5 febbraio 2020
OSCAR 2020
Trionfo di Parasite, a bocca asciutta Scorsese
Consegnata alla notte di domenica 9 febbraio la 92ª edizione dei premi Oscar. Il Dolby Theatre di Los Angeles e il suo lungo red carpet regalano quest’anno non poche sorprese, a partire dalla pellicola di Bong Joon Ho (Snowpiercer, The Host) che fa incetta di tutte le statuette più importanti; senza dimenticare la lotta intestina tra Studios e Netflix per l’egemonia sul mercato audiovisivo, e il discorso per certi versi commovente di Joaquin Phoenix.
Ma andiamo con ordine. Il regista sudcoreano di Parasite, oltre a miglior film, si aggiudica anche miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior film internazionale, stabilendo un primato storico, poiché nessuna pellicola in lingua straniera (come ad esemio i nostrani Il postino o La vita è bella) aveva mai vinto il premio principale della kermesse. Bong Joon Ho, naturale ed entusiasta sul palco, non dimentica di omaggiare Tarantino e Scorsese, maestri e mentori, portando alla vittoria con sé anche Han Jin-won sceneggiatore, e l’intero cast della pellicola. Per concetto e ricchezza Parasite merita la vittoria, ridicolizzando la macchina da soldi del cinema Hollywoodiano, fatta di panettoni fumettistici e computer grafica, di produttori stanchi, seduti sugli allori di un gran passato, i cui eredi intellettuali hanno l’oriente nel sangue.
E difatti vere guerre di mercato dilaniano le case di produzione e i loro protagonisti. Le statuette di questa edizione dimostrano la volontà di premiare ancora i prodotti cinematografici degli Studios, capitanati da Steven Spielberg, mortificando così Netflix, nonostante gli immensi investimenti pubblicitari. La situazione non è destinata a perdurare immutata, perchè i numeri non mentono, e in base a questi Netflix è destinata a prevalere. Tempo al tempo.
L’edizione procede interrotta da piccole polemiche che fanno parte dello show alla stregua dei film stessi, esempio tra tutti il vestito di Natalie Portman con i nomi delle registe ignorate dall’Academy, che risulta un omaggio sentito, ma di cui il pubblico si dimenticherà quasi subito.
I momenti da ricordare sono, invece, il premio come miglior attore protagonista conferito a Joaquin Phoenix per Joker (miglior colonna sonora), che omaggia anche il fratello River, scomparso a 23 anni, nel 1993, con un discorso volutamente autocritico: “Nella mia vita sono stato egoista, cattivo e crudele, sono stato un collega difficile, ma la cosa più importante è darsi una seconda opportunità.”
Seguito da quello decisamente meno pensato della Zellweger, rifattissima miglior attrice protagonista in un biopic su Judy Garland, alla seconda statuetta in carriera dopo quella del 2004 per Cold Mountain.
Miglior attore non protagonista per il Brad Pitt di C’era una volta a ..Hollywood, che a sua volta vince il premio per la scenografia, nella quale Tarantino è riuscito a rievocare gli anni ’60 californiani in maniera splendida. Miglior attrice non protagonista a Laura Dern per il ruolo di avvocatessa in Storia di un matrimonio, segnando forse l’unica gratificazione portata a casa da Netflix.
Infine i grandi sconfitti. 1917 di Sam Mendes, tecnicamente affascinante, ma parso a molti privo di un discorso proprio, meritevole appunto solo di premi tecnici: fotografia, effetti speciali e sonoro. Uno smacco e una sorpresa per la pellicola inizialmente favorita, indice che il pubblico è abituato a veder vincere i tecnicismi sulla sostanza.
Meno inaspettata, ma comunque sconcertante, la debacle di Martin Scorsese, punito per un film considerato vecchio e lento, che tuttavia non lo è, rivelando ancora una volta quanto conti sapersi scegliere alleati e produttori. Nessuna statuetta per un Maestro del cinema ? Forse gli Oscar sono davvero ciò di cui da sempre li si accusa: più politica che arte.
Andrea Borsotti
Un commento