10 luglio 2018

cinema – THE KILLING OF A SACRED DEER


REGIA: Yorgos Lanthimos
ATTORI: Colin Farrell, Nicole Kidman, Raffey Cassidy, Barry Keoghan, Sunny Suljic, Alicia Silverstone, Bill Camp
PAESE: USA, Gran Bretagna, Irlanda
DURATA: 121′
DATA USCITA: 28 giugno 2018
DISTRIBUZIONE: Lucky Red

cinema_26Torna Yorgos Lanthimos e con lui tutto un bagaglio scenico che abbiamo imparato ad apprezzare durante l’ascesa cinematografica del regista greco: l’assurdo, quasi grottesco; la crudeltà e la violenza, non solo fisica; l’atmosfera onirica caricata all’inverosimile di simbolismo, devoto particolarmente al mondo animale. Di cervi, in questo film, non ce ne sono – come d’altronde non si sono viste aragoste in The Lobster – e il “cervo” a cui allude il titolo del film non è si rivela fin quasi alla fine della pellicola. Chi è pratico di Euripide non avrà sorprese, perché la trama è proprio la stessa dell’Ifigenia in Aulide, in cui Agamennone uccide un cervo sacro della dea Artemide, che gli chiederà di sacrificare la propria figlia per ripagare il debito. Cercando di spoilerare il meno possibile, ecco una breve sinossi.

Steven Murphy, stimato cardiochirurgo, terminata un’operazione a cuore aperto, si reca ad una tavola calda dove incontra Martin, un ragazzo con il quale è in confidenza. Ma chi è Martin? Il dottore racconta in ospedale che si tratta di un compagno della figlia, mentre alla moglie rivela che il giovane è il figlio di un paziente deceduto anni prima in sala operatoria, e tra le potenziali cause del decesso ci sarebbe la passione di Seven per l’alcol. Che il ragazzino abbia dei problemi è chiaro fin da subito e il tutto prende una piega angosciante, quasi grottesca, nel momento in cui Martin, in una sorta di inesorabile profezia, pronunciata come fosse la cosa più normale e razionale del mondo, avverte Steven che i suoi due figli e sua moglie moriranno uno ad uno, se lui non deciderà di sacrificare uno di loro, con le sue mani, prima del tempo.

Lanthimos ci cala ancora una volta in un mondo “giusto e crudele”, in cui il concetto di giustizia è però interpretato (storpiato?) ad hoc: se in Lobster rispondeva ai canoni di una distopica costrizione sociale-procreativa che sarà di certo piaciuta ai promotori del Family Day, in The Killing la giustizia è inappellabile e – almeno in parte – sommaria. Non guarda in faccia a nessuno, non scende nei dettagli. È una pura questione matematica, un’equazione, il bilanciamento di una reazione chimica. Steven si è rimesso in sesto, non beve più da tre anni, è un padre di famiglia scrupoloso che ama i suoi cari; ci viene presentato come una persona sensibile e intimamente buona e coscienziosa. Eppure, anni dopo, ecco la giustizia battere alla porta e reclamare una vita, senza nemmeno che la colpevolezza del protagonista sia acclarata. Bisogna uccidere un’innocente, lo vuole la brutale Legge del taglione, o dell’occhio per occhio, che il protagonista asseconderà in quello che sembra l’unico modo possibile. Lanthimos ci porta in un mondo giustizialista che non dimentica e non perdona, che all’essere solidale o porgere l’altra guancia preferisce accusare e distruggere stringendo un rosario, e che per certi versi è pericolosamente simile a quello in cui viviamo.

In ogni film che guardo cerco un monito, una morale. Non ho pretese d’oggettività, ma in The Killing of a Sacred Deer vedo ritratta la brutalità di un periodo storico caratterizzato da facili accuse e criminalizzazioni, in cui la colpa viene addossata più facilmente agli ultimi che non ai colpevoli, in cui il mondo è nero oppure è bianco, e non c’è posto per chi – colpevole di troppa sensibilità – vorrebbe approfondire cause, effetti e contesto prima di emettere condanne e sentenze. Per dirla in breve, ringrazio Lanthimos per la sua bravura nell’evocare un senso di disagio strisciante, e per costringere lo spettatore a confrontarsi con esso. È molto simile al disagio che si prova nel leggere le sparate di Salvini e dei suoi elettori.

Francesco Cibati

Rubrica a cura di Francesco Cibati
rubriche@arcipelagomilano.org



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