3 dicembre 2018

LA CICLABILITÀ MILANESE È MALATA

Tre possibili cure per una rapida guarigione


I tecnici comunali soffrono di terrore normativo – giudiziario in caso di incidente. Si tutelano con la sovrabbondanza di segnali, con soluzioni rigorosamente aderenti a norme pensate per le strade extraurbane, e l’assenza di ogni innovazione, autonomia, e possibile aggiornamento interpretativo. Appena possibile piste in struttura. Il conseguente aumento dei costi di ogni opera comporta ogni vantaggio: minore estensione del realizzato significa meno impegno progettuale e meno responsabilità. Più costi sono invece più potere di chi li gestisce.

181201_Bacigalupo-01Sono trascurate le reali esigenze del ciclista: continuità della sicurezza e della velocità. Si fa invece piccolo, bello, non importa se con ostacoli e curve strette, la regola generale è il non finito, ed il collaudo (evidentemente pedonale) licenzia nuove piste incredibili, col fondo ondulato.

Sommate a quelle progettuali – esecutive si aggiungono storture progettuali strategiche poiché AMAT, che realizza la pianificazione di lungo termine della mobilità per il Comune, e quindi decide il disegno della rete ciclabile inserita nel PUMS (Piano urbano della mobilità sostenibile), non definisce il tipo di intervento prevedibile (pista, corsia, zona 30): un operato astratto sottratto ad ogni valutazione di priorità, opportunità, e soprattutto sostenibilità del costo totale. Il risultato è che nel mare dell’incompiuto l’assessore in carica sceglie alcuni interventi (equità: in ogni zona!) ed aggiunge alla rete esistente parti marginali, integrate o meno all’esistente in quel disegno che si completerà in 30 anni, senza vergognarsi di nulla, perché sta eseguendo il PUMS.

Spazientite dall’inconcludenza le associazioni ambientali cittadine spesso preferiscono le posizioni ideologico politiche allo studio faticoso e puntuale del possibile, ed esprimono facili soluzioni massimaliste (via le auto, via i parcheggi), con la bici arma utile a raggiungere i risultati desiderati. Pochi o pochissimi cercano una strategia compatibile con le risorse reali, e la grave urgenza di una soluzione. Questa mi sembra evidente ed univoca, se basata prima sul massimo risultato col minimo costo, e solo successivamente nella rifinitura con le parti più costose. Bisogna quindi:

  1. Dilagare con zone 30 contigue in tutta la viabilità minore, operando a bassissimo costo con la sola segnaletica. Per rallentare la velocità, il mantra che chiede cantieri, costi e produce l’inazione, basta usare la sosta. Disegnando di notte soste a spinapesce per ottenere carreggiate ridotte, chicane e strettoie accentuate: i parcheggi aumentano o liberano spazio pubblico, e mentre i ciclisti locali crescono perché a questa scala movimenti e commissioni in bici sono comodissimi, chi si sposta più lontano, fa chilometri di zona in zona 30.
  2. Inserire corsie in segnaletica orizzontale nelle strade medie meno trafficate o sui marciapiedi molto larghi. Destinare a priorità ciclistica in ZTL strade già in zona 30 protette anche da stop laterali. Queste, essendo prive di semafori possono essere le parti più veloci e sicure della rete, permettendo ai ciclisti di tenere il centro della carreggiata: qui hanno la priorità. Il provvedimento richiede di eliminare i sensi unici contrapposti ora usati per evitare l’uso delle strade locali alternativo alle principali. Ma domani, quando ci sono i ciclisti le auto si accodano, se non ci sono devono comunque andare molto piano. Nella ciclabilità i vecchi sensi unici contrapposti (senza limite a 30) sono un ostacolo illogico, da sostituire sempre col limite a 30.
  3. Costruire le piste indispensabili nella viabilità principale e proteggere ovunque i punti pericolosi posando cordoli prefabbricati in carreggiata, a basso costo, velocemente, senza un vero cantiere, e senza modificare lo smaltimento delle acque piovane. Meno belli del granito massiccio ma efficaci. La ciclabilità e le zone 30 sono state male intese come una occasione di riqualificazione estetica dello spazio pubblico agendo con dettagli costosi di pavimentazioni e bordure ma inficiando con alti costi estensione e risultati. La vecchia, sobria città e si riqualifica con nuovi contenuti reali e migliore qualità della vita, e la ciclabilità, la pedonalità, le piantumazioni, i parchi sono i nuovi, urgenti obiettivi da raggiungere in estensione, assolutamente conflittuali con l’attuale insistenza a fare gioielleria locale.

Questo insieme di provvedimenti organizzati in relazione alla rete ciclabile esistente valida o restaurabile garantirebbe a Milano una rete completa in una decina di anni, in tempi significativi per la sfida climatica ed ambientale. Collocata prevalentemente nella viabilità minore, nei parchi e nelle strade meno tossiche garantirebbe la massima sicurezza con enormi vantaggi funzionali, ambientali, sanitari ed il minimo conflitto col mondo automobilistico. Trattandosi di una rete ricavata in strade non notissime andrebbe ben segnalata, e con la conoscenza favorirebbe anche il rilancio economico ed ambientale delle zone interessate.

Claudio Bacigalupo

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  1. hugo jan bassicondivido ogni parola, giudizi ed idee di C.B. un esempio di follia viabilistica ed economica, che ho scoperto nelle giornate di presentazione dei progetti nelle ZONE è la prosecuzione della pista ciclabile in sede propria da piazza Buonarroti a Conciliazione per via Giotto -Pagano (incrocio riconosciuto "difficile" dai tecnici comunali !) - G. d' Arezzo ( percorso di grande traffico, che diverrà così ancor più congestionato, quindi inquinante), sostanzialmente parallela a quella esistente ( Amendola - piazza G. Cesare, via Panzini - parco Vergani - via A. da Giussano), in stato di grave abbandono, piena di punti pericolosi, ma che potrebbe essere facilmente corretta e risistemata con i criteri indicati nell'articolo di C.B. ing. HJBassi.
    5 dicembre 2018 • 10:51Rispondi
  2. Giorgio OrigliaIl crescere esponenziale di veicoli a una, due, tre ruote, a trazione umana o elettrica (tali sono le bici ma anche i monopattini elettrici che presto si diffonderanno), crea una folla eterogenea di viandanti del 3° tipo, veloci e ubiqui, che impone una revisione totale del tradizionale dualismo viabilistico (pedoni da una parte e automobili dall'altra), e che va ben però oltre la creazione di piste ciclabili. Infatti nessuno si illude che aumentando le piste ciclabili i viandanti del 3° tipo la smetteranno di sfrecciare zigzagando sui marciapiedi o tagliando incroci incuranti di persone, auto e semafori. La rivoluzione deve essere totale, creando spazi appositi per tutti i tipi di viabilità ma anche imponendo regole rigide per il loro uso, sanzionando le infrazioni.
    9 dicembre 2018 • 19:02Rispondi
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