2 febbraio 2019

1919 BOMBE IN GALLERIA VITTORIO EMANUELE

Storie di attentati a Milano


190202_Marossi-01La storia politica di Milano ha avuto costante negli anni un rapporto stretto con le bombe: gli attentati infatti hanno profondamente inciso sulla storia della città e non solo. Possiamo far risalire la stagione degli attentati a 100 anni fa, il 7 settembre 1919, infatti Bruno Filippi, anarchico livornese, muore in Galleria Vittorio Emanuele; così scrive l’Avvenire anarchico: “Un giovinetto dalla statura normale, capelli folti e nerissimi, occhi brillanti, viso completamente glabro, fu dilacerato o carbonizzato da una bomba che egli certamente voleva collocare o alla Sede del New Club o al Caffè Biffi, quartieri generali di tutta l’alta delinquenza dell’industria, del commercio, della finanza, del militarismo, del giornalismo e del lupanare dell’interventismo milanesi. Indubbiamente la bomba gli scoppiò tra le mani prima del tempo e del nostro giovanissimo e pieno di vita Bruno Filippi non rimasero che un piede e la scatola cranica, frammisti a pezzi di abiti, ma il tutto frantumato”.

L’effetto di questo attentato fu importante nell’infuocato clima del diciannovismo anche perché la bomba in galleria è l’ultima di una serie: il 29 luglio 1919 era esplosa una bomba in piazza Fontana presso la Corte d’Assise, poi vi fu una bomba presso l’abitazione dell’industriale Breda, poi una in stazione Centrale e ancora in via Bigli all’abitazione del marchese e senatore Ponti; tutte furono imputate al Filippi ed ad altri anarchici. A coordinare le indagini era il questore Gasti considerato dai fascisti “costituzionale codino con chiara tendenza al riformismo socialista” perché in realtà non gli perdonavano l’arresto di Mussolini.

Le bombe del 1919 non furono solo anarchiche ma anche fasciste. La vittoria elettorale alle elezioni del 1919 fu “festeggiata” con una bomba contro un corteo socialista che fece varie vittime, del resto il futuro duce dichiarava: “Un conto è gettare una scheda nell’urna un altro conto è gettare delle bombe a mano agli angoli delle strade, o, peggio riceverle sul grugno”. (Cipriani Avolio Una volontà: Benito Mussolini Stab. Poligrafico 1932 pag 114).

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Il Filippi attraverso quelli che potremmo chiamare suoi eredi che avevano tentato o progettato l’anno prima attentati al bar Cova, alla centrale elettrica di via Gadio, in Piazza Cavour ma anche alla sede dell’Avanti, fu marginalmente chiamato in causa anche per la bomba del 23 marzo 1921 al teatro Diana: una bomba depositata in via Mascagni esplode proprio alla ripresa del terzo atto di Mazurka Blu di Franz Lehar i morti sono 21. Pare che l’attentato fosse diretto proprio contro il questore che abitava sopra il Diana e che il risultato non fosse quello voluto o almeno così sostennero gli attentatori sconfessati dai compagni, rapidamente arrestati e poi processati (nel dopoguerra uno di questi amnistiato dal presidente De Nicola scriverà un libro di memorie). Certamente questo attentato fu fondamentale per la campagna antisocialista di Mussolini e non pochi (come spesso accade) accusarono gli anarchici, sulla base anche della facilità con cui furono identificati di essere stati “indirizzati” da forze favorevoli al fascismo. Nessuna bomba ebbe altrettanto effetto sulla vita politica nazionale neppure forse quella di Piazza Fontana del 1969.

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Ma accanto agli attentati di cui si sa quasi tutto e sui quali si sono scritti decine di libri vi sono quelli che non sortirono effetti politici eclatanti (almeno quelli pubblici) e i cui colpevoli ancora sono ignoti. Due fra tutti: le bombe in Fiera dell’aprile 1928 durante la visita di Vittorio Emanuele III e le bombe di Palazzo Marino del luglio 1980.

Vittorio Emanuele deve entrare in Fiera da Piazzale Giulio Cesare alle 9,50, è in ritardo, forse questo lo salva dall’esplosione che farà 20 morti e 40 feriti tra cui intere famiglie e bambini. Il ritardo era dovuto alle precauzioni che la polizia aveva preso dopo il ritrovamento giorni prima di bombe sia sulla ferrovia Milano-Piacenza sia nelle cantine dell’arcivescovado. Fatto mai chiarito il giorno dopo l’attentato nella caserma della milizia di via Mario Pagano un curioso incidente durante la pulizia di un fucile provoca la morte di 3 militi. Il regime accusa subito gli antifascisti dell’attentato, gli arresti sono oltre 500, fra questi anche il fratello di Ignazio Silone.

A processo andarono però solo due anarchici che furono assolti mentre due anni dopo tramite un infiltrato, Carlo del Re, si cercò fantasiosamente di attribuire la bomba alla cellula milanese di Giustizia e Libertà ed in particolare ad Umberto Ceva, che morirà suicida in carcere nella notte di Natale. Anche in questo caso gli stessi fascisti abbandonarono la pista per palese inconsistenza probatoria. Dei colpevoli non si è mai saputo più nulla ed alcuni gerarchi accreditarono la tesi che dietro le bombe ci fossero fascisti dissidenti, in particolare si fece il nome di Mario Gianpaoli il federale di Milano.

Giampaoli ex sindacalista rivoluzionario rappresentava l’anima movimentista del fascismo era tra l’altro il direttore/proprietario della rivista 1919. Rassegna della vecchia guardia fascista; sostenuto dagli arditi fascisti Giampaoli si oppone “all’imborghesimento” del regime e rompe sia con il segretario del partito a Roma sia con Arnaldo Mussolini. Licenziato ed espulso dal partito (vi rientrerà con la Repubblica Sociale) per anni fu ritenuto mestatore di una fronda anti Starace e anti Duce. Certo è che con l’attentato in Fiera il fascismo milanese, dilaniato da scandali e corruzione, sarà completamente smantellato e di fronda a Mussolini non si parlerà più; anche il comune avrà un nuovo podestà, De Capitani d’Arzago, mentre il suo predecessore Ernesto Belloni finirà al confino.

Ignoti anche gli attentatori che nella notte tra il 29 e 30 luglio 1980 alle due fecero esplodere una bomba a Palazzo Marino. Non è un giorno qualsiasi da poco è finito il consiglio comunale, Tognoli era ancora in ufficio riconfermato sindaco poche ore prima, due giorni dopo a Bologna esploderà la bomba alla stazione con 85 morti.

Si tratta di un attentato con un autobomba parcheggiata davanti al portone in piazza San Fedele. E’ una bomba concepita per fare una strage che non vi sarà solo per questione di minuti e perché l’innesco difettoso farà esplodere solo una parte dell’ordigno.

L’attentato viene rivendicato con un volantino da una sigla: “Gruppi armati per il contropotere territoriale” che non darà mai più altri segnali di vita e che viene ritenuta fin da subito un depistaggio. Curiosamente della mancata strage del 1980 non si parlerà più e da allora nessuna novità nelle indagini e nessun colpevole, come nel 1928.

Walter Marossi



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