23 ottobre 2018

ALLA SCALA IL BOL’ŠOJ CHE RIVALUTA GAMZATTI


L’immaginario occidentale dell’Oriente da molti secoli prevede sale di lussuosi palazzi attraversate da eunuchi intriganti, schiavi compiacenti, malvage principesse, seducenti danzatrici esotiche, sovrani e sacerdoti senza scrupoli.

Questa sintesi rimanda sicuramente all’opera Turandot di Giacomo Puccini, alle novelle delle Mille e una notte, al balletto La Bayadère di Marius Petipa e Ludwig Minkus e alla Schéhérazade di Michail Fokin e Nikolaj Rimskij-Korsakov.

Lo scorso 8 settembre è andata in scena la recita della Bayadère del Balletto del Teatro Bol’šoj di Mosca in tournée al Teatro alla Scala di Milano, evento che non si ripeteva da decenni. I protagonisti sono Ol’ga Smirnova (Nikiya, la baiadera) e Semën Čudin (il principe Solor) con la prima solista Margarita Šrainer (la principessa Gamzatti), Aleksej Loparevič (il rājā Dugmanta), Aleksandr Fadeečev (il gran bramino) e la compagnia del Bol’šoj.

Ma chi e che cosa è una baiadera? che cosa rende differente la Bayadère di Jurij Grigorovič dalle versioni di Natal’ja Makarova e di Rudol’f Nureev?

Con la parola francese bayadère si designa la danzatrice del tempio indiano e la parola deriva dal portoghese bailadeira che vuol semplicemente dire ‘danzatrice’. In antico indiano, in sanscrito, le baidere sono chiamate devadāsī, cioè ‘le ragazze che sono consacrate alla divinità’. Infatti, i riti della religione indiana prevedono cerimonie con canti e danze e nei tempi pù remoti anche qualcosa che somiglia alla prostituzione sacra. Per questo motivo, oggigiorno le danzatrici sono rispettate per il loro ‘mestiere’ di salvaguardia del patrimonio tradizionale e della antica cultura indiana, ma allo stesso tempo emarginate e considerate donne al limite della moralità, stesso situazione si evince per le geisha del Giappone.

Essendo una ragazza consacrata alla divinità, Nikiya non può amare alcun uomo. Ma lei ama. È sacrilega, come è sacrilego il gran bramino che la desidera e si dichiara. Questa è la trama iniziale, ma seguendo fedelmente l’ideologia sovietica, Grigorovič elimina tutto l’aspetto religioso e metafisico, perché non c’è niente al di là della morte fisica. Tutto resta umano, profondamente umano. L’idolo d’oro (di bronzo nella tradizione del Bol’šoj) non è il padrone del tempio, deus ex machina che risolve la situazione ormai precipitata (versione Makarova), ma diventa un’attrazione danzata durante i festeggiamenti per il fidanzamento di Solor e Gamzatti, così come tutte le danza di carattere: la danza di Manu con la giara e la danza dei tamburi.

La danza di carattere è una firma, un ‘sigillo’, di Grigorovič, perché queste danze provengono dalla tradizione popolare, che è l’elemento maggiormente esaltato dall’ideologia comunista, infatti nelle sue versioni coreografiche il carattere assume primaria importanza, come nel Lago dei cigni, La figlia del faraone, Raymonda, Lo schiaccianoci, Ivan il Terribile, per citare solo alcuni dei principali titoli del repertorio del Teatro Bol’šoj.

Da un punto di vista drammaturgico Grigorovič fa un’analisi più profonda della psicologia dei personaggi della sua Bayadère: non c’è il bipolarismo manicheo dei personaggi del sommo bene (Nikiya, Solor e il fachiro Magdaveya) contro quelli del sommo male (il gran bramino, il rājā e la figlia Gamzatti).

Ognuno di loro ha una componente buona e peccatrice in sé. Nikiya ama sinceramente Solor, ma è una danzatrice consacrata, cerca per altro di uccidere Gamzatti e la accusa di aver inserito il serpente velenoso nel cestino dei fiori. Solor sa che il suo vero amore è Nikiya, ma non appena vede Gamzatti ne resta abbagliato dalla bellezza e ‘si dimentica’ di Nikiya. Gamzatti si innamora sinceramente di Solor, lotta per il suo sogno romantico, ma quando viene accusata da Nikiya, scappa dalla sua festa di fidanzamento in lacrime, dimostrando di non essere a conoscenza del piano di suo padre. Il rājā Dugmanta fa il suo ruolo: il re, anche con arroganza e con mancanza di scrupoli, pur decidendo di uccidere la baiadera. Il gran bramino è orgoglioso, consapevole della sua sacrilega passione per Nikiya, causa involontariamente la sua rovina, ma le offre spassionatamente un antidoto che lei rifiuta.

Sembra che Grigorovič abbia progettato la sua Bayadère per mettere alla prova la compagnia del Bol’šoj in un balletto complesso dal punto di vista sia tecnico sia drammaturgico. Proprio per questo a Milano la compagnia del Balletto del Bol’šoj ha ottenuto un successo strepitoso.

Ol’ga Smirnova è la Nikiya perfetta, le linee lunghissime delle sue braccia sembrano toccare l’infinito con le dita. Mostra una rotazione infinita di tutte le parti della gamba, dando l’impressione e la convinzione di un grande senso del controllo, di equilibrio e di sospensione. Il dolore interiore di Nikiya traspare grazie al suo calibrato e musicale stretching del corpo, ma allo stesso tempo la gioia del personaggio nel cortile antistante il tempio con Solor traspare dalla velocità di basso gamba, dalle punte solide e dal sorriso delicato.

Il principe Solor è la perfetta controparte fisica di Smirnova, Semën Čudin con le sue lunghe gambe e la sua tecnica allo stesso tempo morbida e forte. Le sue variazioni sono estremamente eleganti, eseguite e interpretate sembrano quasi ‘facili’ e alla portata di tutti. Partner da ormai molte stagioni, Čudin e Smirnova hanno una grande intesa sul palco. Čudin è un partner sicuro e affidabile e un bravo attore: interpreta con sincerità la debolezza di Solor di fronte alla risolutezza del rājā.

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Gamzatti, il cui nome nasconde l’espressione sanscrita gama-śakti– ‘potenza che avanza’, è interpretata dalla prima solista Margarita Šrainer. Ha presenza scenica e tecnica solida, ma deve ancora maturare e personalizzare tutti i differenti aspetti psicologici del ruolo. Lo stesso per il debuttante Denis Zacharov nel idolo di bronzo: non possiede ancora l’eccezionale virtuosismo che ci si aspetta dai russi della compagnia per questo ruolo, ma ne possiede tutti i numeri e il physique du rôle.

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La parola bol’šoj in russo significa ‘grande’, infatti il Teatro Bol’šoj ha uno dei palcoscenici più grandi in larghezza del mondo. Il Teatro alla Scala è il classico teatro d’opera all’italiana, con il palco molto profondo, ma non adeguatamente largo per la coreografia russa. Tutte le danze del corpo di ballo appaiono come ‘compresse’, nonostante la musicalità e la realizzazione perfetta del pas de jampe, del pas d’action e dell’adagio delle ombre si mostrano in tutto il loro splendore.

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Le ombre scendono dall’Himalaya in una processione altamente ritmata di arabesque. Scendendo lungo la pedana le ombre fanno prima arabesque, mentre sul palco le file alterano prima e quarta arabesque in una sequenza di arabesque e temps liés en arrière. La stessa sequenza è svolta da Nikiya durante la cerimonia di fidanzamento tra Solor e Gamzatti nell’atto II come a prefigurare la sua morte e il suo divenire ombra. Le artiste del Bol’šoj sono un perfetto esempio di ‘corpo (unico) di ballo composto da (trentadue) corpi che ballano’: perfezione e purezza sono le parole d’ordine.

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Una lode speciale meritano le ombre soliste nº1 Dar’ja Bočkova e nº2 Dar’ja Chochlova per l’energia, la forza, la cura del dettaglio nell’eseguire le due variazioni veloci e tecnicissime dell’atto III. La prima solista Anna Tichomirova, che ha illuminato il palco del Bol’šoj da molte stagioni con la sua notevole capacità per i ruoli e le danze di carattere, assieme a due allieve della scuola di ballo dell’Accademia Teatro alla Scala interpreta la danza della giara (Manu) con spirito e si distingue per la sua personalità altamente riconoscibile.

Domenico Giuseppe Muscianisi

 

Foto di Damir Yusupov (Teatro Bol’šoj) per concessione del Teatro alla Scala di Milano: 1. Ol’ga Smirnova (Nikiya), atto I; 2. Semën Čudin (Solor), atto I; 3. Semën Čudin (Solor) e Ol’ga Smirnova (Nikiya), atto III; 4. Margarita Šrainer (Gamzatti), atto I; 5. il corpo di ballo del Teatro Bol’šoj nell’adagio delle ombre, atto III; 6. Ol’ga Smirnova (Nikiya) nella scena della morte, atto II.



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