni fa e sono 4.597 oggi (+ 8,1%). Siamo abituati a pensarle come protagoniste del solo sistema economico italiano, ma in realtà hanno un forte peso in molti altri Paesi, per esempio la Germania e la Francia. Sono attrici economiche particolari perché uniscono alla componente della produttività, del mercato, dell’organizzazione, della struttura una parte sociologica-psicologica molto importante, quella della famiglia.
Su questo tema ha scritto Alessandro Scaglione, ingegnere gestionale e fondatore di Consiliator Srl, società che intende diffondere un modello distintivo di cultura, formazione e servizio dedicati al family business. Nel suo libro “R-Innovare il family business” (Milano, Guerini Next Srl, pp 260) – realizzato anche grazie al contributo di Luigi Campagna, docente di Sistemi organizzativi al Politecnico di Milano, e Luciano Pero, docente di Organization Theory and Design al MIP-Politecnico di Milano – si parla di “intelligenza naturale” dell’imprenditore come differenziale competitivo. Ovvero, quel potere che distingue Homo Sapiens da tutti gli altri esseri viventi e che, negli ultimi 100 mila anni, gli ha permesso di posizionarsi in cima alla catena alimentare e di dominare il pianeta; il potere di immaginare e di creare che consente la diversità e la competitività in un sistema economico globale. “Più saranno distanti le visioni, maggior fertilità troverà la creatività al servizio della risoluzione dei problemi” sottolinea Alessandro Scaglione.
Proteggere, sviluppare e consegnare al futuro l’impresa familiare nelle migliori condizioni possibili è un dovere morale che l’imprenditore familiare deve a tutti coloro che incrociano il suo percorso. L’autore dissemina numerosi consigli all’interno del libro, a partire dallo sviluppo di un’autoreferenzialità, cioè una propria identità attraverso pensieri creativi autonomi che si discostino dal linguaggio comune. Ma anche separare la leadership dal potere, differenziare l’impresa dalla famiglia, considerare l’innovazione come paradigma organizzativo e non come una rivoluzione sconvolgente, pianificare la continuità di impresa quando l’azienda è sana e la conflittualità familiare è ai suoi minimi storici, mappare e codificare il tesoro capitale di risorse rare, differenziare patrimonio personale e aziendale.
Tra i consigli più importanti, quello di abbracciare una cultura partecipativa che abitui al confronto continuo, anche internazionale, e permetta di esprimere il potenziale di tutta l’intelligenza disponibile della propria area. Certamente è necessario aprire progressivamente i templi del management, della governance decisa dal CdA e del capitale al contributo di professionalità esterne alla famiglia, “per fare del confronto intellettuale un’abitudine e non la liberalità occasionale” spiega Scaglione.
Il processo di internazionalizzazione di cui parla l’autore mira a costruire una strategia che, pur proteggendo l’identità del marchio, agisca su scala internazionale. Per competere sul mercato, all’impresa familiare serve un’organizzazione della produzione che sia più articolata e che implichi la valorizzazione degli stakeholders, una forte propensione all’innovazione e una spinta oltre le frontiere. Come sostiene Scaglione, dobbiamo “essere filosofi della nostra vision e infondere l’etica di una cultura aziendale che ponga la persona al centro dell’ecosistema dell’interesse collettivo. Solo riconoscendosi per identità e senso di appartenenza si possono scongelare conoscenza e potenziale inespressi e trasformarli in vantaggio competitivo che generi valore nel breve, medio e lungo termine.”
Cristina Bellon