29 novembre 2019

MILANOSPORT SE È SPORTIVA VADA IN GARA

Un caso del mai risolto problema delle società "in house"


L'autore affronta uno dei tanti tormentoni della nostra politica: privatizzare o no? Dietro molte aziende “in house” si celano consistenti poteri locali che si abbandonano molto malvolontieri. Perché privarsene?

Ponti

MilanoSport è una società posseduta in toto dal Comune, con da sempre affidamento “in house”, regolato con un “contratto di programma” che risultava nel 2018 in rifacimento (il precedente era in realtà molto datato, e la società ha attraversato una rilevante crisi finanziaria, che ovviamente il Comune, cioè i milanesi, hanno dovuto sanare con un cospicuo aumento di capitale. E’ ampiamente sussidiata dal Comune sia direttamente (con un corrispettivo a pareggio intorno ai 5 milioni), che, in modo molto più consistente, indirettamente. Infatti non è richiesta dal Comune alcuna remunerazione finanziaria all’amplissimo patrimonio di immobili e aree che ha in uso.

E qui emerge un primo problema di trasparenza: il valore commerciale di questo patrimonio, che è di tutti i milanesi, dovrebbe essere accuratamente stimato, e reso pubblico, in modo da quantificare il livello implicito di sussidio dato dalla mancata remunerazione di questo capitale. Decidere l’uso sociale di alcuni beni è perfettamente legittimo, ma non toglie che i costi connessi siano resi noti. In democrazia la trasparenza dell’uso delle risorse è indispensabile, potrebbero essere decise priorità alternative, visto che il settore non è un monopolio naturale, ma solo legale (esistono una miriade di impianti privati con funzioni identiche, e sono anche in competizione tra loro).

Ma Milanosport ha obiettivi sociali perfettamente condivisibili: fornire servizi sportivi a chi non può permettersi alternative private è essenziale. Lo sport non è solo importante per la salute, è anche fattore importantissimo di integrazione sociale. E poi oggi gli impianti offrono anche bellissime aree a verde, giochi per bambini ecc.. Un dettaglio di non poco conto: i privati che offrono analoghi servizi su aree o con immobili pubblici, sembra che paghino un canone, invece di ricevere sussidi.

Il bilancio della società però apparentemente non rendiconta sull’ottenimento della sua missione principale: non è un bilancio sociale, dichiara solo di avere obiettivi sociali, e che quindi non sono tenuti a fare profitti. Ma perché non rendere conto analiticamente e temporalmente di questa “socialità”? Quanti utenti hanno servito nelle diverse attività sportive, quanti giorni di apertura degli impianti in più hanno offerto mentre i privati, che mirano al profitto, erano chiusi? (questo soprattutto nei periodi festivi, in cui a Milano restano i meno abbienti). Di quanto sono meno cari i servizi da loro offerti in quanto sussidiati, quale è il profilo sociale degli utenti, e quale il loro grado di soddisfazione? (ovviamente meglio se queste verifiche sono affidate a soggetti terzi, per evitare conflitti di interesse). I cittadini milanesi devono poter verificare se le loro risorse sono state impiegate bene per i fini sociali dichiarati.

Chi scrive ha potuto fare solo una limitatissima verifica empirica, servendosi sia di una struttura di Milanosport (il centro Cambini Fossati), che di strutture private. Il confronto però è impietoso: la struttura pubblica è chiusa molto più a lungo di quella privata, e proprio nei periodi di ferie (addirittura da fine luglio a metà settembre quest’anno!), ha tariffe superiori o uguali a quelle private, è rimasta chiuso per lavori apparentemente modesti per più di due anni senza comunicazioni degne di questo nome agli utenti.

Dopo numerosissime richieste senza risposta di spiegazioni del perché delle chiusure durante l’anno in cui la socialità del servizio è massima, ed i privati erano aperti, a chi scrive è arrivata una risposta davvero stupefacente: “Perché c’è poca domanda”. Il mondo capovolto: chi dovrebbe chiudere per poca domanda resta aperto, la struttura pubblica chiude. E l’area che serve quel centro, che comprende Viale Padova, è socialmente difficile, dove pochi hanno seconde case o vanno alle Maldive in vacanza, e dovrebbe essere massima l’attenzione per la fornitura di servizi pubblici con forti potenzialità di integrazione sociale.

Ma certo invece gli altri centri funzioneranno benissimo, smentendo clamorosamente questa frettolosa diagnosi….

Cosa ci sarebbe da perdere a mettere in gara periodica MilanoSport? Se è efficiente, vincerà lei la gara, altrimenti subentrerà un gestore, o, molto meglio, più gestori, che garantiranno per un numero definito di anni sia tariffe che qualità del servizio che giorni di apertura (ma è certo possibile definire anche altre esigenze di qualità e socialità). Il tutto stabilito con molta cura in un bando, che preveda penali e anche revoca e subentro, se le penali non bastassero. Ai privati poi costa carissima la perdita di reputazione (meno ai soggetti pubblici…), per cui ci sarebbe anche quel fattore ad incentivarli a non scontentare il cliente Comune. Se si comportano male si scordano la gara successiva.

C’è anche il rischio, se per caso l’esempio qui rappresentato non fosse isolato, che il comune invece di fare la gara tra chi chiede il minor sussidio per garantire quanto richiesto dal bando, finisca per ottenere delle “royalties”, cioè un canone positivo.

Forse son rischi da correre.

Marco Ponti



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