25 gennaio 2019

L’ESPERIENZA MILANESE DI UN GIARDINO COMUNITARIO

Il Giardino "Lea Garofalo" (Seconda parte)


Vale la pena di mettere in risalto alcuni punti, basati su quest’esperienza spontanea e non programmata. Oggi, le società sono considerate anzitutto degli agglomerati economici, che possono funzionare sulla base di due modelli economici estremi – stato e mercato -, in pratica di una loro combinazione. Nel primo modello, le politiche sono pensate e attuate attraverso un indirizzo generale, finanziate da fondi pubblici che a loro volta sono reperiti tramite il sistema contributivo e fiscale, e riversate sulla società attraverso meccanismi redistributivi.

Il secondo modello funziona all’opposto: il consumatore è posto al centro, il suo benessere individuale viene misurato dalla quantità e dalla varietà di beni e servizi che può consumare. Le possibilità di consumo sono massimizzate, secondo gli economisti del campo, consentendo alle imprese produttrici di poter sfruttare liberamente le nuove tecnologie, la divisione del lavoro, economie di scala e la mobilità di capitale e lavoro, i cosiddetti fattori produttivi. In entrambi i casi, il fattore economico è prevalente.

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L’adozione di un modello o dell’altro non è solo l’accettazione del modello stesso, ma anche lo svilimento del modello opposto, una dinamica di tipo manicheo, dove il bene e il male sono chirurgicamente separati. Una dinamica che non considera gli altri aspetti che permettono all’uomo di sostenersi, svilupparsi e godere del vivere in comune. Ogni modello si esplica attraverso l’offerta a ben determinate aggregazioni di utenti di iniziative e servizi – dal campo sanitario a quello culturale – che, se sommati, parrebbero coprire il più di quello che uno si potrebbe aspettare, ma che, alla base, sono viziati dall’estenuante ricerca dell’efficienza.

In tal modo, oltre ad essere ghettizzata perché classificata (anziani, bambini, malati di ..), la persona risulta parcellizzata e svuotata da tutti gli aspetti non economici. La rendita – estremo del modello ‘stato’ e nonostante ci siano casi in cui ha molto senso che sia presente – non coinvolge le attività vivifiche di una persona, non le stimola e non aiuta a sviluppare la responsabilità personale. Il profitto, d’altro canto, esalta solo l’aspetto economico come se le persone fossero scevre di tutti gli aspetti morali e spirituali che invece sono parte integrante della vita umana quanto la parte economica.

Prendendo a prestito dalle considerazioni sul potere di James Hillman*, i modelli mercato e stato” sono di tipo high tech/low touch. Le comunità invece – intese come aggregazioni spontanee ma ordinate che pongano obiettivi di solidarietà morale, di lavoro e fruiscano di sostegno economico senza frutti – sono un punto di mezzo non solo importante ma vivifico, sono high touch/low tech. Qui il legante è la solidarietà e il rispetto tramite i quali diritti e doveri interagiscono sullo stesso piano: si può fruire di un bene comune e del lavoro solidale altrui ma bisogna impegnarsi a rispettare il lavoro altrui e a difendere i risultati come comuni, di tutti e quindi di nessuno preso singolarmente.

Comunità di questo tipo sono caratterizzate dal servizio, inteso come quello che si offre, il contatto, non l’efficienza: la proprietà non è importante, può essere privata o pubblica, ma la gestione, il servizio offerto è di chi e per chi partecipa alla comunità, che è aperta. Tolleranza e istruzione sono mezzi importanti per lo sviluppo della comunità. Essa mira alla manutenzione e non alla crescita (che può essere un risultato a latere ma non un fattore misurato per sviluppare il servizio). Al centro degli interessi non c’è il profitto, bensì il lavoro, che permette sì l’esercizio di un diritto fondamentale ma anche la responsabilità di un dovere.

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Un siffatto agglomerato sociale non è e non vuole essere alternativo ai meccanismi sociali basati sul concetto di homo oeconomicus, ma complementare. Questi servono a mobilitare e controllare le risorse economiche, le prime mirano a sostenere risorse, anche inconsapevoli, della persona. La società umana ha bisogno di ordine economico ma anche di sviluppo morale e spirituale e che non si misura solo con i parametri economici. Le comunità, high touch/low tech e con il loro precipuo meccanismo di finanziamento – un misto di solidarietà, mecenatismo e ma soprattutto il lavoro di tutti – offrono un punto di sostegno ai membri e allo stesso tempo di sviluppo su aspetti personali e problematiche sociali dove un meccanismo brutale come il libero mercato rimane cieco e lo stato-mamma non produce responsabilità personale, entrambi debilitando la società e avvilendone i partecipanti.

Martino Dolfini
* J Hillman, Kinds of power, 1995 (trad. it. Il potere, Rizzoli, 2002)



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  1. AndreaViviamo purtroppo in un mondo ormai imbarbarito e portato all'estremo da un modello economico disumanizzante. Si ha ormai una contrapposizione fra ciò che ha valore economico e ciò che non lo ha, e quindi deve assolutamente in qualche modo monetizzato. Per contro chi si sente tagliato fuori da questo sistema si aggrappa ad un modello alternativo che neghi il concetto mercantilistico e lo tuteli. Si può arrivare ad un modello in cui entrambe i modelli non solo coesistano ma anche cooperino realmente, tuttavia questo richiede un forte concetto di cittadinanza. Un cittadino ha non solo dei diritti ma anche dei doveri,; è pensabile questo in Italia dove la stragrande maggioranza delle persone pensa solo allo stato come un usurpatore da fregare/mungere come una vacca? Pur avendo ragioni storiche e profonde questo attaggiamento da parte degli italiani non garantisce alcun cambiamento strutturale. I risultati elettorali degli ultimi 20 anni sono sotto gli occhi di tutti. L'unica speranza arriva dagli immigrati che, per esperienza lavorativa, hanno mediamente un senso civico e di cittadinanza superiore al nostro.
    13 febbraio 2019 • 19:35Rispondi
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