23 novembre 2019

ASPETTANDO UNA POLITICA AMBIENTALE SERIA

Manca un blocco sociale di riferimento


PER COMINCIARE - Cosa è stato fatto, concretamente, per ovviare ai sempre più drastici danni causati dal cambiamento climatico e aggravati dalle caratteristiche idrogeologiche della penisola italiana? Poco o nulla. Cortiana ripercorre alcuni “grandi scandali” come il MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) a Venezia, un sistema di dighe a scomparsa che dovrebbe proteggere la laguna dall’acqua alta, iniziato nel 2003 e ancora non finito, soprattutto a causa della corruzione negli appalti, e il caso ILVA, la più grande acciaieria italiana con sede a Taranto, che non rispettando le regolamentazioni ambientali ha con tutta probabilità causato un aumento della morte per cancro del 30% rispetto alla media nazionale, cui però è stato concesso di “bonificare” i propri impianti per non lasciare a casa i suoi circa 10.000 impiegati. Ad oggi, la bonifica non è ancora stata completata.

L’emergenza ambientale è acclarata, ci dobbiamo augurare che Greta e i suoi coetanei non si accontentino delle parole. Economia circolare, rigenerazione urbana, Green Economy, sono definizioni che stanno entrando nel vocabolario quotidiano. Troppo spesso vengono usate a sproposito o, peggio, la loro valenza semantica viene non considerata e svuotata, così da quietare una opinione pubblica sensibile. Una sensibilità dovuta alla ricaduta diretta nel quotidiano di ciascuno degli effetti ambientali e climatici di uno sviluppo illimitato, avido di risorse naturali ed energivoro.

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Rifiutando di essere considerati Cassandre già quarant’anni fa, come ecologisti, dicevamo che la consapevolezza ambientale era utile se frutto di una scelta di valore altrimenti, se fosse arrivata a seguito di una catastrofe più grande delle precedenti, poteva essere troppo tardi per quella che Alex Langer chiamava la ‘conversione ecologica’ necessaria.

Così in un Paese che vive l’oggi e le sue cronache senza memoria e senza prospettiva, ai capannoni dei rifiuti dati alle fiamme si succedono nei titoli e nelle polemiche strumentali l’ILVA, il MOSE e uno sciame puntuale di smottamenti e dissesti di un territorio trascurato e violentato.
Proviamo a considerare questi nodi problematici partendo dai dati e dai fatti reali, evitando così tanto le mistificazioni quanto i catastrofismi, entrambi distrazioni irresponsabili. Poi vediamo quale cogenza hanno quelle parole…

Le polveri rosse di Taranto. Se contestualizziamo l’ILVA dentro il contesto urbano di Taranto, dove nel solo quartiere Tamburi vivono 18.000 persone, e che fino al secondo dopoguerra aveva la miticoltura più importante dell’Euromediterraneo, vediamo che i parchi minerali si trovano a 170 metri dall’abitato, le cokerie a 730 metri e la recinzione ILVA è a 135 metri dalla prima casa del quartiere.

Anche in condizioni ottimali di controllo e prevenzione questo impianto presenterebbe un alto rischio per l’ambiente e la salute. Le motivazioni del rinvio a giudizio, emesso dal GIP nel 2012, dicono che i vertici aziendali avrebbero agito, dal 1995 sino al commissariamento del 2015, nel più totale spregio di qualsivoglia norma di tutela ambientale. Amministratore delegato, Presidente e Vice Presidente del CdA, Direttore dello stabilimento, avrebbero posto in essere «un’associazione per delinquere allo scopo di commettere più delitti contro la pubblica incolumità» e deliberatamente omesso di adottare le misure idonee e richieste dalla legge per la gestione dei rischi.

L’acqua alta e Venezia. Ogni ecosistema ha relazioni su più livelli, locali e globali, con ricadute dilazionate nello spazio e nel tempo. Pensare che la Laguna di Venezia sia uno spazio chiuso ed esclusivo, unico come la città che lì è stata costruita non corrisponde alle condizioni reali di questa Piccola Terra.

La questione della salvaguardia di Venezia non riguarda solo le acque alte che entrano dalla bocca di porto, ma riguarda l’eco sistema del bacino lagunare, quindi anche il fatto che le manomissioni interne, come lo scavo di canali o l’interramento di porzioni di laguna, hanno ridotto il bacino, per cui l’acqua che entra si distribuisce in uno spazio minore di prima e invade, appunto, questo minor spazio. Lì bisogna intervenire.

Il Comune, con Cacciari sindaco e gli ecologisti in Giunta, alla vigilia della decisione di realizzare il Mose, scelta fatta dal governo nazionale nel 2005, organizzò una grande mostra sulle soluzioni alternative. Ne furono presentate nove tutte meno costose, più rapide nella soluzione del problema, più semplici nel funzionamento, meno impattanti dal punto di vista strutturale rispetto al Mose. La grande vera opera, che era stata individuata e in piccole porzioni realizzata, era relativa al sollevamento del fondo della città.

Realizzata in alcuni parti di Venezia fu abbandonata per il Mose. La scelta di realizzare il Mose è stata il prodotto di una politica consociativa, pur nell’alternanza delle coalizioni nazionali e locali, al netto della corruzione che ha interessato l’opera. Il sindaco Brugnaro sosteneva questa inutile e onerosa opera sin da quando presiedeva la Confindustria, così come il Presidente Zaia quando era il vice dell’inquisito Galan. Eppure la Legge Speciale per Venezia (1973 e 1984), prevedeva interventi «graduali, sperimentali e reversibili» (l’esatto opposto del Mose).

I capannoni dei rifiuti che prendono fuoco. Gli incendi dei capannoni di stoccaggio dei rifiuti appiccati negli ultimi anni hanno dimostrato che Milano, il suo hinterland metropolitano e la Lombardia sono terra dei fuochi come il resto d’Italia. La maggior parte dei roghi sono a danno degli impianti di gestione e riciclaggio dei rifiuti fino a poco tempo fa neanche censiti. Già nel 2018 il ministro Costa condivideva questa analisi, mentre l’assessore regionale Raffaele Cattaneo e la vicesindaco del Comune di Milano Anna Scavuzzo, dopo l’ennesimo incendio di un capannone, quella volta alla Bovisasca, invitavano alla cautela. Il primo “Non siamo la terra dei fuochi. In Lombardia ci sono 30 mila impianti autorizzati al trattamento dei rifiuti e gli incendi dei siti sono inferiori ai 20 all’anno”, di rimando la seconda, rispetto alla comparazione con la Campania “Prima di fare un’affermazione del genere, è importante raccogliere tutte le informazioni utili e aspettare tutte le indagini necessarie”.

Le informazioni, così come le indagini dei magistrati, ci sono, chiare e con conferme disarmanti: la malavita organizzata si occupa della sporcizia da mettere sotto il tappeto, così controlla territorio e amministrazioni locali ed evita che queste svolgano la loro opera di controllo sul campo per le certificazioni necessarie. Del resto basti pensare al sostanziale annullamento della Polizia Provinciale, che rilevava il 70% degli illeciti ambientali, e delle GEV-Guardie Ecologiche Volontarie, prodotto dalle scelte legislative di Renzi e Del Rio, piuttosto che la riduzione dei funzionari che in Città Metropolitana si occupavano delle autorizzazioni ambientali. Con il sindaco metropolitano Sala che non fa una piega.

Intanto il ministro Costa, generale dei carabinieri forestali, avviava atti concreti, trovando interlocuzione positiva in Parlamento, come il patto d’azione per Terra dei Fuochi; la norma del Decreto Sicurezza che individua i percorsi di tutela da incendi delle piattaforme di rifiuti; la legge Terra Mia, relativa alle vicende delle Terre dei Fuochi e dei siti orfani di tutela. Con risorse inserite nel piano di stabilità, qualcosa si sta muovendo anche in risposta alla condanna della Corte di Giustizia Europea.

Ora gli impianti vengono catalogati e monitorati con controlli continui ad opera delle forze di polizia dispiegate nei territori a rischio. Inoltre, grazie all’art. 26 bis, presentato dall’on.Carlo Sibilia, inserito nel Decreto Sicurezza, questi impianti di stoccaggio dei rifiuti devono dotarsi di sistemi antincendio, vincolo che finora non era obbligatorio.

Le parole, i fatti e la lezione da trarre. Così come ogni assetto costituzionale dovrebbe essere il frutto condiviso di una consociazione trasversale, una consociazione ampia dovrebbe produrre anche i cambiamenti non rinviabili che interessano i processi e i prodotti che costituiscono i modelli sociali quotidiani, con i loro consumi e i loro costumi. La ‘tassa sulla plastica’ in sé è quantomai necessaria, ma non può essere l’espediente fiscale per sterilizzare l’aumento dell’IVA in un bilancio che ha ricadute sui risultati delle elezioni regionali contingenti.

Queste modalità non danno vita ad un blocco sociale dell’innovazione qualitativa dei diritti, dei processi produttivi, dei cicli che interessano gli elementi costitutivi del vivente.
I Grunen, in Germania decenni fa, quando hanno imposto l’uscita dal nucleare, hanno condiviso con Confindustria, Sindacati, associazioni dei consumatori, amministrazioni pubbliche, una agenda ventennale. Per ogni passo fuori da quella fonte energetica, se ne sarebbe compiuto uno verso l’alternativa.

Ciò comportava: ricerca, incentivi, regole, per la riduzione dei consumi necessari, ad esempio coibentazione e nuovi materiali per gli edifici, così per i processi industriali, insieme allo sviluppo di fonti alternative, ingegneria solare, fotovoltaico, eolico, pompe di calore. Trasporti combinati, tariffe integrate, il riuso e il riciclo…

Insomma una visione condivisa che opera le scelte di oggi in coerenza con il domani, che ci è dato in prestito dai nostri figli.

Fiorello Cortiana



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  1. Maurizio SpadaAnalisi perfetta bravo Fiorello, purtroppo in Italia i Verdi non hanno mai avuto questa visione organica, hanno sempre rincorso qualche poltrona concessa dalle giunte o dai governi di sinistra e quindi sono sempre apparsi come i dilettanti della politica e le cassandre del momento, tacitate con qualche contentino.
    28 novembre 2019 • 09:34Rispondi
    • FiorelloCortianaHai centrato la questione, un limite innanzitutto esistenziale. Il resto, il nulla, viene da sé.
      28 novembre 2019 • 18:21
  2. Carlo JacominiÈ triste assistere a tanta indifferenza, come se incendi/roghi di rifiuti e ILVA di Taranto non avessero radice comune... Abbiamo firmato nel 2001 la convenzione di Stoccolma sui POPs (inquinanti organici persistenti), a tutto il 2019 siamo ancora alla ricerca di una ratifica nella legislazione nazionale! Da condannare per Alto Tradimento TUTTI i governi dell'ultimo ventennio, sgombrare i veleni interni ed esterni al nostro Paese!
    15 dicembre 2019 • 09:46Rispondi
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