25 gennaio 2020

BUTTIAMO ALL’ARIA LA CASA

È interessante vedere chi propone di farlo


PER COMINCIARE: Le crisi abitative sono oramai all’ordine del giorno, non solo a Milano, e creano discussioni in tutti i ceti sociali. Quando a definire il mercato immobiliare “marcio” è il celebre giornale The Economist, è il caso di fare il punto della situazione. Giancarlo Lizzeri traccia un dettagliato quadro del mercato immobiliare italiano ed europeo.

Lizzeri

Le politiche abitative dei principali governi hanno reso il sistema economico insicuro, inefficiente e ingiusto. È ora di demolire questo edificio marcio e costruire un nuovo mercato immobiliare che funzioni”. Sembra l’incipit di un manifesto di sinistra quasi estrema. Invece è la conclusione cui perviene il blasonatissimo “The Economist” della settimana scorsa, alla fine di un lungo esame sui disastri attribuibili al modo in cui funziona il mercato abitativo nelle maggiori economie occidentali (ma anche in Cina, India e Giappone).

In quasi tutto il mondo occidentale e non solo nell’ultimo mezzo secolo la casa è stata oggetto di una deriva gigantesca, molto studiata e molto sottovalutata. Vediamo le componenti strutturali di questa deriva:

  • il mercato della casa è gestito oramai quasi solo da privati, con un ruolo sempre più residuale da parte dello Stato e degli enti locali. Grave errore, essendo la casa a tutti gli effetti la principale infrastruttura su cui si regge qualsiasi società.
  • Norme fiscali e strumenti finanziari vecchi e nuovi hanno incentivato via via di più l’acquisto in proprietà della casa a discapito della casa in affitto.
  • Il fatto che sul mercato immobiliare abbia vinto l’investimento nel titolo “casa in proprietà” significa che la casa è divenuta sempre meno una spesa da contenere. E sempre di più un investimento che si spera di valorizzare al massimo. Con la conseguenza che l’aumento del prezzo della casa non è più considerato un fattore inflazionistico. È diventato l’indicatore di buon rendimento dell’investimento fatto.
  • Il mondo di conseguenza si è diviso in due: da una parte un piccolo numero di Paesi che hanno continuato a gestire il patrimonio abitativo come una infrastruttura che deve essere a basso costo a vantaggio di tutta la società. E dall’altra la grande maggioranza dei Paesi che ha seguito la sirena degli infiniti interessi che hanno soffiato sul valore “democratico” della casa di proprietà per tutti. La molla al rialzo dei prezzi della casa, provocata dalla finanziarizzazione eccessiva del mercato immobiliare legata proprio alla diffusione generalizzata della proprietà di casa, si è tramutata più volte in bolla speculativa, con effetti disastrosi per l’economia complessiva. L’ultima volta, e la più grave, è quella che risale al 2008. Crisi dalla quale alcuni Paesi (il nostro in particolare) non si sono ancora ripresi.

La casa: la migrazione da esigenza primaria a titolo di investimento

La percentuale di case in abitazione era non più del 30/40% fino all’inizio della seconda guerra mondiale. Oggi è oramai assestata oltre il 70 per cento in quasi tutti i maggiori mercati. Nel frattempo il prezzo reale della casa, media di tutti i Paesi, si è quadruplicato a partire dal 1950. L’investimento fatto dalle famiglie nella casa ha un valore complessivo che è quasi uguale a quello di tutti gli altri titoli di investimento oggi presenti sul mercato. Per le famiglie essa è divenuta il titolo di investimento di gran lunga più rilevante.

Il mercato abitativo di conseguenza è sempre meno in grado di rispondere alla sua funzione primaria. Un po’ dappertutto da almeno 10 anni le nuove coppie acquistano casa in misura drasticamente inferiore rispetto a quello che facevano i loro genitori. E faticano anche ad affittarne una a prezzi decenti.

La crisi del 2008 non ha insegnato molto. Anzi, molti mercati sono di nuovo in preda al parossismo speculativo. A Londra i prezzi della casa oggi superano del 140% il livello di prezzi di 20 anni fa. Questo significa che il prezzo per abitare è aumentato in quella città del 4,5% all’anno per vent’anni. Oltre il doppio rispetto alla crescita media del PIL e oltre il quadruplo rispetto alla crescita delle retribuzioni nello stesso periodo.

In moltissime realtà urbane di gran successo, Londra, San Francisco, Parigi (Milano si è avviata sullo stesso percorso) sta divenendo sempre più difficile acquistare casa o anche avere una casa in affitto se non per i ricchi o i quasi ricchi. Una percentuale sempre più elevata delle persone indispensabili al funzionamento della città (insegnanti, vigili, poliziotti, infermieri, idraulici, ecc.) non riescono più a vivere in città.

Sono colpite in modo particolare le nuove generazioni. Le case in proprietà costano troppo e le case in affitto pure. Questo avviene a Tel Aviv, a Barcellona, a New York e spesso anche a Milano. Se il giovane è nato in città tenderà a stare il più a lungo possibile dentro la casa dei genitori. Altrimenti vivrà in città fin che è single e quando crea famiglia emigrerà in periferia, spesso assai remota.

Il fenomeno degli homeless è la deriva ultima e più eclatante di queste dinamiche. Con una dimensione che è particolarmente vistosa negli Stati Uniti. Secondo la stima ufficiale del Department of Housing ci sono circa 500.000 homeless negli Stati Uniti. Ma il fenomeno degli homeless sfugge in molti modi alle rilevazioni. Quella stima deve infatti fare i conti con un’altra stima agghiacciante: secondo Il Department of Education negli Stati Uniti nell’anno scolastico 2016-17 ben 1,4 milioni di studenti delle scuole pubbliche americane erano totalmente o periodicamente homeless. La percentuale di studenti homeless sarebbe quindi pari al 3% della popolazione scolastica di quel Paese. Percentuale che si è raddoppiata tra il 2006 ed il 2017.

In Europa per fortuna le cose non sono così drammatiche. Londra, dove gli homeless si sono raddoppiati negli ultimi 10 anni, ha pur sempre meno homeless di San Francisco, pur avendo una popolazione che è quasi dieci volte superiore.

Ma prima di arrivare agli homeless occorre attraversare la sofferenza infinita di chi non vuole o non può rinunciare alla città ma vede assorbita dalla casa anche più della metà del proprio reddito. Oppure di chi rinuncia alla città ma perde il controllo del proprio tempo: ore ogni giorno per fare il tragitto casa/lavoro, soprattutto là dove manca la disponibilità di trasporto pubblico su ferro.

Hong Kong e Singapore: i due paradigmi abitativi estremi

Esiste una dimostrazione concreta quasi estrema di quanto abbiamo detto. Val la pena parlarne, sia pure per sommi capi.

Hong Kong e Singapore sono due città di grande successo. Singapore fino al 1963, data della sua indipendenza, era una città piccola e povera, Hong Kong era già allora una importante capitale industriale e finanziaria. Oggi Singapore supera il reddito pro capite degli Stati Uniti, e supera anche quello di Hong Kong del 25%. In tutte e due le città il governo è proprietario di tutto o quasi tutto il terreno edificabile. Ma il comportamento effettivo del governo delle due città non potrebbe essere poi più diverso.

Sia in epoca inglese che successivamente, a Hong Kong la terra su cui si costruisce è stata “girata”, attraverso un meccanismo periodico di aste, a sette “grandi” famiglie di tycoon immobiliari che si sono di fatto spartite il patrimonio immobiliare della città. Le sette famiglie hanno da sempre puntato, con nessun impedimento da parte del governo della città, alla massimizzazione brutale del proprio profitto. Dopo anni di politica della casa così inspirata a Hong Kong esiste il mercato immobiliare più costoso del mondo: la casa “mediana” costa circa 20 volte il reddito mediano, il 70% del reddito di metà della popolazione è assorbito dal costo della casa ed è normale che per gran parte degli abitanti di quella città la casa abbia una dotazione media di 15 metri quadri per persona. Il mercato dell’affitto è una vera e propria giungla e si calcola oltre il 20% delle abitazioni in affitto sia utilizzato con modalità che sono a tutti gli effetti illegali. Accanto ai megaricchi del centro esistono condizioni abitative di fatto prossime al terzo mondo.

La sollevazione in atto da mesi nei confronti del governo filocinese della città ha profonde motivazioni politiche ma deriva anche dalla insofferenza generalizzata nei confronti delle pesanti conseguenze addossate alla maggioranza della popolazione dalla combutta tra amministrazione cittadina ed i magnati immobiliari di Hong Kong.

Anche a Singapore la proprietà dei terreni edificabili della città è intestata allo Stato. Ma lo Stato in questo caso è l’operatore cui si rivolge l’80 per cento delle famiglie della città per comprare casa. È un acquisto che equivale ad un affitto lunghissimo. La proprietà della casa dura 99 anni e alla scadenza essa ritornerà di proprietà dello Stato. La rivendita e l’affitto della casa in questo periodo sono ammessi ma solo a condizioni ben determinate. E sempre inspirate al fatto che lo Stato non solo vuole garantire la disponibilità a prezzi “accessibili” della abitazione, ma vuole anche assicurarsi che nei vari quartieri ci sia un adeguato mix sia di natura sociale che etnica (Singapore ha una popolazione che è in maggioranza di etnia cinese, ma esistono due rilevanti minoranze etniche, la malese e l’indiana).

Esiste anche a Singapore la possibilità di comprare casa a proprietà libera. Solo meno del 5% della popolazione di Singapore se ne avvale. Sono case a costo inevitabilmente elevato ma, a differenza di Hong Kong, anche in questo caso esistono disincentivi molto forti nei confronti di investimenti speculativi su queste case. Esiste infine un ulteriore 15% di patrimonio immobiliare destinato alle persone con redditi bassissimi cui vengono destinati appartamenti piccoli (ma sempre molto più decorosi di quelli sul mercato libero di Hong Kong) ad affitti poco più che nominali. Alle stesse famiglie viene anche riservato un canale privilegiato per l’acquisto a condizioni di favore sul mercato secondario delle case di proprietà. Se si formano bolle speculative nel mercato secondario della casa il governo avvia immediatamente una politica di crescita dell’offerta in modo tale da impedirle. Una raffinata politica immobiliare di questo tipo non funzionerebbe senza una rete di trasporto su metropolitana altrettanto raffinata che permette di abbassare in maniera decisiva l’effetto della distanza tra aree centrali ed aree periferiche.

A parità di reddito disponibile il potere di acquisto a Singapore supera quello di Hong Kong di un gigantesco 30 per cento: la differenza essendo quasi per intero dovuta alla differenza nel costo della casa tra le due città.

E in effetti il costo di un posto letto o di uno sgabuzzino a Hong Kong è uguale al costo di un miniappartamento a Singapore. E a Singapore un giovane su quattro a 27 anni è già in grado di comprare casa (cosa che oramai non avviene più in nessun altro mercato immobiliare). Qualche homeless esiste anche a Singapore ma a Singapore, che ha 8 volte la popolazione di San Francisco, essi sono in cifra assoluta un sesto rispetto a quelli di San Francisco: il rapporto complessivo è quindi di uno a Singapore contro cinquanta a San Francisco.

E in Europa?

Non tutti in Europa hanno ceduto alla sirena della proprietà generalizzata della casa ed alla conseguente finanziarizzazione del mercato immobiliare. Mentre in Gran Bretagna, Italia, Spagna l’indice di proprietà della casa è salito al 70% (in Spagna all’’80), in Svizzera, il Paese più ricco d’Europa, solo il 43 per cento delle famiglie è proprietario delle case in cui abita. Nelle maggiori città, come Zurigo, Basilea e Ginevra non più del 30% delle famiglie. In posizione non molto diversa la Germania (indice di proprietà pari al 52%) e Austria (55%). I 3 Paesi hanno un mercato abitativo efficiente, a costo contenuto, e finora sostanzialmente indenne da bolle speculative.

I quattro principi che hanno permesso a questi Paesi di avere un mercato abitativo efficiente sono:

  • trattano la casa in proprietà e la casa in affitto in modo neutro dal punto di vista fiscale: nessun vantaggio fiscale o finanziario viene attribuito all’acquisto della casa in proprietà;
  • hanno un mercato dell’affitto governato da due tradizioni: da una parte gli affitti tendono ad essere di lungo periodo (a tutto vantaggio degli inquilini), e dall’altra l’affittuario rispetta in modo quasi sacrale le condizioni di affitto (a vantaggio dei proprietari);
  • una efficiente rete di trasporto pubblico permette di contenere di molto l’inevitabile piramide dei valori urbani;
  • le bolle immobiliari sono strozzate sul nascere aumentando l’offerta delle case sia in proprietà che in affitto là dove la bolla immobiliare è più marcata.

In Germania il costo della casa oggi è in termini reali lo stesso del 1980, cosa che non si può dire per nessuno dei Paesi dove la casa in proprietà è divenuta la regola maggioritaria. Prendiamo Berlino come epicentro del sistema tedesco. A Berlino l’82% delle famiglie vive in affitto. Contro il 50% a Londra, il 42% a Milano, il 28% a Barcellona. La differenza tra Berlino e altre città europee non è rilevante se si guarda il costo medio dell’acquisto della casa: a Milano la casa nel 2018 costa in media il 35% meno che a Berlino, a Barcellona il 10% in più. Fuori range rimaneva ovviamente Londra, dove il valore del metro quadro di una casa in acquisto era di 2,2 volte il valore di Berlino. Ma il mercato che conta a Berlino per più di quattro famiglie su cinque è quello in affitto. E il costo dell’affitto per mq a Londra supera il costo a Berlino di ben 3 volte, a Barcellona di 2,7 volte, a Milano del 70 per cento. Non a caso Berlino è oggi una città abitata largamente da giovani, provenienti da tutta Europa, cosa che a Londra riesce sempre meno possibile e che anche a Milano e Barcellona diviene sempre più difficile.

Un inizio di ripensamento è in atto in molti Paesi: proprio il fatto che le nuove generazioni sono di fatto quasi escluse dalla possibilità di abitare in città sta obbligando i governi di vari Paesi ad introdurre alcune prime misure rilevanti.

Ma sottrarsi alla gigantesca piattaforma di interessi che ha creato il costosissimo mito della casa in proprietà non sarà facile. L’Economist ne parla come di un sistema marcio. L’excursus che abbiamo fatto, anche se del tutto impressionistico, lascia capire che in effetti il marcio è molto diffuso. Ma la convenzione politica prevalente continua a fingere di non accorgersene. In Italia non se ne parla quasi, qualche flebile cenno milanese a parte.

Tra tutte le cose che ho scoperto nel documentarmi per questo articolo, mi ha fatto particolarmente impressione che quasi solo a Singapore oggi vi sia un buon numero di giovani che a 27 anni già sono in grado di comprare casa. Anche perché sulla fine degli anni 60, a 27 anni avevo messo su famiglia ed avevo trovato, con le scarse risorse di assistente universitario, una casa in affitto ad un prezzo per me abbordabile nella centralissima via Lanzone a Milano. Non è stato così facile per i miei figli. Voglio lavorare perché torni ad esserlo per i miei nipoti. Va ritrovato il modo per riempire le città di futuro, e cioè di giovani. Intendendo per tali soprattutto coppie giovani, quelle che debbono per forza pensare al futuro proprio e dei propri figli.

Et vivat urbs.

Giancarlo Lizzeri



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  1. walter moniciSplendido articolo, dovrebbero leggerlo tutti i politici, devo conservarlo, grazie Giancarlo.
    29 gennaio 2020 • 10:28Rispondi
  2. giovanni salviniSono imprssionanti le cifre ma più impressionante ancora è che alla base di queste giuste osservazioni critiche agisce una visione della società che considera risultato primario di ogni decisione e conseguente azione la vita decorosa di ogni uomo e questa visione non fa parte della classe dirigente che forse non è neppure in grado di fare questo tipo di considerazioni . Il problema in prima battuta sarebbe di scegliere come governanti persone di valore e , in prospettiva, di organizzare le scuole per formare persone di valore . Compiti entrambi difficili ma da non accantonare .
    29 gennaio 2020 • 11:07Rispondi
  3. Monika GrewenigGrazie Lizzeri per la ponderosa ricerca e riflessione. Vivo a Milano in casa di proprietà. Ho, in effetti, perso la mia battaglia col marito contro la proprietà privata. Ha vinto lui (anche perché più forte economicamente) con l'argomento della debolezza contrattuale del affittuario che non ha garanzia di un affitto a lungo termine. La proprietà della casa è di enorme ostacolo alla mobilità lavorativa a scapito dello sviluppo economico e demografico del Paese.
    29 gennaio 2020 • 14:02Rispondi
  4. Andrea Passarellail fattore che più impedisce un mercato immobiliare più equilibrato in Italia è uno dei punti da lei evidenziato: "hanno un mercato dell’affitto governato da due tradizioni: da una parte gli affitti tendono ad essere di lungo periodo (a tutto vantaggio degli inquilini), e dall'altra l’affittuario rispetta in modo quasi sacrale le condizioni di affitto (a vantaggio dei proprietari). Vivo in casa di proprietà ma ho vissuto a lungo in affitto e ho visto le peggiori sopraffazioni da entrambe le parti. Non solo affitti in nero praticamente imposti dagli stessi inquilini (subaffitto), ma anche noncuranza del bene consegnato. Ho visto anche proprietari trarre profitto indebito (evasione fiscale). In un contesto "culturale" tale non c'è fiscalità o piano urbanistico che tenga, prevale la sfiducia non solo verso le istituzioni ma anche verso il prossimo. Il fattore fiducia è un valore fondante del vivere comune nei paesi avanzati che consente lo scenario da lei raccontato. Bisognerebbe quindi analizzare in maniera altrettanto approfondita il comportamento degli affittuari. A titolo di esempio: Ho vissuto per un breve periodo a Barcellona, il proprietario dell'appartamento che volevo prendere in affitto con fare sospettoso mi chiese da quale parte dell'Italia venivo dato che il mese prima dei napoletani erano andati via senza pagare e rubando parte del mobilio. In pratica se venivo dal sud Italia non mi avrebbe affittato la casa. Raccontando l'accaduto al mio ritorno in Italia successe quanto pensavo: tali comportamenti in Italia non vennero condannati ma anzi gli stessi napoletani per bene mi dettero del razzista. Gli stessi napoletani per bene che invece per primi dovrebbero interessarsene per un fattore di onorabilità; comunque hanno ammesso che non affitterebbero mai la loro casa (di proprietà) proprio per i motivi descritti da me. Si può davvero pensare che in tale contesto sia possibile diminuire la componente proprietà a favore dell'affitto? Quindi le critiche alle istituzioni pubbliche ed ai politici affinché il mercato immobiliare sia più equo sono giuste e doverose ma altrettanto doverosa deve essere la riflessione sul civismo del cittadino italiano. Sono gli stessi cittadini che votano i politici che dovrebbero guidarci, lavorano nelle istituzioni di cui ci lamentiamo e sono gli stessi cittadini che se ne fanno beffa. Non si può essere tedeschi a Monaco pretendendo di vivere anarchicamente come in Italia....
    30 gennaio 2020 • 20:38Rispondi
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