10 marzo 2019

I PETRODOLLARI E LA SCALA : IL CONFRONTO È APERTO

Le questioni che scottano


Che i rapporti fra il mondo occidentale – fra cui l’Italia – e il mondo arabo-mediorientale siano da sempre immersi in un’aura di ipocrisia e di “non-detto” è noto da tempo: a un lato la cattiva coscienza del pecunia non olet; all’altro estremo il “crociatismo”, con le moderne armi delle sanzioni e della chiusura delle frontiere. Sono due correnti alternativamente “carsiche”, influenzate dagli avvenimenti, dallo stato di salute delle nostre economie ed in ultima analisi dalle convenienze.

Spiace che ora sia la Scala ad essere coinvolta in una polemica dal forte connotato simbolico e geo-politico, dove si confrontano animosamente gli opposti schieramenti che motivano con argomenti tutt’affatto diversi la loro opposizione o la loro condizionata disponibilità. Per quanto ci riguarda, ammesso che le notizie sul negoziato in corso apparse sulla stampa siano esaurienti (e non credo lo siano…) proviamo a farci un’opinione ragionata e non emotiva.  Si può?

Le relazioni commerciali tra i due paesi sono di antica data, sin da quando l’Arabia Saudita era uno degli stati più chiusi ed assolutisti del mondo arabo, ancorato alla dottrina wahabita, rigida interpretazione sunnita della religione islamica. Oggi però la situazione è diversa: al trono è stato inopinatamente designato il giovane Mohammed Bin Salman, una rottura “rivoluzionaria” con la tradizione che ha acceso improvvisamente i riflettori sull’unico Paese del golfo rimasto sinora estraneo ad ogni vento di cambiamento.

Già nel 2016 Mohammed Bin Salman aveva presentato l’ ambizioso piano “Vision 2030” incentrato su una strategia di riduzione della dipendenza dell’economia saudita dalle gigantesche riserve fossili (270.000 milioni di barili di petrolio, al secondo posto nella classifica mondiale, dopo il Venezuela) ed allo sviluppo di settori alternativi, quali il turismo ed i servizi pubblici, fra cui l’educazione. Divenuto re, MBS avvia una politica di innovazione fatta di interventi di ogni tipo, in gran parte a noi non noti ma certamente tali da provocare inevitabili conflitti con la forte componente tradizionalista del Paese.

Ma nello scorso ottobre, per motivi ancora ignoti, il nuovo regime si macchia di un delitto efferato, l’assassinio del giornalista Jamal Kasshogi nella sede consolare di Istanbul. Il delitto, la cui responsabilità il regime non è riuscito a disconoscere, provoca un repentino cambio di clima nelle relazioni internazionali con il Paese arabo. E si susseguono, negli ultimi giorni, notizie sulle conseguenze della nuova situazione: l’agenzia americana Endeavor, che aveva ricevuto un contributo di 400 milioni di dollari per realizzare progetti di diversificazione dell’economia saudita nel settore dell’entertainment, sport, produzioni cinematografiche, etc., ha cancellato il contratto e restituito il finanziamento; stesse prese di distanza vengono attribuite ad alcuni grandi gruppi multinazionali già impegnati in progetti di cooperazione: Uber, Virgin group, Goldman Sachs, etc. Infine, la Commissione europea sta attentamente valutando l’inclusione del regno saudita nella black list dei Paesi sospettati di riciclare denaro sporco.

Per tornare all’Italia: oltre all’importazione di greggio (l’85% del nostro fabbisogno) l’Italia é presente con aziende di stato e con oltre settanta imprese private attive nelle costruzioni, nei servizi tecnici, impiantistica, metallurgia, IT, etc. Capitali sauditi pubblici e privati, appartenenti alle principali famiglie del Regno, investono in tutto il mondo, senza scelte di campo, in assets e joint ventures produttive attraverso il  fondo sovrano dell’Arabia Saudita (Saudi Arabian Monetary Authority), cassaforte del Regno e player globale dei mercati finanziari, punta ad arrivare entro il 2030 a duemila miliardi di dollari di asset gestiti direttamente o attraverso le partnership già attive con Blackstone e SoftBank.

Da tempo che non solo l’Arabia Saudita ma tutti i Paesi del Golfo usano i loro giganteschi surplus finanziari per annodare o consolidare relazioni strategiche con la comunità internazionale in una visione “integrata” del business e della politica estera. Sta quindi ai nostri Paesi e, di volta in volta, alle Istituzioni interessate, decidere se accettare ed a quali condizioni queste “interessate” profferte di partnership.

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Ma ecco il punto: qual è il nostro interesse?

Qui, ancora una volta, si scontrano due visioni del futuro dell’Occidente nel confronto-scontro con il mondo musulmano. Non se ne parla già più, ma chi non ricorda di aver letto con preoccupato timore la profezia di Houllebecq, che immagina la conquista da parte dei Fratelli Musulmani della Sorbona con i petrodollari sauditi come il primo passo per l’irresistibile musulmanizzazione della Francia? E’ questo che sta o che potrebbe accadere con il progetto Scala da parte, guarda il caso, delle stesse istituzioni finanziarie?

A nessuno è dato saperlo con certezza, sono più di mille anni che Occidente ed Islam si “confrontano”. Ma una cosa, sollevando lo sguardo e credendo nei nostri valori, vorremmo ricordare agli amministratori dell’Ente presieduto dal Sindaco Sala che si riuniranno a giorni: la Cultura europea e le sue eccellenze – fra le quali la Scala occupa un posto non secondario – sono le uniche possibili armi efficaci per contaminare, a nostra volta, le culture e le società mediorientali con i i messaggi non tanto subliminali della democrazia, della parità di genere, della pace contenuti in tanti capolavori del teatro e del melodramma.

Anche in questo caso le frontiere non vanno chiuse a priori ma occorre ben negoziare le condizioni per le reciproche aperture, sapendo che i nostri “petrodollari” sono la musica, l’arte, la cultura ed anche, si parva licet, gli sport: dal Louvre di Abu Dhabi all’Expo di Dubai ed ai Mondiali di calcio a Doha, Qatar nel 2022, ai quali l’Orchestra scaligera parteciperà, dopo aver portato la Traviata diretta da Mehta a Ryad.

Andrea Silipo



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  1. SILVIO USELLINIIl problema da risolvere, ( e non è detto che ogni problema debba avere una soluzione), é quello di ammettere ( o non ammettere) nel CDA della Scala un membro che non sia un privato, ma un ente di uno stato sovrano non italiano. Va valutato questo punto preliminarmente e in senso generale, indipendentemente dal caso specifico saudita, perché è chiaro che se tale presenza venisse in ogni caso esclusa, il problema sarebbe automaticamente risolto. Se la presenza fosse ammessa, si creerebbe un precedente a mio avviso pericoloso per l'indipendenza artistica del teatro ( perchè l'Arabia Saudita sì e, per es. la Cina no?) Personalmente io sono favorevole all'ingresso di enti privati, molto meno a quello di enti pubblici di qualsiasi origine.
    13 marzo 2019 • 12:22Rispondi
    • LuisaEnte pubblico straniero magari di cultura islamica?? No grazie. Non vorrei vedere Violetta col chador!! Su certi temi non di può essere superficiali.
      13 marzo 2019 • 16:42
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