9 maggio 2019

LA SPAZIALITÀ MAHLERIANA E L’OTTAVA SINFONIA

Ogni esecuzione è condizionata dallo spazio fisico


Può apparire anomalo affrontare il racconto della pur fastosa rappresentazione alla Wiener Konzerthaus di Vienna dell’Ottava sinfonia di Mahler diretta da Franz Welser-Möst (recentemente ascoltato a Milano nell’Arianne und Naxos) commentando lo spazio nel quale si è svolta.

Ma forse così non è, considerando che, al contrario di tutte le sinfonie precedenti – alle quali furono dati, da Mahler o da suoi esegeti, sottotitoli che ne evocano lo spirito (Resurrezione, La Tragica, ecc.) quello dato all’Ottava – die Symphonie der Tausend (Sinfonia dei Mille) – evoca la sua “dimensione”: il numero degli esecutori ed, implicitamente, la loro dislocazione nella tridimensionalità dello spazio scenico e delle sue sonorità: un’opera per spiegare la quale il grande musicista austriaco scrisse: “Provate ad immaginare che l’Universo cominci a produrre musica ed a risuonare. Non sono più voci umane, ma pianeti e soli che ruotano”.

E dunque mai come in quest’opera lo spazio ha una sua valenza intrinseca, una necessità esecutiva dalla quale è difficile prescindere. I Wiener hanno suonato nella Grosse Halle della loro sede viennese, sul cui palcoscenico ha dovuto trovare posto il numerosissimo organico orchestrale mentre tutt’attorno al grande organo sono stati letteralmente “ammassati” gli 8 solisti, i due cori misti, il coro dei bambini e, nel finale, la terza soprano a cui è affidata l’elegia di Margherita.

SilipoDi tutt’altra dimensione fu lo spazio fu voluto da Mahler alla prima esecuzione nella Neue Musik Festhalle di Monaco il 12 settembre del 1910, immortalata dalla sbiadita fotografia che vedete qui a fianco e dalla quale emerge chiaramente l’intenzione “scenica” dell’autore-direttore.

I fortunati lettori milanesi presenti alla recente esecuzione del Requiem verdiano nella Basilica di San Marco capiranno il perché di questa mia insistente osservazione, ricordando la magica atmosferica creata dalla esecuzione e “sonorizzazione” inventata da Theodor Currentzis, di cui ha magistralmente scritto Paolo Viola su questo giornale.

A Vienna, a Welster Möst non è stato invece concesso lo spazio necessario alla straordinaria particolarità dell’Ottava, nel quale riuscire a fare emergere in modo distinto e percepibile i diversi blocchi orchestrali e vocali di volta in volta chiamati ad interloquire fra di loro, nè, tantomeno, poter contrapporre i fortissimo dei pieni strumentali con gli improvvisi pianissimo, la cui accentuata dinamica è, come noto, la cifra peculiare di tutte sinfonie mahleriane e di questa partitura in particolare. Ne è uscita un’esecuzione che qui definiremmo “viennese”, contrapponendola, idealmente, alla espressività della musicalità germanica (vedi la cifra di Petrenko e dei Berliner).

L’opera è distinta in due parti cantate, i cui testi potrebbero definirsi come l’alfa e l’omega della poetica di Mahler: il primo in latino – il Veni Creator Spiritus scritto da Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza del IX secolo – e il secondo in tedesco, che mette in musica le ultime celebri pagine del Faust di Goethe.

Nessun sinfonista dalla seconda metà dell’800 in poi, ha dato maggior importanza ed uguale pregnanza semantica al testo cantato, che in quest’opera si affianca alla tessitura musicale quasi senza interruzione dall’inizio alla fine. Nei due testi, pur diversi per lingua ed epoca, Mahler individua una continuità filosofica e spirituale, assumendoli a simboli del sentimento mistico-amoroso che chiede l’aiuto divino sia nel corso dell’esistenza che alla sua fine; il primo implora di non dover rinunciare alla vitalità della passione (“Vieni Spirito creatore, visita le nostre menti, dono dell’altissimo Padre, acqua viva, fuoco ed amore”); il secondo narra il pentimento finale dello scellerato peccatore (“O Maria, tu non negherai il tuo perdono a noi che in mezzo ai contrasti del mondo smarrimmo la retta via…”)

Silipo-02Nella nostra dilettantesca conoscenza dell’opera, più volte ascoltata nelle migliori edizioni discografiche (da Berstein ad Abbado) aspettavamo di essere travolti dall’impetuoso incipit, in cui l’energica complessità polifonica già raggiunge, dopo appena poche battute dall’inizio, il suo apice.

Ma l’esecuzione “compressa” dei Wiener ha trasformato l’intero primo tempo in un continuum quasi del tutto privo del pathos e della tensione emotiva sempre suscitate negli ascoltatori, sin da quelle contenute nelle entusiastiche testimonianze dei rappresentanti della migliore cultura europea presenti alla prima rappresentazione (da Thomas Mann a Stephen Zweig, Arnold Shönberg, Bruno Walter, ecc. ).

Completamente diverso l’esito della seconda parte, quando al fragore della prima si sostituisce un intenso ed effusivo lirismo, un susseguirsi di pezzi solistici cantati dai protagonisti del testo goethiano, contrappuntati da interventi ora melodiosi ora vivaci dell’orchestra a e dei cori.

Qui l’approccio direttoriale, le belle ed intense voci dei solisti e lo stesso spazio scenico hanno finalmente trovato modo di esprimere il loro spirito congeniale, assumendo un carattere specificamente “operistico” (nel senso proprio del melodramma belliniano e verdiano, due autori ben conosciuti ed amati da Mahler).

Ormai vicini al finale, ci ha colpito il coro degli Angeli, che affermano il principio di salvazione, essenza della pietà cristiana, il terzetto canonico delle tre Marie e l’ingresso “fuori scena” di Margherita “una poenitentium”. Infine, il crescendo giubilante del “chorus mysticus” che sale fino al fortissimo unisono di tutto l’insieme strumentale e canoro e della piena potenza dell’organo.

Pubblico commosso, avvinto e dimentico del luogo.

Andrea Silipo



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  1. Attilia GiulianiBisognava andare a sentire l'ottava di Mahler a Bregenz Il 16 e 18 maggio scorso), diretta da Kirill Petrenko! Un miracolo di precisione e spiritualità! Attilia
    29 maggio 2019 • 12:18Rispondi
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