30 aprile 2021

IL NERO MILANESE E IL PAESAGGIO URBANO

Una scelta che fa molto discutere


Il palazzo del 1931 tra via Vitruvio e Aldovrandi è stato ridipinto di nero, un nero totale, suscitando polemiche tra gli abitanti, non mi sembra tra gli architetti, per il forte impatto, il contrasto con le residue e tardive decorazioni liberty, la forte visibilità, il contrasto con quello che genericamente si chiama il contesto.

Mi sembra che si debba ragionare su aspetti diversi.

favole

1 -il nero non è un colore in uso negli edifici storici o storicizzati, non conosco alcun edificio liberty o postliberty che abbia utilizzato questo colore, in genere in Italia, ma in tutta Europa, anzi la cultura cromatica del periodo era molto attenta all’uso di colori pastello: il nero era usato per i ferri, solo come esempi come da noi quelli di Mazzucotelli o negli edifici di Horta, come le grandi strutture della Maison du Peuple (demolita 1965).

2 – il nero non è un colore usuale nelle città: a Milano è stato introdotto nel dopoguerra da edifici peraltro molto belli di Caccia Dominioni –corso Europa- e Magistretti –via San Gregorio: i primi nuovi e senza contesto, in un asse viario con tutte le liberà di quell’innesto, della grande quinta urbana, e il secondo molto audace accanto al reperto del Lazzaretto, per cui Magistretti al contrario col problema del contesto, mi dichiarò che nessun altro colore si poteva adattare (condivido, con tutta la ammirazione per il suo lavoro). In nero è stato ridipinto l’ex edificio per uffici delle ferrovie in via Ferrari, trasformato in albergo e un altro albergo in viale Jenner, senza le proteste di alcuno: esempi comunque isolati.

3 – la nuova architettura contemporanea dei grattacieli, e di altri palazzi per uffici -Vodafone, Amazon,…..- è architettura di vetro, che prescinde dal colore, e così viene accettata.

4 – nel caso specifico personalmente la scelta mi sembra non condivisibile, proprio per i riferimenti storici e anche per il contesto, anche se molto frammentato ma ormai come tale assimilato, argomento fragile: una commissione edilizia non a MI respinse un mio progetto perché non riferito al contesto: portai un album con 50 foto del contorno con materiali, finiture, tetti, dimensioni, decori tutti diversi e disomogenei e fu approvato.

5 – In termini generali bisogna chiedersi quale è il controllo della città su questi interventi.

Il Municipio 3, chiamato in causa, ha dichiarato che l’intervento non richiedeva autorizzazione e che loro hanno proposto un piano del colore per la zona. Due argomenti problematici.

E’ necessario richiamare alcuni principi del “Manifesto degli indirizzi e delle linee guida della commissione per il Paesaggio del comune di Milano” 21 luglio 2016, firmato dai componenti tutti autorevoli progettisti e conoscitori della città: riporto per stralci “la cura del paesaggio è diventata sempre più imprescindibile nelle trasformazioni che interessano anche la città costruita” …”La qualità estetica e il corretto inserimento paesistico nel contesto urbano non sono più considerati valori aggiunti, ma integrati, necessari, da attribuire a tutti i progetti che incidono sull’esteriore aspetto dei luoghi” … “inserire la frammentazione delle operazioni edilizie in una significativa morfologia urbana”…. “L’istituzione di una relazione coerente tra la strategia proposta per affrontare il tema/problema paesaggistico e le scelte compositive e linguistiche che comprendono anche la scelta dei materiali e delle cromie”

Principi ineccepibili. Quindi bisogna chiedersi se i poteri della commissione per il Paesaggio non riguardino il cambio di colore degli edifici (ma riguardino il colore dei nuovi?), il che mi sembra in contraddizione con gli artt. 5 e 6 del R.E. e con quale tipo di pratica sia stato possibile cambiare colore a questo edificio, che quindi non sarebbe passato dalla autorizzazione della commissione. La prima conclusione è che bisogna estenderne i poteri secondo i principi del Manifesto e del R.E.

La seconda conclusione per il piano del colore del Municipio 3, che non è uno dei tanti redatti per centri storici più o meno omogenei, considerata l’estensione dell’area e la eterogeneità degli edifici, per cui bisognerebbe definire in modo preciso il perimetro culturale, perché possono finirci insieme edifici liberty o post, molti del novecento, e tanti altri del dopoguerra, forse di non grande qualità, ma che costituiscono il tessuto tipico di Milano per buona parte del centro esteso, che non so che suggerimenti o limiti possa dare alle nuove costruzioni o alle trasformazioni.

Paolo Favole



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  1. piero baracchiUna considerazione pratica sul colore nero: assorbe enormemente i raggi solari. La città si sta surriscaldando a causa dell'aumento delle temperature e, deliberatamente, vanno a peggiorare la situazione? Per poi, magari, dover mettere un impianto di raffrescamento estivo? O mi sfugge qualcosa, tipo che l'energia assorbita grazie al nero viene immagazzinata e trasformata ed è invece una straordinaria operazione di efficientamento energetico?
    13 maggio 2021 • 16:50Rispondi
  2. alberto bolzaniL'apporto di Paolo Favole è significativo e chiaro. La carenza di sensibilità estetica delle istituzioni milanesi è manifesta. L'intervento perpetrato sull'edificio di via Plinio 2 è sanzionabile in quanto la modifica del colore di un immobile, comunque e sempre, ricade in "Manutenzione Straordinaria" e non "Edilizia Libera" e "Manutenzione Ordinaria" come autonomamente dichiarato dagli esecutori dell'intervento su questo edificio.
    18 maggio 2021 • 00:04Rispondi
  3. danilo pasquininon si può non condividere il drastico e pedagogico giudizio di Paolo Favole. Drastico per la condanna che fa di un inrervento astorico e fuori dai canoni del paesaggio urbano. Pedagoigico per la Amministrazione Comunale (Assessorato all'abbellimento della cottà e Municipi da n.1 a n. 9) e mi spiego: una scelta politica a fini di partecipazione dei cittadini tutti alla gestione della città sui grandi problemi E NON SOLO MA ANCHE LOCALISTICI che fu varata e speimentata a lungo in corpore vili dalla messa in campo nel 1968 del DECENTRAMENTO POLITICO AMMINISTRATIVO. Una cosa diversa sono i figli impropri di quel decentramento che sono i MUNICIPI, ridotti come numero (da 20 a 9) e incaricati di attività alcune delle quali NON RICHIEDONO PERMESSI NE AUTORIZZAZIONI ma vengono accettate o promosse (?) dai mini-assessori di 9 Municipi. Questo della trasformazione colorica dell'Albergo di via Plinio non è un caso isolato in città. Cisono piccole piazze o slarchi o addirittura piazza ex novo realizzate a fini di decongesionare il traffico ed dare spazi agibilki (SENZA ATTRAVERSAMENTI DI MEZZI PRIVATI E PUBBLICI atque similia) chew stanno dimostrando la pochezza diella capacità di questi Municipi (cito a caso Piazza Gransci = mq dai 36.000 a forse piàù di 40.000 metrri quadrip pedinali un piccolo impropriamente deltto ANFITEATRO in via Porlezza - era un modo nuovo allora di fare arredpo urbano invece di fontella e 4 strimibziti e tristanzuoli e tisicuzzi alberelli di ciliegio- ed altri esempi di cui la stsmpsa grida al miracolo). Scusate se dico un mio pensiero sui Municipi: sono stato negli anni ''60 tra i promotori del Decentramento e poi fino al 1985 Consigliere Presidente di una di qui Consigli di Zona e posso garangtire che senza avere POTERI QUEI cONSIFGLI HANNO INCISO MOLTO SULLA POLITICA DELLA CITTà ALMENO FINO ALLA NASCITA DEI MUNICIPI. Accetto la sfida a parlarne anche pubblicamente.dp
    23 maggio 2021 • 20:09Rispondi
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