31 gennaio 2019
I SENSI DIALOGANO, PARLANO PRELJOCAJ
Viaggio tra le arti nell’inverno di Schubert
31 gennaio 2019
Viaggio tra le arti nell’inverno di Schubert
Il viaggio comincia a poco a poco. Prima una luce su un uomo vestito di nero che si siede al pianoforte, come uno del pubblico. Si tratta di James Vaughan, alla Scala è già venuto per la «Götterdämmerung» di Wagner e non solo: su di lui un fascio di luce stabile.
Il sipario si alza e il palco è coperto di neve oscura, che continua a piovere. A tratti sembra che invece siano le foglie cadute e imbrunite dal freddo, ancora cadenti. Di spalle uomini in nero.
Uno degli uomini non fa parte del corpo di ballo: è Thomas Tatzl, un giovane basso baritono, per la prima volta alla Scala e per la prima volta ad accompagnare i danzatori. Tatzl scende verso il fascio di luce accanto a Vaughan e lì resta per la maggior parte dello spettacolo, eccetto che per n breve momento di relazione diretta con la danza. Gli altri sul palco sono i tredici danzatori della compagnia scaligera scelti da Angelin Preljocaj per la sua nuova creazione «Winterreise» [viaggio d’inverno], ispirata agli omonimi Lieder di Franz Schubert con i testi di Wilhelm Müller del 1827.
La «Winterreise» di Preljocaj mostra uno spettacolo nuovo e allo stesso tempo antico. Antico, perché il teatro totale di parole, movimento e note viene da molto lontano nel tempo e nello spazio. Il teatro, la danza e la musica in India hanno una parola sola da mille e più anni: nāṭya [teatro totale]. Il nāṭya di Preljocaj è un’esperienza unica. Lo spettatore occidentale è all’inizio confuso. Io sono confuso: che faccio? leggo i Lieder sullo schermo e ascolto le parole? o seguo solo la musica? o guardo solo la danza?
Poi finisco per fingere di essere uno spettatore dell’India antica, abituato al teatro totale, e mi lascio assorbire dal dialogo dei miei sensi e delle tre arti, tra me e tutti gli artisti. E la «Winterreise» di Preljocaj diventa uno spettacolo nuovo.
Alla prima assoluta del 24 gennaio scorso il cantante è emozionato, lo si sente dalla sua dizione dei Lieder: non è sempre nettamente comprensibile. Il pianista e la compagnia sono tesi, ma energici. Alla quarta recita del 29 gennaio sembra di essere a uno spettacolo diverso: il cantante e i danzatori sono amalgamati, fluidi e compatti; il pianista è più isolato, come se viaggiasse più in disparte. È il bello dello spettacolo dal vivo.
Gli uomini sono di spalle, le donne sono sotto la neve bruna. Le distinzioni di genere sono puramente formali: non esistono pas de deux, ma solo duetti. Infatti, tutti ballano tutto e in certi Lieder alcuni uomini indossano le gonne e danzano valzer insieme una coppia di soli uomini e una di sole donne. Lo spazio per Preljocaj non è occupato secondo ruoli fissi, ogni danzatore può prendere il posto dell’altro casualmente come l’appaiamanento delle basi del DNA, che si mescolano in infiniti anagrammi.
Come in ogni spettacolo di teatro totale indiano, c’è un momento per tutto. Un momento in cui il dialogo principale è fra le parole e le note, un altro in cui dialogano di più i movimenti e le parole. Eppure, non si perde mai di vista il triplice rapporto delle arti.
Ecco che la danza ora si fa mimetica del testo e della musica. Ogni Lied ha un suo tema e un suo percorso e la danza cerca di dare corpo alle note e alla poesia. Non è un balletto narrativo, aveva ragione Angelin Preljocaj alla conferenza stampa. Non è neanche un balletto soltanto mimetico, perché si svilirebbe la forza della coreografia. È una proiezione ortogonale dello stesso viaggio visto da angolazioni differenti.
Le figure che Preljocaj sa immaginare con i corpi hanno del sorprendente. I danzatori della Scala sono degli splendidi interpreti dell’immaginario di Preljocaj. Il corpo con lui fa quello che non sapeva di essere in grado di fare: alcuni passaggi ricordano la sua Blanche-Neige, come le lampade da pista d’atterraggio, la vorticosità di certi passaggi e l’uso del centro per fissare il corpo con rigidità non naturale.
Le uscite e le entrate degli artisti sono pensate per dare una continuità d’azione alle pause tra ogni Lied, in modo da non lasciare il vuoto, che darebbe l’impressione di una frammentazione. Il viaggio è un continuo. Verso dove?
Il viaggio comincia di notte, anzi con una buona notte, che lo straniero dà all’amata. E il viaggio termina con la notte della solitudine del vecchio con l’organetto, il Leiermann inascoltato, che accompagna l’anima dello straniero.
Lo straniero è molteplice e il suo viaggio è un viaggio corale. I passi d’insieme sono delle sequenze di ritmo e unisono; i duetti e gli assoli sono singole emozioni di uno stato d’animo complesso. Lo struggimento romantico è evidenziato coreicamente dalla muscolarità a tratti esasperata nella visualizzazione delle linee che enfatizzazano la definizione di tendini e muscoli delle gambe nude.
Della compagnia di balletto del Teatro alla Scala hanno fatto parte Christian Fagetti con la sue mani parlanti e la fluidità. Accanto a lui splendidi nei duetti Antonella Albano e Andrea Risso. Di grande impatto il duetto tra Alessandra Vassallo e Marco Messina, come quello di Eugenio Lepera e Matteo Gavazzi sul tronco. Partecipe e netta la presenza di Agnese Di Clemente, unica donna, con la chiusa nell’abbraccio – o morsa? – di un intenso Marco Agostino. Vibranti e precise Chiara Fiandra, Giulia Lunardi e Benedetta Montefiore con la decisa e scenica Stefania Ballone.
La composizione ciclica della drammaturgia ci costringe alla riflessione. Infinito è il tempo prima di vedere la luce e infinito è il tempo della notte eterna. Il contrasto tra luce e oscurità è un motivo fisso della «Winterreise» di Preljocaj. Si invertono continuamente i poli, al punto del totale rovsciamento in cui la luce dal palco abbaglia gli spettatori ed ecco, la platea diventa il palco e gli artisti il pubblico. È questo il momento di massima espressione del teatro totale di Angelin Preljocaj.
Domenico Giuseppe Muscianisi
Foto di Marco Brescia e Rudy Amisano (Teatro alla Scala). Foto 1: Andrea Risso e Christian Fagetti. Foto 2: Thomas Tatzl e i danzatori. Foto 3: Marco Messina e Alessandra Vassallo. Foto 4 e 5: gli artisti della compagnia.