25 aprile 2021
25 APRILE 2021 RIFLESSIONI DI UN IMMIGRATO
Un nuovo Paese in cui credi senza dimenticare da dove vieni
25 aprile 2021
Un nuovo Paese in cui credi senza dimenticare da dove vieni
Ho partecipato al corteo del 25 Aprile a Milano tutti gli anni dal 2006. Nella ricorrenza di quest’anno provo a riflettere sul significato di questo giorno nella mia esperienza di immigrato, nel corso dei passati quindici anni. Provo a proporre alle lettrici e ai lettori di Arcipelago Milano il mio racconto, con la speranza che dia spunti di riflessione.
Un mio professore di letteratura araba del 1° anno del liceo, in Marocco, Medhi Halbas, ci insegnava che chi si propone di scrivere deve avere coraggio, deve raccontare la verità, le esperienze che consideriamo positive e quelle che consideriamo negative, ciò che nella condizione umana è grandezza e ciò che è miseria, la generosità e l’egoismo, l’abnegazione e la ferocia del dominio. Il coraggio è necessario perché raccontare la verità mette a rischio. Diceva che bisogna scrivere con parole semplici, perché in tanti casi per le espressioni complicate non passa la complessità, passa la finzione. Provo a seguire la sua lezione, che, da anni lontani mi ha accompagnato fino ad oggi.
Immigrato dal Marocco nel 2004, a 27 anni. Perché? Da una condizione difficile per la mancanza di prospettive, di lavoro, in una situazione critica che caratterizzava in particolare alcune zone del Paese, e colpiva soprattutto i giovani, io volevo mettermi in salvo. Condizione difficile può voler dire disperazione.
E’ così che ti può accadere di rinunciare a concludere il tuo iter universitario proprio quando sei giunto al compimento, a lottare per cambiare il tuo Paese, a opporti all’ingiustizia politica e sociale che colpisce la parte povera della popolazione e vasti strati del ceto medio.
Cerchi una soluzione, una via d’uscita. Ti dà sofferenza abbandonare la famiglia, la casa, le tue relazioni di affetto e di amicizia, staccarti dalle tue radici, sai che andrai incontro a nuove sofferenze, ma ti apri alla speranza di potercela fare.
Sono riuscito ad arrivare in Italia, a Milano, dove pensavo che avrei avuto maggiori possibilità di trovare un lavoro. Così è stato. Mi hanno dato un primo aiuto persone della parentela già insediate a Milano, ho avuto da loro risorse per sopravvivere, un tetto. Ho sofferto per la nuova condizione di incertezza, senza documenti, senza lavoro. Vivi diminuito nella tua dignità, perde senso la persona che sei, non sei più nessuno, sei un’esistenza che dipende dalla conquista del permesso di soggiorno, quando?, impari che soltanto la sanatoria con il suo tocco trasformerà la tua storia di irregolare in una nuova storia di uomo, quale? quando?
Nello stesso tempo ho avuto la rivelazione di un modo di essere della società italiana che ha acceso una grande luce sull’incertezza dei miei passi, ha suscitato in me ammirazione e gratitudine: le cure gratuite del Servizio Sanitario Nazionale. Ho visto la mano tesa verso di me, verso tutti. Con le parole della lingua italiana la politica mi ha detto che possiamo realizzare gli ideali della giustizia e dell’amore nel mondo dell’uomo, senza confini. Immigrato, impara! Anche in Italia puoi prendere coscienza, puoi assumere un impegno.
Via via, ho bussato alle porte: Naga, Arci, Comitati, Associazioni, ho fatto il confronto dei modi dell’accoglienza e dell’aiuto. Sono entrato in relazione con il Comitato Inquilini dei quartieri di case popolari Molise, Calvairate, Ponti, allievo della Scuola di lingua e cultura italiana. Successivamente sono stato docente della Scuola di Arabo per Bambini, un’esperienza conclusa a causa di una situazione critica nella concezione e nelle relazioni. Ho promosso la costituzione della Scuola di Arabo Ibn Baṭṭūṭa (1), di cui sono coordinatore.
La mia esperienza di impegno nel Comitato Inquilini è stata essenziale nella mia formazione in Italia. Mi ha colpito la concezione dell’impegno politico in questo Comitato, segnata da una spiritualità laica: il richiamo a cercare e a dire la verità, a riconoscere i nostri limiti, i nostri errori e le nostre miserie, a vivere “relazioni leali, di bene”, a cambiare noi stessi se vogliamo cambiare qualcosa nella società, perché ne facciamo parte. Nella lezione del mio professore del liceo, in lingua araba, e in quella del Comitato Inquilini, in lingua italiana, ho capito che possiamo parlare una stessa lingua. Dal 2019 faccio parte del “Gruppo di lavoro per le periferie – Milano”. In particolare, la nostra richiesta del Tavolo di Coordinamento Interistituzionale Partecipato per le Periferie nasce dalla conoscenza della complessità della questione delle case popolari. Uno specifico Tavolo tematico consentirebbe di prendere in esame la questione rispetto al problema dell’immigrazione, per politiche integrate. Questo strumento manca.
Che cosa è stato il mio incontro con il mondo della religiosità in Italia? Un mondo popolato di cristiani cattolici, ma qui sono molto più numerose le persone che non fanno parte di alcuna chiesa, rispetto al mondo da cui provengo, popolato da arabi che sono in grande prevalenza mussulmani. Quanti incontri con brave persone. Così chiamiamo gli italiani che non hanno una fede religiosa e vivono nel rispetto e nell’amore del prossimo: sono brave persone.
Papa Francesco, che grande guida nella Chiesa Cattolica e in tutto il mondo. Nelle sue parole e nel suo agire troviamo l’incoraggiamento a vivere bene non nel senso dell’avidità di ricchezza a costo di ingiustizia, ma nel senso del voler essere migliori nei pensieri, nei sentimenti, nei comportamenti, mettendo al primo posto ciò che è più importante. Per chi crede, ciò che è più importante è l’amore di Dio, che è amore per il prossimo. Se nei nostri paesi arabi la fede mussulmana fosse messa in pratica, non avremmo bisogno di immigrare in Europa, la società degli arabi mussulmani non sarebbe divisa fra ricchissimi e poverissimi e poveri, sarebbe una società giusta e fraterna.
L’immigrato può inserirsi in Italia nei movimenti che vogliono una società più giusta? Dall’Italia, può alzare la sua voce contro le ingiustizie imposte nel suo Paese? Quando rientra in visita nella società da cui è partito, può parlare e agire secondo la coscienza dei diritti che ha conquistato nella sua storia di immigrato?
Oggi in Marocco la situazione non è più quella dell’oppressione che abbiamo conosciuto prima della primavera araba, la monarchia costituzionale riconosce diritti, e tuttavia in vari casi le difficoltà rimangono, se i diritti provi a esercitarli. La nostra costituzione nel suo terzo articolo dice che l’Islam è la religione del Marocco. Domando: il Marocco è uno Stato fondato sull’amore per Allah e per il Profeta?
A questo punto trovo spunti di riflessione nel pensiero dei giovani che nascono in Italia da genitori immigrati, pensano e parlano in italiano, e devono fare i conti con il bene e con il male della loro origine, storia, tradizioni, conoscenza e ignoranza, usi. Riusciamo a immaginare che italiani saranno, come cambieranno la società in cui sono nati?
25 Aprile, la liberazione dal fascismo e dal nazismo e la grande Costituzione che ne è nata in Italia. Che cosa dobbiamo fare perché sia applicata in diversi articoli che affermano principi e volontà di giustizia e di pace? Un tempo partecipavo al corteo con lo striscione del Comitato Inquilini per il diritto alla casa, la bandiera tricolore, la bandiera della Palestina, ma non avevo piena coscienza del 25 Aprile. Via via ho capito meglio, più in profondo, e oggi posso dire che il 25 Aprile è la mia Festa, come lo è il 17 novembre, il Giorno dell’Indipendenza del Marocco dal colonialismo francese, proclamata nel 1956.
Concludo richiamando la lezione del prof. Halbas. Penso che dobbiamo stare attenti, italiani e immigrati, a non cadere nella superficialità di fronte alla condizione in cui ci troviamo. Penso che di fronte a questioni così grandi dobbiamo cercare di distinguere con intelligenza critica. C’è una questione gigantesca, l’immigrazione, con le sue cause, e c’è il destino di ogni persona immigrata. Esprimo la mia gratitudine alle persone che nel mondo lottano per una società più giusta, per la fraternità, la pace.
Mustapha Ouelli
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