30 gennaio 2020

HARRY POTTER E IL COLORE DEI TETTI

A volte la soluzione non è “green” nelle parole ma nei fatti


PER COMINCIARE: Per far fronte all’emergenza climatica appare necessario rendere le nostre abitazioni più sostenibili, in particolare in termini di riscaldamento/climatizzazione. Una proposta in tal senso è quella di convertire i tetti piani in “tetti verdi”: ma siamo sicuri che sia la soluzione più economica e, soprattutto, più sensata?

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Che il cemento e l’asfalto nuocciano all’ambiente in cui viviamo mentre il verde, inteso come alberi, arbusti, prati, gli faccia bene, è cosa nota anche ai bambini, anzi forse più a loro che a tanti adulti. Che espandere il verde nelle città aiuti a rendere l’aria più sana e riduca uno degli effetti negativi del surriscaldamento climatico in atto, la formazione della cosiddetta “isola di calore” in città, è altrettanto noto. E da lì appunto nasce il progetto ForestaMi del Comune di Milano.

Progetto al cui interno ha un certo peso l’obiettivo di convertire i tetti piani in “tetti verdi”, ovvero aggiungervi terra, erba e arbusti che, metabolizzando l’energia solare incidente, producano ossigeno, abbassino la temperatura degli edifici sottostanti e, in definitiva, consentano una migliore regolazione del clima estivo riducendo l’effetto isola di calore. Obiettivo per realizzare il quale si sono previsti fondi, agevolazioni e si stanno interpellando specialisti.

Ora, è facile, e rende politicamente, cavalcare lo slogan “verde è bello” come la scopa volante di Harry Potter, ma se c’è un problema climatico non sempre il verde funziona da panacea. Vediamo perché.

Da una mappatura conclusasi nel 2016 la superficie in pianta di tutti i tetti di Milano ammonta a circa 32 milioni di metri quadri. Di questi circa 12 milioni (ottimisticamente) sono adatti ad essere convertiti in tetti verdi, e già 1 milione di questi sono tali. Dico ottimisticamente perché convertire un lastrico solare in un tetto verde non è sempre così ovvio né conveniente: ha senso se la superficie è grande e ben esposta, non è sempre compatibile con le strutture edilizie esistenti e, quand’anche lo fosse, checché ne dica l’assessore Maran, comporta un discreto investimento: consolidamento delle strutture sottostanti, rifacimento delle impermeabilizzazioni, carico di terra, impianto di irrigazione (se no alla prima estate diventa un tetto giallo), piantumazione e, soprattutto, manutenzione regolare (e costosa).

E gli altri 20 milioni di metri quadri di tetti, corrispondenti a 2000 campi di calcio, ovvero il doppio delle coperture piane? Niente da fare, sono a falde inclinate, inadatti ad essere convertiti in tetti verdi.

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Per questa immensa superficie, per lo più costituita da tegole scure che assorbono ancora più calore dei lastrici solari, sarebbe in realtà disponibile un trattamento banale, assai più economico del tetto verde e con un impatto ben maggiore sull’effetto isola di calore; ma non facendo leva sulla parolina magica “verde” è ignorato da qualsiasi progetto virtuoso della nostra amministrazione.

È il cosiddetto “tetto bianco”, che consiste nel dipingere la copertura, che siano tegole, metallo o altro materiale, con vernice molto chiara e fotoriflettente. Intervento che non contribuisce all’ossigenazione dell’aria, ma è assai più economico soprattutto sul lungo periodo, e per l’effetto albedo assai più efficace del tetto verde nel riflettere la radiazione solare.

E soprattutto non è in alternativa ai tetti verdi, va visto in combinazione con essi, moltiplicandone l’efficacia perché potrebbe coinvolgere tutte le coperture di Milano, non solo è certo, cambierebbe la fisionomia cromatica dei tetti di mezza città, ma ciò che è accaduto meno di un secolo fa, quando furono sdoganate le coperture piane in città fatte tutte rigorosamente a tetti inclinati, era ben più sconcertante che un cambiamento di colore.

Stiamo parlando tra l’altro non di esperimenti di dubbia efficacia, ma di una soluzione già ampiamente sperimentata da almeno un decennio, tanto che dal 2006 la realizzazione di tetti riflettenti è obbligatoria per tutte le nuove costruzioni in California.

Dunque se abbiamo un problema serio, e l’emergenza climatica lo è, guardiamoci intorno bene prima di credere che basti agitare la bacchetta magica “green” per risolverlo. Magari la soluzione è a portata di mano, ma altrove.

Giorgio Origlia



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  1. domenicoMa se invece di riflettere in atmosfera l'energia solare la assorbissimo, convertendola in potenza elettrica o accumulandola in serbatoi termici? Sono anche queste soluzioni consolidate e, piuttosto che agevolare con fondi pubblici il riflettere in atmosfera, trovo preferibile agevolare un almeno parziale utilizzo della energia solare.
    5 febbraio 2020 • 07:07Rispondi
    • Giorgio OrigliaÈ vero, ma installare collettori solari su tetti a falda inclinata è conveniente solo se ottimamente esposti, il che spesso non è possibile. Comunque volevo solo evidenziare una terza soluzione efficace, economica ma per lo più ignorata per ridurre i costi e i disagi dovuti al crescente surriscaldamento estivo.
      5 febbraio 2020 • 10:07
  2. Giancarlo LizzeriConcordo con quanto suggerisce Origlia. Il tetto bianco non è una soluzione universale. Non è una alternativa a soluzioni migliori. Ma è spesso l'unica cosa che si può e che conviene fare. Con un costo basso e un beneficio ambientale immediato. Stessa logica va applicata al colore della copertura delle strade, dei parcheggi e di quant'altro vi è di asfaltato. La soluzione non è certo un manto bianco, come un pò leggermente aveva pensato Los Angeles. Ma la capacità dell'asfalto nero di moltiplicare l'effetto calore è ultra-nota. Eppure l'asfalto sta diventando sempre più nero, in città, sulle strade ANAS e sulle autostrade.
    5 febbraio 2020 • 12:43Rispondi
  3. Luca BergoHa ragione, naturalmente, anche se si possono realizzare anche tetti verdi a falde i a bassa manutenzione, a voler essere precisi. Sappiamo per esperienza che le soluzioni tradizionali - penso ai tetti piani e bianchi dell’architettura spontanea in tutto il Mediterraneo - allo spesso strato di pomice delle case eoliane, allo spesso strato di canne palustri dei casoni del Delta del Po, ma anche dell’Africa... il problema di queste tecniche semplici e tradizionali è che sono poco costose e non hanno aziende che le sponsorizzano e le certificano... ci vorrebbe un po’ meno spettacolo, un po’ più ricerca sulle tecniche tradizionali è una normativa edilizia che consenta interventi efficaci, ma anche quelli non certificati ma collaudati dalla storia e a basso prezzo...
    6 febbraio 2020 • 13:49Rispondi
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