23 luglio 2019

“MEAZZA” AMARCORD E RIFLESSIONI

L’occasione per ripensare una fetta di città


Come molti altri milanesi sono stato anch’io raggiunto dal formidabile dibattito sull’eventualità di costruire un nuovo stadio o sulla possibilità di restaurare e ammodernare il vecchio “Meazza”. Per giunta abito a due passi, vivo con ansia l’inizio e la fine di ogni partita e i conseguenti blocchi – ingorghi stradali (rari ormai), posso intuire dall’intensità dei boati se è la squadra di casa ad andare in gol, devo subire soprattutto i concerti che sono il peggio dal punto di vista del frastuono e della confusione.

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Devo ammettere per giunta di osservare con meraviglia e ammirazione quei turisti stranieri che anche in giornate afose di luglio o agosto risalgono la scalinata della stazione San Siro – Stadio (metropolitana lilla) e attraversano il piazzale assolato e desolato per entrare e ammirare quello che fu un “tempio del calcio” e visitare il museo. Qualcuno mi chiede dove può trovare un bar: tristemente ammetto di non conoscerne in zona (una bugia, ne conosco uno ma non lo consiglierei a nessuno).

Dopo questa premessa, confesso di non sapere che cosa rispondere al quesito referendario, qualora un giovane giornalista mi ponesse la domanda (i nostri giornali e le nostre radio non si sono risparmiate in questo sondaggismo ruspante).

Sto all’opinione di alcuni amici esperti di calcio e non digiuni di questioni economiche, che considerano il Meazza obsoleto, da un punto di vista funzionale alle esigenze del pallone (del calcio business e del suo pubblico), e spazio sprecato da un punto di vista commerciale. Sostengono che costruirne uno nuovo costerebbe molto meno della ristrutturazione del vecchio. Sinceramente credo che uno stadio da 85 mila spettatori non abbia senso quando la frequenza media non vale neppure la metà, complice l’invadenza della televisione (ho persino sentito dire che uno stadio da 85 mila posti sarebbe più popolare di uno da sessantamila).

Il Meazza mi sembra inutilmente gigantesco, chiuso alla città, di scarso valore architettonico, sovrapposizione di tre stadi e di tre epoche (l’interesse potrebbe essere sintetizzato appunto in questa evoluzione e quindi per la memoria e le memorie che ne conseguono, per le sette coppe del Milan e per quelle dell’Inter), collocato tra un impianto ippico in abbandono e in uno slargo di raro squallore, un piano di asfalto dove l’unico prova di vita nei giorni senza campionato sono i tram che fanno capolinea e qualche coraggioso podista…

Gli ostili al cambiamento e quindi alla demolizione sostengono che la nuova impresa nasconderebbe una colossale speculazione: è possibile, ma anche questa è una sfida per chi ci governa, come scongiurare cioè colossali speculazioni, come controllare lo sviluppo della città, come concedere al privato senza compromettere l’interesse pubblico (il “privato” esiste e non lo si esorcizza con gli slogan).

Premesso questo, non sono per una strada e neppure per l’altra. Non sono abbastanza ferrato. Mi colpisce solo l’assenza dal dibattito, anche tra amministratori ed esperti, di una visione più generale, che prenda in considerazione quella straordinaria risorsa rappresentata da una fetta di territorio urbano, da piazzale Lotto e da piazzale Stuparich (fermate metropolitane rossa e lilla, circolare 90 – 91, più altri autobus di diversi percorsi) alla periferia di via Novara, fetta di territorio che sistema in fila Lido, Palazzetto dello sport, Monte Stella, impianti ippici vari, stadio di San Siro vecchio o nuovo, parco di Trenno, Bosco in città, parco delle Cave, costituendo un asse sportivo e verde, fortemente infrastrutturato e quindi accessibile, a disposizione dell’intera area metropolitana.

Qualcosa di raro e prezioso, che meriterebbe attenzione e un disegno organico per connettere e rivitalizzare i vari spazi, persino per restituire dignità a quel piazzalone intitolato ad Angelo Moratti, che mi mette angoscia solo all’idea di percorrerlo. Chiedo troppo? Posso aggiungere che questo modo di procedere e questo ridursi all’alternativa secca stadio nuovo-stadio vecchio siano un segno dei tempi, tempi assai lunghi, perché mi pare che da decenni si sia rinunciato a costruire una “idea” di città?

Quel che viene, viene … sperando che non arrivi il peggio. Non vorrei ritrovarmi con uno stadio che crolla e un altro che cresce chissà dove.

Oreste Pivetta



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  1. PaoloPunto di vista, forse non da esperto, ma pieno di buon senso. Quale idea per la città che cresce? È una buona domanda e sarebbe opportuno non lasciare ai posteri l’ardua sentenza.
    24 luglio 2019 • 07:21Rispondi
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