5 gennaio 2019

GIAN DAULI L’INNOVATORE DIMENTICATO

Scrittore e editore troppo avanti con i tempi


Mussolini è morto; ma il fascismo non è non può essere morto con lui e costituisce un pericolo una minaccia viva e perenne per la rinascita della nazione… Quando dico fascismo non intendo quello, diremo così ufficiale, organizzato che evidentemente non è più da prendere sul serio e da temere: intendo la mentalità fascista, il costume fascista, una parte delle idee fasciste o per lo meno tutti quei residui che si sono depositati nel cervello e nell’animo di molti… il fondaccio melmoso dell’alluvione che per vent’anni ha sommerso la vita italiana…non si ripulisce la botte, non si disperde il tanfo con il buttar via il vino guasto: occorre raschiare e raschiare insistentemente la gromma… Bisogna sradicare dall’animo di molti, di tanti la tentazione di pronunciare parole come queste: però quando c’era il fascismo… Mussolini è stato vittima di quelli che lo circondavano … Scriverò una specie di biografia un libro che dimostri che Mussolini tutto sapeva e tutto approvava.”

190105_MarossiNacque così la prima biografia postbellica del duce: “Mussolini l’uomo, l’avventuriero il criminale” (editore Lucchi), diciamo un racconto de feliciano ante litteram, ma l’autore non poté gioirne: era morto, infatti, il 29 dicembre 1945, poco prima dell’uscita del libro che fu immediatamente dimenticato.

 

L’autore era Giuseppe Ugo Virginio Quarto Nalato, più noto con lo pseudonimo Gian Dauli, nato a Padova nel 1884, vissuto per alcuni anni in Inghilterra dove ebbe modo (Treccani dixit) di conoscere William Butler Yeats, Israel Zangwill, John Galsworthy, George Bernard Shaw e di aderire a quel socialismo umanitario e positivista che caratterizzò gran parte della sua vita e a Roma dove Fondò il Mundus echo international, un giornale per l’informazione dei residenti stranieri, il settimanale The Roman herald, la rivista The Roman review, il settimanale di spettacoli Il Tirso e la rivista Lirica e dove iniziò a editare libri con l’acquisita la Tipografia Cromo stampando Anton Giulio Bragaglia, Antonio Baldini, Emilio Cecchi, Ercole Morselli, dal 1915 fondamentalmente milanese.

A Milano creò la rivista di informazione editoriale Il Corriere del libro, fondò la casa di produzione cinematografica La Lampada (dei tre film prodotti non resta traccia) e pubblicò i primi romanzi, Perdizione (1920), L’ultimo dei Gastaldon (1921) ma sopratutto fu editore con la E maiuscola.

Interventista, socialista “bissolatiano”, intervenne alla famosa serata del comizio negato della Scala esattamente 100 anni fa, Dauli fu scrittore di libri per l’infanzia (Frescolino, Zio FloFlò), di romanzi d’appendice (Fra’ Diavolo, Rasputin, La grande Caterina, Le sei mogli di Enrico VIII), di romanzi sentimentali (Ricostruire la vita, Giulietta e Romeo), di biografie di regime (unica scivolata verso il fascismo, con lo pseudonimo di Ugo Caimpenta), di parapornografia (Perdizione, dove la figura del cardinale gay contribuì non poco alla proibizione censoria dei suoi volumi da parte del regime); ma anche di testi che meritarono traduzioni ed ebbero successo all’estero come La Rua candidato al Premio Viareggio, il cui titolo allude a un’antica festa popolare di Vicenza, duro atto di condanna della borghesia vicentina che nel luglio 1933 venne sottoposto a sequestro o la Cabala Bianca riscoperta in anni recenti da Franco Maria Ricci. L’eclettismo era la sua cifra, ma alcuni romanzi meritano certamente molto di più che qualche nota a piè di pagina nelle antologie e difatti il suo nome è più noto all’estero che in Italia.

Fu editore a volte proprietario, a volte socio, a volte direttore dai mille volti tra fallimenti (tanti) e rifondazioni. Direttore della casa editrice La Modernissima, della Dall’Oglio del socialista e antifascista Enrico che lo salvò dalla miseria, delle edizioni Lucchi; fondatore della casa editrice Delta, della Dauliana, socio della casa editrice Aurora, dell’agenzia editoriale la T.I.L.A. (The International Literary Agency), consulente di altri editori (Bietti, Stock, Lucerna, Casa del Libro, SALEI, Amatrix), fondatore di premi letterari e riviste, l’elenco delle sue collaborazioni (a volte solo presunte) è sterminato, come sterminata è la sua corrispondenza. Non poche volte alcune sue collane o pubblicazioni erano in diretta concorrenza con altre sempre di sua ispirazione.

Gran parte dei titoli da lui scelti lo vedevano anche come traduttore nella cui veste collaborò con millanta case editrici tra cui Sonzogno e Alpes (L’innocenza di Padre Brown).

La sua creatura migliore fu nel 1929 la collana “Scrittori di tutto il mondo” dove in 5.000 o 10.000 copie, pubblicò romanzi di Georges Bernanos, Louis-Ferdinand Céline, John Dos Passos, Thomas Mann, Arthur Schnitzler, Thornton Wilder, Feuchtwanger, che fu salvata dal fallimento da Dall’Oglio con cui Nalato collaborò non solo come direttore di collana ma anche come autore.

Ben prima degli idolatrati Vittorini e Pavese, introduce in Italia, dove i bestseller USA erano Harriet Beecher Stowe o Luise Alcott, gli autori americani contemporanei e si devono a lui i primi autori neri americani (Ritorno ad Harlem di Claude McKay), autori ebrei americani (Michael Gold, Ludwig Lewisohn). Ma pubblica anche autori austriaci, tedeschi, spagnoli (Vincente Blasco Ibáñez) e la prima letteratura esplicitamente lesbica con il Pozzo della solitudine della britannica Radclyffe Hall.

Che dire poi delle prime edizioni italiane di Edgard Wallace o dei memorabili successi di vendita di Michele Zevaco (Il ponte dei sospiri), certo il passo da Celine a Zevaco la dice lunga sul cosmopolitismo culturale di Dauli e certo nell’edizione completa di Jack London né quella di Donn Byrne ebbero successo ma nell’Italietta piccolo borghese di regime Nalato è un irregolare, un innovatore, un visionario, che spazia dalla grande letteratura alla più becera appendice, un diffusore di letteratura.

Geniale, ancorché commercialmente fallimentare, la sua scelta di titoli ma geniale e innovativa la sua idea di distribuzione del libro, fu, infatti, l’inventore, come scrive Mario Marchetti (devo a lui buona parte delle informazioni qui riportate) “di una politica di diffusione popolare di libri a prezzi stracciati e da pioniere di metodi propri dell’industria editoriale moderna che gli attira la disistima dei letterati e l’ostilità dei sopracciò, a cominciare dai gerarchi della Federazione fascista degli editori. Tanto bastò a isolarlo in quegli anni e a farne, inviso sia agli antifascisti sia ai nostalgici, un dimenticato dopo la morte”.

Nalato non si faceva scrupoli di pubblicare testi d’appendice: “Pubblicando della robuccia e sia pure della robaccia, non posso far male che al mio nome e alla mia popolarità: ben altrimenti mi danneggerei se mentissi a me stesso, ai miei convincimenti, alla mia fede nella dignità umana: avrei vergogna di guardarmi allo specchio”.

Fu tra gli inventori della diffusione extralibraria “sulle bancarelle agli angoli delle strade, e nelle fiere e nei mercati, nelle stazioni”, di cui si compiaceva: “Sono esultante, o vecchio romanzo, caro al mio cuore più di ogni altro, che tu esca dal chiuso delle librerie all’aria aperta, per le strade che amo tanto! … Con quale profonda emozione ti penserò, o mio libro, tra le mani dell’operaio, del piccolo impiegato, della ragazza modesta e operosa!”.

Con la collezione Delta, affermava Dàuli nella quarta di copertina della collana: “Grazie ad un’organizzazione speciale e prettamente moderna, abbiamo potuto offrire libri normalmente editi da altre Case a otto, dodici, ed anche quindici lire la copia, al prezzo quasi inverosimile di lire Due; e questa è la grande battaglia combattuta fattivamente da Delta per la diffusione del libro e della sana cultura in Italia. Si è infatti purtroppo constatato che quasi sempre le traduzioni di libri stranieri vengono condotte con criteri di assoluta speculazione, mutilando i testi, interpretandoli con arbitrio, al solo scopo – spendendo poco e vendendo caro – di lucrare il più possibile. […] Delta si rivolge a tutto il pubblico dei lettori italiani, senza distinzione; non si tratta di un’edizione popolare, nel senso comune e volgare che si è venuto attribuendo a questo aggettivo; ma di un’opera feconda di divulgazione, condotta col criterio di porre anche l’intellettuale più diseredato, nelle condizioni di procurarsi agevolmente squisite soddisfazioni spirituali.”. Spesso girava per l’Italia cercando a fiere e congressi di piazzare i suoi libri, non disdegnando, come ricorda Patrizia Caccia il conto deposito presso i barbieri.

Il regime tra interventi censori e sequestri lo perseguitò più per la sua anomalia culturale, per il suo essere uno sprovincializzatore della letteratura che per un militante impegno politico. Costretto a un confino volontario, in fuga dai repubblichini si rifugiò prima a Tremezzo, ma il podestà lo scacciò poi a Lezzeno nel comasco, sempre progettando collane e edizioni per quegli editori che invece il successo economico lo avevano raggiunto.

“Straniero in patria” è il titolo di un articolo su Dauli di Stefano Ebert che scrive: “Fu un caposcuola della cultura popolare diffusa dalle bancarelle, come lo descrisse in un articolo nel 1989 lo scrittore lombardo ed editore Alberto Vigevani, … fu il più vivo, informato, vulcanico editore italiano degli anni che vanno da prima della Grande Guerra alla fine dell’ultima”; la cui competenza era tale, a detta di Valentino Bompiani, che metteva soggezione: “Sapeva tutto e mi intimidiva”.

Dimenticato come scrittore, dimenticato come editore, dimenticato come innovatore, dimenticato come antifascista, oggi forse la Milano capitale dell’editoria orgogliosa dei suoi Bookcity e Book pride dovrebbe a questo geniale dilettante non dico una strada ma almeno uno straccio di ricordo.

Walter Marossi



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  1. Giampaolo MercanzinMolto, molto interessante. Da padovano non ne avevo mai sentito parlare.
    9 gennaio 2019 • 10:26Rispondi
  2. Melchiorre GerbinoSarebbe più esaustivo che quando si propone un personaggio, non importa di che genere, vuoi sportivo, letterario, mercenario, si compilasse anche quella sezione che in Wikipedia viene definita "Early life", per inquadrare meglio il personaggio stesso, andando un po' al suo albero genealogico, mostrando quale educazione egli abbia ricevuto, a quale fede religiosa sia stato iniziato etc. etc. e non tirarlo fuori da una scatola cinese, come Walter Marossi ha fatto con Gian Dauli
    10 gennaio 2019 • 10:09Rispondi
    • Luca Beltrami GadolaLe informazioni che lei richiede l'autore normalmente non le possiede o ritiene che fornirle non sia indispensabile alla comprensione del testo o siano eventualmente in contrasto con le norme sulla riservatezza dei dati personali.
      10 gennaio 2019 • 11:04
  3. gianni marosteganmolto interessante, ma che fare x farlo sapere? c'è qualcuno che lo divulga? ha spazio? qualche idea premonitrice e o contingente o attuale? mi piace molto . grazie
    12 gennaio 2019 • 17:43Rispondi
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