24 aprile 2018

cinema – DOPPIO AMORE di François Ozon


Doppio Amore (L’amant double)
diretto da François Ozon,
Drammatico, sentimentale, thriller del 2017
Con Marine Vacth, Jèrèmie Renier, Jacqueline Bisset
Uscita al cinema il 19 aprile 2018.
Durata 110 minuti.
Distribuito da Academy Two.

DA_poster_100x140Chloè, giovane ragazza tanto bella quanto sofferente, viene indirizzata alla psicoterapia per indagare la natura più profonda di un misterioso antico dolore al ventre. Paul, psichiatra accogliente e premuroso, prende in carico la paziente, ma ben presto dovrà interrompere il trattamento essendosi innamorato della ragazza. Chloè e Paul iniziano allora una vera e propria relazione ed una convivenza. L’apparente quiete viene però fortemente turbata nel momento in cui la donna scopre che il compagno le ha nascosto un segreto, la presenza di un gemello, Louis, anch’egli psicoanalista.

Con il suo ultimo film, Doppio Amore, ispirato al romanzo “Lives of the Twins” della scrittrice americana Joyce Carol Oates, Francoise Ozon ancora una volta indaga e sonda gli aspetti più profondi e oscuri dell’animo umano, arte nella quale da anni appare maestro abile e di inesauribile talento narrativo e visionario.

La formula che Ozon adotta in questa occasione è quella dello psico-thriller erotico – scelta va detto non originalissima – ammiccante e sensuale nel quale tanto le emozioni quanto i corpi dei due bellissimi protagonisti (Marine Vacht, già protagonista di Giovane e bella, e Jèrèmie Renier) vengono messi a nudo, esplorati impudicamente e, in alcune scene volutamente “oltre il confine”, letteralmente penetrati.

Il film è un costante gioco di specchi (forse anche troppi), rifrazioni, scissioni multiple e conturbanti di identità incerte, dolenti, incontrollate e selvagge. Il tema del doppio viene affrontato secondo uno schema narrativo e visivo piuttosto tradizionale e anche nei suoi aspetti più forti e impattanti la storia non sembra riservare particolari sorprese allo spettatore.

Le audaci e sapienti citazioni del cinema di genere e di grandissimi autori sono molteplici; Ozon attinge a piene mani ad un immaginario cinematografico ricchissimo, come sua consuetudine, citando più o meno furbescamente registi e scene iconiche indimenticabili quali Hitchcock, De Palma, Polanski (Rosemary’s Baby), Ridley Scott (Alien), David Cronemberg (Inseparabili), e poi ancora Aronofsky e Argento nelle atmosfere e in alcune trovate scenografiche di impatto.

I due protagonisti risultano essi stessi anche esteticamente speculari e complementari; due polarità a confronto, maschile e femminile, inquietudine ed equilibrio, chiaro e scuro, financo accomunati da un taglio di capelli simile, ed uniti da una comune alchemica androginia. Tutto sembra confondersi e duplicarsi, così come efficacemente rappresentato in una delle scene erotiche più originali dove la fantasia di Chloè moltiplica presenze, ruoli e identità.

Il film si avventura in un labirinto dove nulla sembra essere più certo, dove il disagio si amplifica in un caleidoscopio di situazioni erotiche, oniriche, inconsce e violente che minano la salute psichica e fisica della coppia ed in particolare di Chloè. Per ogni identità manifesta sembra emergerne un’altra appunto doppia, gemella, che viene prepotentemente alla luce dall’ombra della profondità del non detto, del non svelato e del non conscio.

Nel corso della narrazione i toni si fanno sempre più disturbati e cupi e la sofferenza della protagonista sembra moltiplicarsi ed espandersi al di là dei confini della propria identità e gli specchi reali e metaforici presenti del film rimandano un’immagine sempre più incerta e oscura.

Le ferite del corpo e dell’anima sono sempre presenti e possono ricondurci con violenza e decisione alla parte più intima e fragile che è presente in ognuno di noi.

Il regista entra nei suoi personaggi in senso metaforico e fisico, quasi violandone i confini dell’io con tocco sensuale, carnale e umido, a tratti pornografico, e portando prepotentemente in primo piano l’altro da sé, la parte che per convenienza o bisogno di protezione teniamo celata e controllata.

Il dolore esplorato è sempre più intenso, sempre più violento, ed il contatto fisico ed emotivo con la parte scura propria e altrui espongono la protagonista al rischio di uno smarrimento senza ritorno.

Due battute recitate dai personaggi racchiudono in particolare il senso del film in un messaggio: non esistono mostri ma semplicemente esseri umani e che l’amore, altrettanto semplicemente, non può salvarci dalle nostre più ancestrali e intime fratture.

Da segnalare infine la convincente performance di Jacqueline Bisset, immutata icona di charme che apporta un valido contribuito al film, se pur apparendo in poche scene.

Fabrizio Delle Grotti

 

Rubrica a cura di Fabrizio Delle Grotti
rubriche@arcipelagomilano.org



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