16 gennaio 2020

BAROCCO VERSUS CONTEMPORANEO

Due concerti milanesi


Viola-1

Il programma del concerto – pieno di nomi di autori, di opere, di musicisti – sembrava un rebus, scarsamente comprensibile, ed ha finito per spaventare e tenere a casa un sacco di gente; così l’ultimo concerto del Quartetto, la settimana scorsa, si è tenuto purtroppo in una sala semivuota. Una magnifica occasione persa che si è rivelata una delle serate più godibili, affascinanti – ed oserei dire commoventi – della stagione.

Cominciamo dal titolo del concerto: “Giulio Cesare. Eroe Barocco”. Mah… titolo suggestivo ed intrigante ma anche misterioso e assai poco plausibile. Il barocco all’epoca di Cesare? Cosa vorrà mai dire? Il programma consisteva in una serie di Arie e di alcune Sinfonie da melodrammi di epoca barocca – in particolare di Geminiano Giacomelli (1692-1740), Carlo F. Pollarolo (1653-1723), Francesco Bianchi (1752-1810) e dei grandissimi Niccolò Piccinni (1726-1800) e Georg F. Händel (1685-1759) – e i soggetti dei melodrammi spiegavano finalmente il titolo del concerto poiché tutti avevano a che fare con Giulio Cesare: Cesare in Egitto, La morte di Cesare, e così via.

Gli interpreti erano Raffaele Pe, controtenore lodigiano, e Raffaella Lupinacci, mezzosoprano cosentina, poco più che trentenni e due splendide voci, accompagnati dall’ensemble “La Lira di Orfeo” fondato solo cinque anni fa dallo stesso Pe, in residenza a Lodi, composto da 17 elementi (oboi, corni, fagotto, arpa, clavicembalo ed archi). Tutti i musicisti suonavano strumenti d’epoca, avevano ottimi trascorsi con importanti successi alle spalle, ma purtroppo non erano ancora abbastanza noti al pubblico milanese che, come si sa, è eccessivamente (e scioccamente) sensibile alla fama degli interpreti.

Non credo che la musica barocca e gli strumenti d’epoca abbiano in sé un particolare magnetismo, ma se accompagnano una o più voci straordinarie come quelle di Pe e della Lupinacci, l’una l’opposto dell’altra – tanto limpida, alta e cristallina quella del controtenore, quanto profonda e drammatica quella del mezzosoprano (a tratti più da contralto) – cambia tutto, entriamo in una atmosfera magica, di grande poesia, capace di trasportarci in un mondo etereo, paradisiaco, come sospeso in aria. Mentre la preoccupazione di annoiarsi era molto diffusa prima del concerto, l’entusiasmo e la felicità che sono seguiti sono stati travolgenti. La parola più ricorrente nella sala Verdi del Conservatorio è stata “sublime”.

Un duetto in particolare ha colpito il pubblico, a tal punto che i musicisti non han potuto fare a meno di ripeterlo in bis: “Son nata a lagrimar/Son nato a sospirar” dal “Giulio Cesare in Egitto” di Händel, commovente come raramente capita di ascoltare. Ma altrettanto toccante è stato il secondo bis, la celeberrima Aria “Lascia ch’io pianga mia cruda sorte e che sospiri la libertà” dal Rinaldo di Händel, uno struggente canto di libertà dalla potentissima forza drammaturgica, una metafora del dolore di cui “fin dall’attacco della melodia non si riesce a decidere se prevale la tenerezza, la tristezza, la rassegnazione, l’orgoglio, l’impotenza davanti al destino o il fascino consolatorio…” (Pino Pignatta). L’Aria nasce per voce da soprano, quella di Almirena, la figlia di Goffredo di Buglione innamorata di Rinaldo, imprigionata ed insidiata dal suo carceriere; eseguita invece da un controtenore, per giunta bravo come Raffaele Pe, con quella voce inusuale che sembra elevare l’espressione del dolore, acquista ulteriore tensione emotiva. Insomma è stato un concerto di rara preziosità, di quelli che si vorrebbe non finissero mai, che non ci si stanca mai di ascoltare.

*****

Viola-2

Altra gradevolissima sorpresa è arrivata con uno dei concerti del ciclo pomposamente chiamato “The Classical Experience” che si tiene nei pomeriggi domenicali alla Palazzina Liberty. Era dedicato a Beethoven (quest’anno, 250° anniversario della sua nascita, finiremo per non poterne più di lui, così come accadde con Mozart nel 2006!) e prevedeva l’esecuzione di due Quartetti – opera 18 numero 6 ed opera 95 – e del quinto movimento (sic!) dell’opera 130, la famosa Cavatina. Ma attenzione: non sono stati eseguiti dai quattro protagonisti classici del quartetto (due violini, viola e violoncello) bensì da 15 strumentisti – fra questi, ahimè, quelli dell’ottimo Quartetto Indaco – che li hanno inopinatamente trasformati in improbabili “Pezzi per ensemble d’archi” così volgarizzando la più raffinata delle strutture musicali mai inventate, il quartetto d’archi. Per di più proprio con quelli di Beethoven!

Li perdoniamo solo perché, grazie a quell’organico, ci è stato offerto in prima esecuzione assoluta un magnifico brano di Andrea Portera per quartetto concertante e orchestra d’archi “Via lucis delle Ombre”, una rivelazione. Portera è un grossetano di quarantasei anni che – insieme a Fabio Vacchi, a Orazio Sciortino e a non molti altri – fa parte di quel gruppo di compositori che ha finalmente trovato la strada giusta per uscire dalla tremenda crisi della musica colta contemporanea. Non conosco altre sue opere, ma questo brano composto da tre movimenti (16 dicembre – data di nascita sua e di Beethoven! – Witz, scherzo, e Frühling, primavera) ha una freschezza e insieme una profondità di pensiero sorprendenti. Allievo di Sciarrino, Portera è uscito indenne dalla sua scuola trovando un raro equilibrio fra la tonalità – che rappresenta il punto di riferimento comunque necessario alla chiarezza del linguaggio – e la libertà compositiva altrettanto necessaria per esprimere la complessità della narrazione contemporanea. Chapeau! Speriamo di poter ascoltare presto, nelle sale milanesi, altri suoi lavori.

Paolo Viola



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