7 aprile 2019
PIRELLINO E DINTORNI
Un forte dissenso
L’assessore Maran, a margine del successo economico dell’asta per la vendita del palazzo degli ex Uffici Tecnici comunali, spiega che adesso – un po’ com’è successo per Porta Nuova – penseremo a un masterplan complessivo per unire tutte le tessere del nuovo mosaico. Una trasformazione a tappe, che ormai includerà anche il vecchio Pirellino, che sarà ridisegnato (presto per dire se sarà abbattuto) con un concorso di progettazione internazionale.».
Un po’ troppo tardi, assessore Maran, non crede? E poi: chi vuol prendere per il naso? Per Porta Nuova non c’è stato nessun “masterplan complessivo” e Catella-Hines ha fatto il buon tempo (per sé) e il cattivo tempo (per la città) come gli è parso meglio: dai 250.000 metri cubi sulle ex Varesine (ereditati da una soccombente e controversa contesa giudiziaria con De Mico) fatti trasformare senza alcuna resistenza della Giunta Moratti-Masseroli in 80.000 metri quadri di superficie lorda di pavimento mal accatastati in torri alte 150 metri, indifferentemente terziarie o residenziali secondo convenienza del mercato immobiliare, mentre si sarebbero potuti imporre edifici a volumetrie compatte alte non più di 35-40 metri.
Le torri residenziali divenute Bosco Verticale solo per aggiungere “fuori sacco” le superfici commerciali dei megaterrazzi. I 100.000 mq di aree pubbliche venduti a Hines-Catella (Tancredi dixit nella presentazione pubblica all’Unicredit Auditorium), quando i metri quadri pubblici mancati ai 44 mq/abitanti previsti (ne sono stati realizzati solo 1/3!) sono stati fatti monetizzare a 300€/mq per tenersi edificabili aree pagate 2.000 €/mq alle proprietà fondiarie (anche quelle del Comune? Mah, non si sa !). Di che progetto pubblico sta straparlando, assessore Maran ?
Ha fatto molto bene LBG a ricordare che il Comune-immobiliarista ha venduto a Hines-Catella 100.000 mq di aree pubbliche rese edificabili (ripeto: lo disse con tutta soavità il dirigente dell’urbanistica comunale Tancredi alla presentazione del progetto Porta Nuova al Centro congressi Unicredit) a un prezzo mai reso noto (ma per le aree dei privati si parla di 2.000 €/mq) e ciò proprio mentre gli spazi pubblici realizzati passavano dai 45 mq/abitante annunciati nel piano urbanistico ai 15 mq/abitante (altrimenti non ci sarebbe stato spazio dove appoggiare gli edifici, oppure avrebbero essere alti il triplo: 600 metri proprio come a Dubai, che però è in pieno deserto e non nel cuore di una città europea!), indennizzandone la mancanza al Comune-pianificatore pubblico a soli 300 €/mq!
Anche sulla vendita fatta lo scorso anno a Catella-Coima del parcheggio pubblico comunale reso edificabile con altissima volumetria e posto accanto all’edificio dell’ex INPS che lo stesso Catella-Coima ha demolito e sta riedificando ci sarebbe molto da ridire: non sarebbe stato meglio imporre che il nuovo edificio pomposamente ribattezzato Gioia 22 dovesse dotarsi di parcheggi pubblici che il Comune gli avrebbe messo a disposizione compartecipando al valore di una quota dei nuovi volumi, senza che dovessero aggiungersene altri?
A ciascuno valutare se sia questo il comportamento corretto di un ente pubblico o piuttosto quello di un immobiliarista privato che si comporta al pari degli altri, senza alcuna cura dell’interesse pubblico a una città ordinata!
Quanto ai grattacieli: anche a voler ammettere l’opportunità di alcuni Down Town District ad altezze e densità eccezionali (e forse li abbiamo già fatti con CityLife e Porta Nuova, anche se probabilmente nei posti e nei modi sbagliati) avrebbe senso ripetere quel modello insediativo diffusamente per tutto il corpo urbano ?
A Milano è andata così con ex Fiera/CityLife (tutto il volume necessario a ripagare i 250 Milioni di € di debito imprevisto sul nuovo polo di Rho/Pero; se poi l’acquirente ti paga il doppio tanto meglio per la proprietà fondiaria, ma il volume non si ridiscute). E’ lo stesso criterio usato a Roma da Marino/Caudo per giustificare le volumetrie su ex Fiera/EUR (180 Milioni di debito della gestione su Nuova Fiera) o la scelta del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle: ti do tutta la volumetria accessoria necessaria a pagare i debiti o le opere viabilistico-ambientali in un’area che di per sé sarebbe inadatta, ma che serve a salvare l’Ente Fiera o Parnasi dal fallimento.
Ciò che viene così sacrificato alla logica del tornaconto economico-finanziario è una visione di indirizzo pubblico da parte del Comune su localizzazioni, quantità, densità e altezze degli edifici, quantità e ruolo dello spazio e dei servizi pubblici.
Occorre considerare che se la quantità edificatoria realizzabile non è determinata in base al rapporto con lo spazio pubblico che s’intende opportuno e necessario realizzare, ma viene fissata “contrattualmente” tra le parti per finalità extraurbanistiche, si possono determinare indici edificatori fondiari molto elevati che impediscono di poter scegliere tra diverse alternative tipologiche di edifici più o meno alti e obbligano, invece, ad adottare soluzioni a torri molto alte, rispetto cui le “invenzioni” progettuali di archistar anche molto fantasiosi possono fare ben poco sull’incombenza e la dissonanza dai tessuti edilizi dei quartieri circostanti, sia che i nuovi edifici li si ponga al centro dei nuovi comparti sia, ancor peggio, sui bordi a racchiudere un “cuore verde”.
Non concordo, infatti, con chi sostiene che, purché una quota almeno paritaria del plusvalore torni al Comune (vedi Roberto Camagni, Il mistero del “contributo straordinario“, 5 febbraio 2019, Arcipelago Milano), qualunque modalità e conseguente forma urbana derivante da quantità edificatorie e di spazi pubblici proposti dalla proprietà fondiario – immobiliare vada bene.
Ciò non legittima, infatti, che così si possa collocare sull’area una quantità edificatoria a piacere: se, infatti, l’Indice fondiario è molto elevato e, quindi, le altezze si raddoppiano o triplicano, l’unica soluzione praticabile è obbligatoriamente quella delle torri molto alte e ciò non certamente per scelta tipologico – progettuale di qualsivoglia pur fantasioso progettista, ma per sudditanza alle logiche dell’immobiliarismo finanziario di cui il Comune si fa compartecipe e garante.
Sergio Brenna
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