15 dicembre 2019

MILANO, CARO AFFITTI: LO SCANDALO PERENNE

“Caro casa”, una situazione insostenibile per molti


Quand’è che il caro affitti diventa un serio problema per una città? La risposta di Laura Liyanage è netta: quando i suoi cittadini non hanno più la possibilità economica di abitarla. In un’ampia riflessione sulle cause e conseguenze dei prezzi delle case a Milano, l’autrice instaura un confronto con l’Europa sui temi dell’housing sociale, dell’edilizia pubblica e delle politiche abitative, dimostrando come il laissez-faire edilizio del Comune di Milano sia sempre più a sfavore dei suoi cittadini.

liyanage

Gli affitti a Milano sono cari, non è una novità. La novità è che ora lo sono anche su scala continentale: la città risulta addirittura più cara di Madrid, Vienna, Rotterdam, Bruxelles, Berlino, e per questo motivo intere zone di Milano sono a rischio gentrificazione.

Berlino avrebbe applicato un limite di emergenza: limitare l’aumento degli affitti è costituzionale, almeno in Germania, dove l’ordinanza della Corte Costituzionale, in una sentenza, dichiara che è nell’interesse pubblico contrastare lo sfollamento di gruppi di popolazione economicamente meno abbienti dai quartieri. Il testo va oltre, e sostiene che l’interesse generale dovrebbe prevalere sul diritto di proprietà individuale. Anni luce avanti.

Nelle maggiori città europee la combinazione tra una buona situazione economica e piena occupazione ha portato all’effervescenza del mercato immobiliare, e molti investitori non hanno esitato a speculare sugli alloggi. E a Milano? Cosa ha portato gli immobiliari a speculare più che in qualsiasi altra città europea? Le motivazioni sono tre: governi più solidali nei loro confronti che in quelli dei cittadini, una manovra di inserimento di persone ricche (attraverso riqualificazioni che portano professionisti qualificati e turisti ricchi) e un terreno fertile senza nessun limite di edificazione.

Di fronte a questa giungla, il comune di Milano sta “provando” a rendere più diffusi i contratti a canone concordato (contratti a prezzi calmierati con vantaggi fiscali per i proprietari), ma MILANO ABITARE non sembra dare i risultati sperati e non è così difficile capire perché. Questa manovra viene applicata soprattutto per le nuove costruzioni (ecco trovato il modo di giustificarle) e prettamente in periferia, dove i prezzi dovrebbero essere già calmierati. Dunque, nonostante il prezzo d’affitto più basso, alla fine quello che entra in tasca al proprietario è più o meno la stessa cifra di un affitto a prezzi di mercato, e si tutela ancora una volta l’immobiliare piuttosto che l’inquilino. Per di più, da giugno 2015 ad oggi si è arrivati solo a 2000 contratti calmierati su 30.000 intermediazioni annue, a causa dell’avversione alla manovra da parte dei proprietari degli immobili.

Se non si ottengono i risultati sperati, quindi, perché continuare su questa strada? Forse perché non si ha interesse a risolvere veramente il problema, o forse perché è l’amministrazione stessa la causa del problema? Ci sono anche immobili in mano ad enti previdenziali, enti medio-grandi che hanno aspettative di remunerazione alte sulle case, per cui preferiscono lasciarle sfitte anziché accettare canoni più bassi. A Milano, tra pretese di canoni troppo alti e ambizioni disattese alle vendite, restano ad oggi 70.000 alloggi sfitti.

Ma, oltre al problema del prezzo degli immobili, c’è anche un problema di qualità: le proposte sono per lo più di qualità medio-bassa. Il sindaco di Milano Giuseppe Sala è entusiasta dell’edilizia sociale, ma si è sempre dichiarato più restio a progetti di edilizia pubblica (è però perfettamente favorevole a progetti di edilizia speculativa).

L’edilizia sociale è diversa da quella pubblica. L’edilizia pubblica riguarda le case popolari, per le quali c’è una richiesta enorme; è chiaro che bisogna aumentare l’edilizia pubblica (e non solo in periferia dove non si vede, ma anche nel centro e nelle zone intermedie), non certo inventare il bisogno di un nuovo stadio o di enormi edifici scintillanti di uffici assicurativi.

L’edilizia sociale (social housing) è invece una forma di edilizia privata. Lo sviluppo della città viene condotto con criteri non proprio ragionati e rispettosi del territorio. Esiste ancora un unico partito, il partito degli affari, dietro le cui dichiarazioni di facciata non c’è nessuno che si impegni seriamente per frenare la prolificazione di edifici. È inutile trasferire agli immobiliari pieni poteri e poi successivamente cercare di limitarne i profitti con l’esposizione di formule matematiche difficili da monitorare.

Il risultato è che la popolazione è talmente offuscata da non vedere come stanno veramente le cose. Da anni si fanno sondaggi cittadini: ciò che emerge è che una larga maggioranza crede che il problema siano gli stipendi troppo bassi, quando il problema è che i costi sono esageratamente sproporzionati, persino per i ricchi (4000 euro un bilocale in Corso Como), rendendo ostico l’accesso alle abitazioni anche ai cittadini con elevati standard di reddito; sono sproporzionati anche nelle altre città dove il minimo salariale esiste.

Non si deve fare l’errore di credere che, se gli stipendi medi si alzano, allora il prezzo degli affitti sia giustificato, o cadere vittima di un altro pensiero comune, che “se si vuole la comodità di abitare in città è giusto che si paghi un prezzo elevato”: è giusto che le persone paghino migliaia di euro un appartamento che fino a qualche anno fa pagavano la metà? Ed è giusto che persone che sono nate e cresciute a Milano siano oggi costrette a trasferirsi a 40 minuti dalla città, pagando in modo immorale abbonamenti da 70 euro a Trenord per raggiungerla? Bisogna restituire dignità a milioni di lavoratori sottopagati e al contempo occorre fissare dei limiti ai costi di affitto, ma sono due problemi distinti e non uno risolutivo dell’altro.

liyanage2Molti sono talmente lobotomizzati da credere che tutto ciò che sta avvenendo a Milano sia progresso, addirittura sono a favore di riqualificazioni a sostegno di ricchi e di aziende/lobby, nonostante siano i primi a non beneficiare dei nuovi arredi “super chic” del centro e ad essere pagati sempre meno nonostante le ore di lavoro medie aumentino. Stiamo comunicando a chiare lettere alle generazioni future che non ci importa nulla del loro destino, e neanche del nostro. Ciò che importa è che chi decide per noi realizzi un profitto nel presente.

La gestione operaia delle fabbriche, la conquista dei diritti delle donne, ci mostrano che lottare per migliorare le cose è possibile: basta non sedersi a guardare ed incominciare ad agire. I cittadini in Germania si mobilitano contro la speculazione e gli affitti alle stelle attraverso cartelli e striscioni sui balconi con scritto: nessun profitto sul mio affitto; affitti accessibili a tutti; lotta contro la speculazione… ed anche il governo locale li appoggia. A Milano succede l’esatto opposto: la cittadinanza è a favore di queste manovre, attuate per tappare i guai combinati dal governo locale.

Chi ci va maggiormente di mezzo sono i giovani, in particolare gli studenti che, poiché le residenze universitarie oggi a disposizione non bastano ad ospitarne nemmeno un terzo, sono costretti ad affittare presso privati pagando cifre esorbitanti rispetto alle proprie possibilità. Quindi perché manifestare con veemenza solo per l’ambiente (problema mondiale) e non anche per il caro affitti (problema locale)?

C’è un urgente bisogno di limiti immediati, se si vuole trovare una soluzione a lungo termine e sostenibile per il mercato immobiliare. Un sano mercato locativo, sia per gli inquilini che per i proprietari, è possibile, ma con questa amministrazione sembra un’utopia. Una “riqualificazione”, perché sia reale, dovrebbe partire da un’idea di come rendere una zona più vivibile per la comunità che già vi abita, non come tattica per cacciarla in favore di nuovi abitanti più ricchi che non creano problemi di emergenza abitativa. Nelle aree riqualificate gli abitanti originari si contano sulle dita di una mano. I quartieri gentrificati si aprono come squarci nel tessuto sociale. Esiste invece un esempio più giusto di società, dove le riqualificazioni portano maggiori vantaggi a tutta la popolazione residente attraverso luoghi da vivere, mantenendone tutto il carattere e creando nuove aree funzionali a tutto il territorio.

Le nuove isole, belle alla vista, sono in contrasto rispetto al resto della città. Nella porzione di Porta Nuova si concentrano quasi un quinto degli uffici presenti in tutto il capoluogo, riempiti ogni giorno da un’ampia classe di professionisti impiegati nel settore finanziario, una classe che si distingue in quanto può permettersi residenze di lusso. A Berlino, nel quartiere Kreuzberg, i residenti sono scesi in piazza contro la costruzione del nuovo centro direzionale di Google, votato all’attrazione di professionisti qualificati, gli unici in grado di pagare i mega-affitti destinati a ripercuotersi in tutto il quartiere. Vivere in piccole piazze artificiali, in queste nuove isole di ricchezza dove si incontrano persone preventivamente selezionate, non sembra apportare alcun miglioramento alle aree degradate della città, anzi si estremizzano le disuguaglianze rendendole palesi. Per cui perché creare tali aree nel city core, il centro città, un luogo che dovrebbe essere aggregativo e sociale, e non fuori da esso dove si possono garantire la privacy e il confort voluti?

Per concludere: l’espressione bolla indica una dinamica in cui i prezzi non sono determinati dall’incontro tra domanda e offerta, ma da aspettative di rialzo. Le aziende immobiliari ragionano sul fatto che gli interventi debbano produrre più guadagno rispetto a prima, ma senza una reale strategia. Chi deve trovare quotidianamente risposte accessibili ai bisogni primari (come casa, reddito, salute, socialità e cultura) rischia di provocare una crisi economica peggiore di quella del 2008, rovinando gli affari degli immobiliari stessi.

Alle origini della precedente crisi c’era un forte squilibrio tra soldi che circolavano nella finanza e quelli generati dai commerci. Quando molte famiglie iniziarono ad essere in ritardo con il pagamento del mutuo, i prezzi delle case crollarono. Il risultato è stato un numero di case eccessivo rispetto alla domanda e investimenti tolti ai settori più produttivi e necessari.

Da chi arriva, ora, la domanda? Forse dagli investitori che vogliono realizzare case e non dalle persone, anche perché, a monte, sono pochi quelli che si possono permettere la casa. La bassa accessibilità agli immobili potrebbe indurre gli investitori a rivedere le loro aspettative. A volte il costo diventa talmente alto da determinare una vera e propria distorsione e sopravalutazione del mercato immobiliare. Così, ad un certo punto, accade l’inevitabile: scoppia una bolla immobiliare, toccando tutto il mercato mondiale e portando a manifestazioni popolari e crisi catastrofiche.

Bisogna distinguersi dalle immense tirannie private che esercitano il controllo schiacciante sull’economia, sui temi politici, sulla vita sociale e culturale, che intervengono pesantemente nell’economia internazionale. Con il termine “visione” si intende l’idea di una società futura che animi ciò che effettivamente siamo e facciamo, una società in cui voglia vivere qualsiasi cittadino onesto.

Laura Liyanage



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  1. LVGrazie per l'articolo così "centrato". Perché non si recuperano le caserme dismesse di via Mascheroni e p.zza Perrucchetti e non si recuperano piccole unità abitative da 40 mq da affittare a 400 € a 2 inquilini (200 € a persona) con contratti di 1 anno o pluriennali per gli studenti universitari, o giovani lavoratori in stage o inizio attività lavorativa e con contratti ventennali per persone anziane (65-85, 70-90). Ogni unità abitativa potrebbe avere in dotazione un mini orto/giardino nel cortile interno (che costituirebbe oltretutto un metodo di socializzazione molto positivo). I locali seminterrati potrebbero essere affittati per incontri, mostre, eventi...aperti alla cittadinanza o si potrebbe creare un centro di "Arti e Mestieri" dove raccogliere oggetti "dismessi" e lasciati invecchiare in cantine e restaurarli dando loro nuova vita ed allestendo un'esposizione dove venderli a metà giugno. Il ricavato potrebbe essere riutilizzato per l'acquisto di macchinari per falegnameria, telai, macchine da cucire, piante da frutta... In tal modo si consentirebbe ai quartieri di recuperare quel sano rapporto artigianale, fonte di creatività e sinergia positiva. Grazie per l'ascolto
    18 dicembre 2019 • 08:59Rispondi
  2. salvatore paliddaancora un numero eccellente! complimenti e in particolare a Laura Liyanage grazie fraterni saluti turi palidda
    18 dicembre 2019 • 16:14Rispondi
  3. GioGrazie per l'articolo. Un argomento che dovrebbe essere sulla bocca di tutti i milanesi e che invece sembra quasi un tabù, o un dogma di cui è vietato discutere.
    27 marzo 2020 • 16:24Rispondi
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