10 giugno 2019

A MILANO, A SAN SIRO

A proposito di edilizia popolare: conversazione con Franca Caffa


La casa è un bene primario, come l’aria, l’acqua. La casa è il guscio degli esseri umani che sono nati nudi. Ma il diritto alla casa non è più un diritto da quando il territorio della città, da bene di diritto comune, è diventato di diritto privato. È storia vecchia, risale alle origini del capitalismo. Forse bisognerebbe ripartire da lì. Dunque si parla di diritto alla casa come una metafora, una pietosa bugia.

Bottero

“Mille anni fa” dice Franca Caffa, la facoltà di architettura di Milano col consiglio di Facoltà in testa ha ospitato le famiglie senza casa che avevano occupato per protesta gli alloggi popolari di alcuni stabili dello IACP ed erano state sgomberate dalla polizia. Erano quasi tutte famiglie immigrate dal meridione: una succulenta quantità di forza lavoro. Ma gli alloggi dovevano essere assegnati ad altre famiglie che ne avevano più diritto.

Ho presente quell’episodio. Ero schierata con altri numerosi colleghi e alzavo il pugno e cantavo Bandiera Rossa e passai una notte in questura. Adesso me ne vergogno un po’, ma neanche tanto: era bello, utopico.

Dopo, però, la facoltà si è rimessa in riga, le caselle del potere sono tornate al loro posto. Le famiglie sono state a poco a poco sistemate, le case assegnate secondo le liste … case migliori per i migliori inquilini, che hanno lavorato, risparmiato e se la sono anche comprata.

E Milano cresce, costruisce, metri cubi su metri cubi, che sono proprietà privata. La casa se si è poveri bisogna conquistarsela, magari con trucchi, imbrogli, connazionali contro connazionali, occupando quando non si può fare diversamente: ma lo stato dovrà sgomberare, non può andare contro il diritto di proprietà, neanche se pubblica.

Il quartiere San Siro è un po’ speciale. È stato costruito negli anni’30, quando le prime industrie milanesi richiamavano lavoratori e lavoratrici. Era un quartiere operaio modello, che funzionava a orario come la fabbrica. E nei grandi cortili si svolgeva una vita ordinata, comune, che creava solidarietà, come in fabbrica.

Oggi quell’equilibrio è andato in pezzi: negli anni ’60, quando c’era lavoro, l’immigrazione dal meridione era assimilata facilmente, poi anche le prime immigrazioni dall’Africa degli uomini, e i ricongiungimenti familiari, i bambini… ma adesso quest’ultima ondata scomposta, la mancanza di lavoro, la piccola criminalità e di conseguenza le occupazioni abusive.

Sulla mappa di Milano il quartiere continua a presentarsi con la sua geometria composta, un rombo attraversato da via ampie e alberate, sulle quali si aprono i rari ingressi alle grandi corti interne. Le strade un tempo spazio per carri e cavalli, per il trasporto di merci, per i percorsi in bicicletta da casa al lavoro, con pochi negozi, rari accessi alle case, sono oggi percorse da un traffico indifferenziato di automobili, scarsamente regolato, con gli ampi marciapiedi disordinatamente occupati dalle macchine. Le corti non sono più luogo per comunità: sono luogo di conflitti, di disordine e sporcizia, di difficile regolamentazione. O, quando ordinati e puliti, sono diventati condomini, scopriamo, insieme di alloggi in proprietà privata.

Bottero-02Allora cara Franca? Qualcosa di fondamentale andrebbe cambiato?

È forse banale dire che oggi manchino delle visioni, etiche ed estetiche. Che l’emozione dei singoli venga subito interpretata legandola a fattori materiali, a questione anche minime di denaro e proprietà. Senza sfumature. Mi ha colpito per esempio che nella cronaca del Corriere sull’episodio del bimbo di due anni ucciso dai genitori, che abitava in uno stabile degradato del quartiere San Siro, la frase iniziale fosse: ”C’è chi ha riscattato la casa dopo anni di affitto, facendo sacrifici, e la tiene bene, ne ha cura: ed è proprio chi è proprietario che ha più paura delle minacce, delle incursioni notturne, degli sguardi di sfida”.

Non è facile rimontare questa deriva. Cantare ancora Bandiera rossa. Ma forse vale la pena conoscere e far conoscere meglio le vite delle persone, misurare su queste le sopraffazioni e gli abusi. Denunciare la politica di privatizzazioni perseguita da Aler, che va vendendo via via gli alloggi nelle posizioni migliori, nelle corti più curate, in questo modo riducendo progressivamente il patrimonio pubblico, creando tensioni tra proprietari e affittuari, ammassando negli stabili più degradati i ceti più bisognosi, le etnie più difficili. Vale la pena di dire delle tremende difficoltà delle donne immigrate con due-tre-quattro bambini a destreggiarsi nelle vie sconnesse tra automobili mal posteggiate e sterco di cani, a dannarsi per ottenere il permesso di soggiorno, per avere un posto a scuola o all’asilo per i loro bambini, per la mancanza di qualsiasi spazio comune frequentabile con sicurezza – perché palestre, biblioteche, librerie, luoghi di ritrovo, opportunità per i ragazzi e le ragazze di fare teatro o arte, sono tutti a pagamento, adatti ad altri ragazzi, ad altri ceti …

Un gruppo di giovani docenti e ricercatori in rappresentanza della facoltà di architettura del Politecnico di Milano, urbanisti, antropologi, esperti di comunicazione, architetti, ha istituito nel quartiere San Siro un suo piccolissimo centro di osservazione che studia questa realtà.

Non è un nucleo combattente: svolge delle analisi, stila dei dossier propone dei momenti di ascolto, di dibattito tra quanti tentano di darsi una ragione per l’apparente ineluttabilità di ciò che avviene nel quartiere, progetta piccoli interventi migliorativi, agopunture nel tessuto che facilitino dei percorsi, che riportino bellezza in spazi trascurati, aggiungano qualche conforto urbano alla vita degli abitanti e delle abitanti; e cerca di aprire un strada di “razionalità comunicativa” (Habermas) con le istituzioni.

Siamo lontani da quel combattivo episodio milanese, dal diritto alla casa e alla città. E anche dall’utopia di quegli anni, quando il famoso architetto Cedric Price, dalle pagine della londinese Architectural Design invitava l’Università “a uscire dalle sue natiche merlate”. Diciamolo: non è e non è stato così facile abbattere certe barriere né interpretare anche concettualmente il passaggio dalle logiche e regole accademiche alle informalità e alle contraddizioni della realtà.

E se vero che da queste ultime gli studi urbani, soprattutto in Italia si sono sempre tenuti ben lontani, la presenza di questi giovani studiosi oggi qui, in presenza, come direbbero le femministe, qualche cosa vuole dire: non fosse che per l’allegria che ispirano, con le loro facce giovani e luminose. Aspettando che …

Bianca Bottero



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  1. Maurizio GiufrèCara Bianca Bottero, Cedric Price non credo che amasse così tanto l'utopia, nè oggi c'è utile rammemorare il passato delle Lotte-Per-La-Casa. Ci sarebbe da pretendere un confronto serio con Aler e Sindaco (quando su twitter non si vanta di governare una capitale europea) per capire come non lasciare soli gli studenti e professori del Politecnico ad esercitarsi sul quartiere. In altri termini quali risorse economiche sono disponibili, ora e in un triennio, per recuperare lo spazio pubblico, i blocchi e gli alloggi sopravvissuti alla vendita, quali nuovi servizi e attività è possibile aprire nel quartiere attraverso incentivi e agevolazioni, perché si sviluppino commerci e scambi sociali. Il tutto da riverberarsi al "Centro" in maniera permanente, ossia nell'Urban Center di P.zza Duomo, alla Triennale o alla Casa della Memoria, così chiunque possa conoscere tutti i giorni la vita di San Siro. Insomma come agire, e con chi, pubblicamente per dare dignità a una parte di città oltre la didattica, i gesti di solidarietà e quant'altro che saranno pure necessari, ma non spostano in avanti il da farsi se non si denuncia in modo continuativo l'abbandono e il disagio. La sfida è da lanciare alla città ricca e opulenta, quella che guarda il nuovo skyline meneghino e pensa di essere a Londra, Copenaghen o Berlino, ma non è Milano. Lo è più San Siro con la sua storia. Lei lo sa, ma forse altri se lo sono dimenticato. Ricordiamoglielo.
    12 giugno 2019 • 19:22Rispondi
  2. GIOVANNA FRANCO REPELLINIIntanto sarebbe un primo passo ristrutturare la casa sull'angolo di mar Ionio verso Segesta in condizione inammissibili per la città di Milano, fa senso solo a guardarla, tra l'altro con i balconi in cls fortemente fessurati e con i ferri esposti e arrugginiti: aspettiamo che ne caschi uno per piangere alla disgrazia?
    13 giugno 2019 • 10:20Rispondi
  3. AngelaPiazza selinunte è il centro del degrado di zona San Siro, abitata per lo più da anziani e immigrati, alcuni brave persone, altre molto meno, non mancano i soggetti con problemi psichiatrici,. Mi fermo qui, perché per parlare di convivenza civile e di aggregazione bisognerebbe fare qualcosa...ahimè nessuno se ne occupa
    13 giugno 2019 • 14:24Rispondi
  4. Andy77Leggendo il suo articolo mi viene sempre in mente Giancarlo De Carlo: l'architettura è troppo importante per lasciarla agli architetti. Infatti il villaggio Matteotti a Terni sembrava un quartiere del Nord Europa. Ora con la crisi economica ed il disinteresse tipicamente italiano delle parti comuni anche il villaggio Matteotti non se la passa bene. Penso che per San Siro, nonostante lo stadio, sia utile portare un istituto culturale sulle orme di quanto fatto dalla Fondazione Prada in zona sud Milano. Solo in questo modo, portando il bello e il valore della cultura, si può cominciare ad avere il riscatto di una zona tanto degradata. Solo portando in quel quartiere qualcosa che per Milano è importante e centrale si può far sentire gli abitanti meno ostracizzati dal centro città. Per quanto riguarda la casa tuttavia mi trova in disaccordo, la casa è un bisogno non un diritto: l'80% della popolazione italiana ha una casa di proprietà contro percentuali ben inferiori nel resto d'europa e nel mondo, neanche in Spagna hanno un tasso così alto di proprietà. Quindi emerge il vero problema ancestrale italiano: lo stato non regolamenta efficacemente gli affitti, non eroga un welfare che permetta alle famiglie di vivere in affitto in caso di difficoltà economica, non usa l'edilizia popolare per calmierare il mercato immobiliare e dulcis in fundo lo stato non doveva creare caseggiati immensi in periferia ammassandovi le fasce più deboli e bisognose. Se negli anni 60 bisognava fronteggiare un flusso migratorio imponente tale emergenza scemava negli anni 70 e bisognava secondo me mischiare le varie fasce della popolazione in modo che entrassero in contatto l'una con l'altra pagando la differenza dell'affitto di mercato. Purtroppo in un paese dove l'economia informale è sempre stata attorno al 40%, con un tasso di disonestà improponibile in altri paesi civili, è arduo che lo Stato possa sapere quanto sia l'affitto di mercato per pagare la differenza all'indigente oppure che subentri nel pagamento dell'affitto a chi ha perso il lavoro come accade in Germania.
    13 giugno 2019 • 20:29Rispondi
  5. Perosin GiovanniScusatemi l'intromissione. Ma temo che il daltonismo ci stia giocando un brutto scherzo. Ma veramente ritenete che il problema abbia ad epicentro S. Siro, in quanto in
    4 luglio 2019 • 02:15Rispondi
  6. Perosin GiovanniRiprendo la nota : in quanto quartiere di Milano? la mia esperienza mi porta alla memoria l'immagine del quartiere Case ALER di via Turati a Bollate. quartiere completamente degradato in cui ALER ha in corso almeno da un decennio un tentativo abortito di manutenzione straordinaria, abortito in quanto una manutenzione straordinaria non puo' protrarsi per oltre un decennio senza trovare una condivisibile conclusione. ed allora diventa doveroso ritornare a guardare la luna smettendo di guardare il dito. l'ALER in quanto soggetto proprietario e di gestione ha dato ampia prova di completa incapacità a svogere la sua missione la si tolga dagli impicci, siano direttamente i Comuni sul cui territorio gravita la presenza di questi immobili a provvedere alla loro manutenzione e alla loro gestione.
    4 luglio 2019 • 02:32Rispondi
  7. osvaldo rossiper sapere quale fosse in origine la zona san siro consiglierei una visita in via paolo uccello al 15 dove sono riportati i nomi dei caduti di san siro nella guerra 15-18 i discendenti con gli stessi cognomi, non tutti, abitavano ancora nella stessa via al numero 13 negli anni sessanta del secolo scorso
    9 febbraio 2024 • 10:53Rispondi
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